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403. Impresa XLVI.

19 Ott

LA COMETA. “DVM LVCEAM, PEREAM”.
È sirena del cielo, che il suo mare
Corre omologa in lunghi tratti, eppure,
Traversatene innumeri misure,
Sempre a guardia d’un luogo hai da trovare.
Ha coda di rovine: ma cantare
Suol la marina a trar prue in rocce dure;
Invece la celeste le sventure
Nostre & sue viene in uno a raccontare.
Di donne-pesce il canto può evitare
Chi sa; chi ignora è l’ostia & è l’artiere
Di quest’inganni orribili del mare.
Nella morente stella hai da vedere,
Invece, un male che dovrà piombare;
Perciò, infelice, lascia sé cadere.

402. Impresa XLV.

19 Ott

IL SOLE SPLENDE SUL GIVSTO & SULL’INGIVSTO. “AFFLVENTER & SINE IMPROPERIO”.
Sé stesso di continuo altrui commette
L’astro vitale, e il mondo, che riceve,
Ora mostra saper quanto gli deve,
Ora prende, e di ringraziarlo omette.
Chi è grato, nel ricevere promette
Aumentare del dono il pregio, e a lieve
Ha il donatore il grazie, fiato breve;
E se il dono è infecondo in granfe grette?
In nulla è sminuito il donatore,
Che dà quant’egli dà senza speranza,
Di nulla trarne a sé, nemmeno amore.
Per questo splende il Sole; e sempre avanza
Da spandere su noi raggj & calore,
Con un largire che non ha mai stanza.

401. Impresa XLIV.

19 Ott

IL SOLE SPLENDE SU BABILONIA & GERUSALEMME. “OMNIBVS IDEM”.
Sul sacro suolo, e sulla perdizione
Elevata a città dispensa il Sole
Gli stessi raggj, e meno egli non vuole
Pioverne in male parti anziché in buone.
Così che tutto il mondo ha la visione
Quotidiana del sommo bene, e scuole
Di verità ha dischiuse quando suole
Levare il naso in alto, & di ragione.
Benché taluna parte vilipenda
Il bene, e innalzi a legge sua il peccato,
Parte non è dove minore splenda,
Luogo non è in cui sia in idea mancato;
Per quanto a gabbo o qui o lì si prenda,
Mai dal mondo sarà dimenticato.

400. Impresa XLIII.

19 Ott

SOLE PER METÀ OSCURATO. “NISI CVM DEFICIT SPECTATOREM NON HABET”.
L’invidia innanzi a un Sole che ha pienezza
Di raggj, si ritrae, abbacinata,
Tanto che si può dire che negata
Le sia dell’astro qualchessia contezza.
Solo quando la limpida nettezza
Del volto suo sia da alcunché smorzata,
Dalle mende la vista raguzzata
Può porre in lui, e perspicace apprezza.
Così, Virtù, t’abbaglj, se presumi
Essere franca da invidiosa stizza
Perché i suoi lumi ignorano i tuoi lumi;
Quando il tuo lustro Sole s’opacizza,
Per menda a cui non vanno esenti i numi
È proprio allora che in te i lumi drizza.

399. Impresa XLII.

19 Ott

LA FORBICE. “DETRAHIT, & ORNAT”.
Solo chi non distingue bello a adorno
Trova che a questo brillino spietate
Lame strumento, e l’opere sue ingrate,
In pro del giusto, ma di beltà a scorno.
Insufficienza a lui senza ritorno
Pajon le cose diviti castrate,
A scheletro ridotte, deprivate,
Ontose ormai di comparire al giorno.
Ma se i lustri e gli ornati a quant’è bello
La mano dell’artefice raddoppia,
Non la bellezza accresce: opprime; & quello
Che semplice piaceva, quel che stroppia
Eccesso, d’una forfice il macello
Risana, e bello e semplice riaccoppia.

