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512. PP a Napoli.

22 Gen

http://www.youtube.com/watch?v=VZM7djQFNgE

PAOLO POLI

IL MUSEO DI NAPOLI,

L’ARTE CLASSICA,

LIBERAMENTE

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

22 FEBBRAIO 2009

Presentatrice: … Intelligente, elegante, eloquente, sorridente, irridente…

PP: [E sembrano i cinque apostoli, dài!]

Presentatrice: …scoppiettante…

[stacco]

PP: Non so, trovate interessante che vi racconti le depilazioni…

Presentatrice: No, ma c’interessa la tua storia.

PP: Eh.

Presentatrice: Vogliamo sapere come hai debuttato. Come perché perchì…

PP: E non c’è mai la prima volta, quelle sono tutte storie inventate. Dice, suora, ero vergine, ero pura… inciampai… in un… come si chiama quello che ci ha le palle… caddi riversa

e la gonna mi si aprì come un ventaglio… sentii un alito caldo… e mi ritrovai incinta, non so come.

[risate]

Quelle son quelle storie lì, che si raccontano alla suora.

[applausi]

Presentatrice: Per fortuna è inarrestabile, per fortuna è inarginabile. Allora, no, io volevo sapere, le tue scelte Per esempio, ti travesti. Questo spettacolo tratto dai Sillabarj di Parise…

PP: Sai, ho avuto tanti guaj con le primedonne,

Presentatrice: Eh.

PP: … nervose… e una volta una m’è entrata anche nel letto, voleva essere galvanizzata, ma non era la mia specialità. E la tenni abbracciata così, e la struccai, perché eravamo tutti tinti dal teatro, coll’olio d’oliva. Quindi eravamo pronti per friggere

[risate]

più che per fare il sesso, a me il sesso m’ha sempre interessato meno… e ho provato solo l’amicizia, come sentimento, e… E poi il matrimonio – nojosi, adesso, i matrimonj dei frocj, o dei preti, son gli unici che si sposano, vero?

[risate]

Eh, sì, e allora… buffè controbuffè, per carità… e le… e i bicchieri di baccarà… eh? No, macché.

Presentatrice: Però non mi hai risposto perché ti travesti e ti piace tanto, e sei bellissima vestita da donna…

PP: Mannò, chissenefrega, non è che sono come Platinette, che essendo un mostro s’è accomodata curiosa, così. No, non m’importa, a me. Io ero effeminato, ero una bellezza fragile…

5. Rimorso.

31 Ott

5. Confesso il mio rimorso, per il pezzo che ho scritto su Saviano due posts fa. Cioè, mi rimorde il fatto di averlo fatto passare, eventualmente, per un dappoco. Il fatto è che Saviano non è un grand’uomo (o non ancora: niente esclude che possa diventarlo, e io non ho nulla in contrario che lui lo diventi — ma non m’interessa molto), ma nemmeno è un pirla. Il suo libro non è brutto come moltissima roba che circola attualmente, e che io sfoglio distratto alla Mondadori o alla Fnac. Soprattutto è lodevole il suo volersi misurare con tematiche importanti e difficili. E anche quello retorico è un impegno. Quindi confermo sostanzialmente quello che ho detto, ma non voglio veicolare alcun’idea sbagliata di Saviano, che sa comunque tenere la penna in mano e in alternativa ammaccare i tasti della tastiera. Credo che abbia dimostrato impegno, ma credo anche che abbia trascurato completamente altri versanti. In questi giorni si discute molto se militarizzare Napoli per via dei fatti di camorra, e tutti i maestri di color che sanno, a partire da R. R. Jervolino ad A. Bassolino al rettore della “Federico II” in giù, dicono che non solo l’idea di militarizzare Napoli è veramente rivoltante, ma è anche perfettamente inutile, perché la camorra attualmente è una holding (ed è un concetto che si trova ribadito anche nel romanzo di Saviano — io lo chiamo romanzo, voi fate quello che vi pare), e se è verissimo che c’è una situazione di emergenza non si tratta dell’emergenza giusta perché si consideri seriamente l’opportunità di far venire l’esercito a Napoli. Speriamo, appunto, che l’esercito se ne stia per i cazzi suoi, a Napoli come in altre città.

Ma anche questa difficoltà a far capire quello che in realtà con un minimo di attenzione i non-napoletani, che dovrebbero comunque, come italiani, avere pressoché spontaneamente un occhio di riguardo a quello che succede in quella città, e non l’hanno, ha da fare con una cosa molto importante. Napoli è una città che ha un’immagine forte, in Italia e all’estero; un’immagine non in tutto lusinghiera, ma un’immagine forte. Risulta quindi abbastanza difficile accettare l’idea che Napoli abbia anche un grosso problema d’immagine: condizione che con l’immagine forte parrebbe una contraddizione in termini. Invece no, e me ne accorgo leggendo anche Saviano, ultimo di una nutritissima schiera di scrittori grandi e piccoli, bravi e men bravi: Napoli ha grossi problemi a raccontare la sua borghesia e ha grossi problemi a raccontare la sua realtà urbana. I luoghi di Gomorra, tralasciando che i fatti sono tutti di sangue, &c. (si parla di camorra, giustamente, ed è giusto farlo e spero che si continuerà a farlo finché esisterà camorra) non sono quasi mai la città di Napoli, ma la sua provincia la fascia di paeselli frazioni di Aversa, Casal di Principe, Scampia, Secondigliano, la prov. di Caserta &c. Esattamente come diversi secoli fa, quando la letteratura in lingua napolitana era tutta dedicata alla plebe (il motivo per cui l’ab. Galiani stroncò con tanta ferocia il Basile), ed esattamente come un minor numero di secoli fa, quando tutta la narrativa napolitana era dedicata ai bassi, ai miserabili, alla malavita — ossia ai margini. Margini sociali, geografici, linguistici, e quant’altro.

Sembra che la letteratura napolitana faccia una fatica immensa a centrare, proprio, la realtà napolitana. Cosa che è riuscita a Giuseppe Montesano nei suoi tre romanzi, che ho letto e ho pure riletto — non sono solo bellissimi, ma riguardano proprio Napoli, e non i margini di Napoli. Che poi i margini di Napoli non possano mancare da una rappresentazione esaustiva di Napoli è un fatto, ed è un altro pajo di maniche. Ma dev’essere questo il motivo per cui quando la narrativa napolitana ha cercato di impossessarsi di uno dei momenti salienti della storia cittadina e non solo come il ’99 ne siano uscite cose al disotto della mediocrità (come il romanzo di Striano dedicato alla Pimentel), proprio perché si trattava di descrivere quell’incredibile comunità di “pitagorici” che, di fatto, formavano non certo una cosca o una corte dei miracoli, ma un’aristocrazia intellettuale. Non mi pongo come ‘idealista’ versus i ‘veristi’ (fossi scemo — ossia, sono, ma non così tanto!), dico solo che alla letteratura napolitana manca una parte essenziale. O forse c’è, ma non perviene.

Sono cose su cui tornerò per forza. Ora che il pezzo è stato messo proditoriamente sul Parnaso Ambulante (www.ilparnasoambulante.splinder.com) credo sia mio dovere, quantomeno, terminare il libro e dirne qualcosa di più organico, o correggere un po’ — fatte salve queste riserve.