326. Impresa XLI.

19 Set

ECLISSE SOLARE SPIEGATA DA POMPEO AL SUO ESERCITO. “RES ANIMOS INCOGNITA TVRBAT”.
S’oscura il Sole, e all’ultim’ora il mondo
Crede giunto, atterrendosi, il soldato;
Finché dal gran Pompeo non gli è spiegato
Quale ombra ignota celi l’ombra al fondo.
     E’ allora che, benché completo il tondo
Non si mostri dell’astro ancòra, armato
Nuovamente l’esercito arretrato
Marcia al suo fato, certo sia secondo.
    Roma in armi un arcano impenetrato
Fa scemare di forze, segno espresso
Ch’è l’abito che fonda un grande stato,
    Come ogni cosa; e ogni organismo è oppresso
Da pur fugace evento inaspettato:
Se non lo trova in lui, perde sé stesso.

325. Impresa XL.

19 Set

IL SOLE RISPLENDE PIU’ CHIARO DOPO CHE SI SONO APERTE LE NUBI. “POST NVBILA CLARIOR”.
Desiderato il Sole appare, cinto
Di cirri fino ad ora, & nubi spesse;
Chi l’invocò, che meno risplendesse
Prima d’esser coperto appar convinto.
    Il tenebrore ormai squarciato e vinto,
Felicità finora pretermesse
Si vede aperte in quella, e a lui concesse
In tutto, e il tutto innanzi a lui sospinto.
    Disassueto lo sguardo e il corpo al raggio,
Per lunga oscurità, va per contrasto
Promettente cogliendo un bel messaggio,
    Visto del Sole restaurato il fasto:
Bello è a lui pure il sopportato oltraggio
Che fino il premio a cogliere è rimasto.

324. Impresa XXXIX.

19 Set

SOLE ATTRAVERSO LE NUBI. “NITOR IN ADVERSVM”.
Forza è che il Sole, benché spesso attenti
Coltre di nubi al suo vivo nitore,
Parte scemando al tutto suo candore,
Raggj prolunghi nondimeno ardenti;
    E tra i vapori sozzi contendenti
Al ministerio suo, dispensatore
Sia di luce, di frutti, & di calore
Ai mondi senza lui freddi, & languenti.
     Forza è che l’ombra là dove più brilla
La luce, là più ostenda manti oscuri;
E se al gran fonte luminoso stilla
     Detrae talora d’atramenti impuri,
Non sottrae, con un raggio, una scintilla,
Nulla ai suoi beneficj imperituri.

323. Impresa XXXVIII.

19 Set

SOLE SEMINASCOSTO TRA LE NUBI; ROCCE CHE LE FRECCE NON SCALFISCONO. “IDEM SEMPER VBIQVE”.
Il Sole, che è del vero chiara insegna,
Si cela spesso dietro nubi oscure;
Ma solo in parte, e sulle rocce dure
Della fortezza i raggj suoi disegna.
    L’inimicizia invano i dardi impegna
Contro la roccia, invano le misure
Prende ai suoi lancj; monche spuntature
Restano infine della furia indegna.
    Dove chiaro non è, a chi ben l’addentri,
Questo groppo di frecce, rocce, sole,
Come stia insieme, cosa illustri, o c’entri.
    Ma in fondo è giusto che a chi fare vuole
Che fondo senso in un quadretto rientri,
Di fondo senso manchino parole.

322. Impresa XXXVII.

19 Set

ECLISSI LUNARE. “CENSVRAE PATET”.
Splende la Luna, a rimediar l’ammanco
Del Sole al mondo, e, benché sian minori,
Comparte a queste tenebre splendori,
Mostra nell’ombra nera il volto bianco.
    Se ad intervalli essa ritrae il fianco
Tra le tenebre stesse, e a noi di fuori
Non mostra usato il serto di pallori,
E’ a celare a periodi il volto stanco.
   Ma è quando questa terra s’è intromessa
Tra lei e il Sole che essa mostra, mesta,
La sua luce non propria, ma riflessa;
   Ché se larva non ha di cui si vesta,
Larva a vestir le è in raggio altrui concessa;
E, larvata, sé stessa manifesta.

321. Impresa XXXVI.

19 Set

TORRE CAMPANARIA, & CAMPANA ROTTA. “EX PVLSV NOSCITVR”.
Chiamata a richiamare con profonde
Note i fedeli a messa, e a partir l’ore,
La campana non serve più il pastore,
E, chiamata a chiamare, non risponde.
    Al batacchio oramai più non nasconde,
Suo svegliarino, e suo torturatore,
Come a troppo sollecito premuore
Richiamo volontà, che si confonde.
    Senza più tempo a sviluppare il callo,
Scontato ha insufficiente la sua lega,
Mentre serviva, il fragile metallo.
    D’ora con l’ozio mai più in santa bega,
Per servire inservibile, ecco in fallo
D’ozio chi si spezzò, e più non s’impiega.

320. Impresa XXXV.

19 Set

SOLE SPENTO IN MANO AL FILOSOFO. “LVMINE CARENS”.
Schiodato il Sole dalla propria sfera
Tanto è ridotto di misura (oh arcano)
Che può ad un uomo stare nella mano,
E in vista è, senza raggj, stella nera.
    Dubita il mondo che sia quella vera,
Dato il latore e il suo fosco gabbano;
Eppure è quel del cielo alto sovrano,
Eppure ha luce in sé non meno altèra.
    Poiché nel mondo il Sole ha tanti impaccj
A mostrarsi, ché al Sole ha il mondo invidia,
Non teme di ravvolgersi tra straccj,
    Smarrire il lume, d’apparente accidia
Preferendo risplendere tra i laccj,
Che spegnersi per colpa d’altrui insidia.

319. Impresa XXXIV.

19 Set

IL SOLE ALLO ZENIT NON PROJETTA ALCUN’OMBRA.
La virtù che ti splende dritta in testa
E’ uno zenit che ombra non projetta;
Ombra che ombra sopra te non getta,
E che i passi tuoi segua, ombra molesta.
    Nel meriggio perenne, mai non resta
Di splendere Virtù; la sua saetta
E’ il nadir dell’invidia, che rigetta,
Precipitando in tenebra funesta.
    L’ombra, che adombra altrui, di faccia ai lumi
Che ti dona virtù dall’ombra intatta,
Ti rende pari uno splendore ai numi
    Che a pro di sé l’ombra d’inferno han fatta:
Ché tanta maggior luce su te assumi
Quanto più d’ombra sé l’invidia imbratta.

318. Impresa XXXIII.

19 Set

SOLE AL TRAMONTO, CORONA E SCETTRO SU UNA TOMBA. “FVTVRVM INDICAT”.
E’ il tramonto sereno, e sulla terra
Manda raggj morenti il Sole in pace;
E’ in pace perché muore, e nel fugace
Ultimo istante al mondo non fa guerra.
    Non cinto serto, scettro che non serra
Più alcuno, su un sepolcro è la loquace
Impresa del silenzio in che al re piace
Chiudersi, ora che un sasso lo rinserra.
    Vuole tranquillità; non terra ambìta,
Ma debita; non terra sterminata,
Bastano sette palmi al fin di vita.
    Auspicio d’un’età non perturbata
Quieto tramonta il re; roseocrinita
L’alba annuncia il morir della giornata.

317. Impresa XXXII.

19 Set

SOLE AL TRAMONTO. “SVCCESSORE NOSCAR”.
Guardando al Sole, benché in mare rosso
Si corichi, e ne tragga auspicj gaj,
Certo tu del domani non sarai,
Dirti che tempo ci sarà non posso.
    Così trarre alla tomba con commosso
Ciglio il volgo contempla lui che mai
Fu men che padre a sé, né scorge i guaj
Che sorgon già dal muto & freddo fosso.
    Così in tempi lontani, nel suo affanno,
Apprese che sperare un buon signore
Dopo uno buono è molto spesso inganno;
    E inoltre, ad auspicare eterne l’ore,
Di pena a lui benché, d’aspro tiranno,
Ché sempre a un empio segue uno peggiore.

316. Impresa XXXI.

19 Set

SOLE COPERTO. “SVCCESSORE NOSCAR”.
Dal rispuntar del Sole dietro il velo
Delle nubi si sa serbar splendore:
Quando il Sole del Sole è successore
Nel trono che gl’innalza l’alto cielo.
    Seme in terra non è, né chiuso stelo
Di cui dire si possa con rigore
Che cosa sia; mal si conosce il fiore
Che schiuda solitario dopo il gelo.
    Così il Principe iniquo, che del regno
Fu flagello e non padre, e un nome ha avuto
Di tiranno, crudele, aspro & indegno,
    Si prega che non muoja, ché veduto
S’è sempre, per chissà quale disegno,
Che ad un pravo un peggiore è succeduto.

315. Impresa XXX.

19 Set

SOLE NASCENTE. “OMNIBVS EXORIOR”.
Non solamente i flutti tu ubriachi
Dei mari, che han virtù di rispecchiarti,
Né i fiori illustri, né i frutti dell’arti,
Ma splendi pure per i corpi opachi.
    Prima che sete, splendi a smorti bachi;
Prima che d’oro, ai campi vuoi mostrarti,
E spieghi in tutte le incolori parti
Quei colori di cui nessuno vachi.
    Dei volumi che oppongono ostinati
Parte al tuo volto, illustri compiacente
Solo quella, e al restante lascj ombrati.
    Generoso, l’erario rifulgente
Apri agli astri di luce deprivati,
Largo di te, & te stesso rifrangente.

314. Impresa XXIX.

19 Set

IL SOLE CHE SORGE E LA MONETA NELL’ACQUA SPLENDONO MAGGIORMENTE. “JVSTO MAIORA VIDENTVR”.
Sorge il Sole, e di splendere promette
Più che sapranno, in fatto, i suoi meriggj;
Se l’occhio alla moneta in mano figgi
Meno lampi che immersa in acqua emette.
Tu oratore fecondo, arti civette
Presti al detto: commuovi, ardi, trafiggi,
Saetti, esorti, tassi; & aria friggi,
Col fucato, con tropi, con bellette.
Tu che sfoggj, ai tuoi solimati infesti
Affidi una bellezza amplificata,
Dama meschina nelle gonfie vesti;
Mentre giace negletta e trambasciata
La verità negandosi agli incesti
Con l’immagine propria deformata.

313. Impresa XXVIII.

19 Set

SOLE INDICATO DA UN VECCHIO; & GIOVANE COPPIA. “SOL ANIMI, VIRTVS”.
Finché verdeggia alle corvine tempie
L’età fiorita, e pieno di baldanza
Al meccanismo umano ancòra avanza
Josa di forze, non ancòra scempie,
   Scalda l’anima solo, e solo riempie,
Il capriccioso amore, e con l’amanza
O il drudo dilettarsi in qualche danza,
O in altre attività poco men ch’empie.
    Tutto è perduto, se le sue nequizie
Ha consumato il tempio, e se ne duole
Il capo sparso d’algida canizie.
    Perciò  presso una Coppia, la qual vuole
Programmarsi un periodo di delizie,
Spesso c’è un Vecchio, che fa i corni al sole.

311. Impresa XXVI.

19 Set

IL SOLE ILLUMINA LA TERRA, MENTRE NEL LATO IN OMBRA DI ESSO ESCONO GLI UCCELLI NOTTURNI. “EXCAECAT CANDOR”.
Splende la verità, così corrusca
Che la vista non regge, e si denega;
E a rimirarla diaframmi impiega
Che, filtrando, la mostrino men brusca.
   Così che il vero, chi del vero è in busca,
Sa solo quando il vero un’ampia allega
Parte col vero in dichiarata bega,
Che il vero lume sminuendo offusca.
    La pura verità al vero non serve;
L’uomo alla verità più s’avvicina
Dove il suo raggio molto meno ferve.
    Dopo che cala il corso il Sole, e inclina,
Tra l’ombre sorte è, ormai, dalle Minerve
Che il giorno si ripensa, & si divina.

310. Impresa XXV.

19 Set

SOLE SUL GLOBO TERRESTRE. “RADIIS TAMEN OMNIA LVSTRAT”.
Per quanto grande e maestoso il Sole
Splenda nel cielo, e dei suoi raggj investa
Il mondo, sempre, pure, in parte resta
In ombra – ciò che Notte chiamar suole.
   Dell’Impero più d’altri ampio parole
Vane spesero, e più di tutte questa:
Che ignorava la notte – la funesta
Notte che cerca quel che il dì non vuole.
   Mentre a ogni giorno furono interrotte,
Per secoli, le date ore di luce,
Dalla ribelle & inveduta notte.
   Come per essa il dì, così si scuce
Il tessuto agl’imperi, a intrighi, a lotte,
E tutto a giorno e notte si riduce.

309. Impresa XXIV.

17 Set

SOLE, & MONARCA INTRONIZZATO.
Mostra il Sole di dio l’opera grande
Mentre del cielo solo autocratore
Dei mondi vita, & anima, & motore,
Benigno i raggj suoi dovunque spande.
    In terra le sue veci venerande
Tiene il monarca, od unico signore,
Del mondo erario, imposta & esattore,
Che ha per sé i beni in copia la più grande.
    Della feudale età ecco ben construtto
Contraposito in pratica perfetto:
L’un dà la vita, & l’altro prende, al Tutto;
    Questi ha per sé la causa, e quel l’effetto;
Va all’uno la radice, all’altro il frutto;
L’uno eterno, a sparir l’altro fu astretto.

308. Impresa XXIII.

17 Set

IL SOLE E LA PAROLA DI DIO, RIVOLTA AD UN UOMO CHE HA LA TESTA PIANTATA AL CONTRARIO SULLE SPALLE. “QVID, TVNE VENIRE RECVSAS?”.
Credi che volto con il volto al Sole,
L’uomo, che a noi dà il tergo, guardi dio
Che dice: “Oh Uomo; tu sei parto mio”,
E che quel detto egl’ignorar non vuole.
   Ma volte le santissime parole
Sono ad un che non tende, invece, pio
Occhio al verbo, e non tanto perché rio,
Ma in quanto fatto in modo che non suole.
   Ha il capo inverso, e, per guardare avanti,
Guarda: a lui, se si mostra tanto mulo,
Chi infidi sensi imputerà, & peccanti?
   Anzi: modo – ingegnoso! e non l’adulo –
Ha di schivar di dio i detti seccanti,
E, al tempo stesso, di pararsi il culo.

307. Impresa XXII.

16 Set

https://i0.wp.com/www.fondiantichi.unimo.it/fa/emblem01/saavedra/010.jpg
FALCONE CHE SI LIBERA DAI LACCJ. “FAMA NOCET”.
Finalmente il falcone il duro laccio
Toglie alle granfe, in moto desultorio,
Sé stesso dal servigio venatorio,
La libertà dal suo crudele impaccio.
Rivola, franco dal tiranno braccio,
Racquista della selva il comprensorio,
E le dice, sua tana e romitorio,
La lunga prigionia, e quel cappucciaccio.
Tale ha virtù la lingua dei falconi
Nel raccontare la scampata sorte
Che ne sorge pietà in bronchi e burroni;
Ché se il tiranno lì, per strade torte,
Giungesse, attorcerebbero i fittoni
Le piante, a imprigionarlo, & dargli morte.

306. Impresa XXI.

16 Set

CANI SI CONTENDONO LA MAZZA D’ERCOLE. “SIBIMET INVIDIA VINDEX”.
Negletta ormai, cosa indifesa, ai vani
Sforzi rabbiosi a che vada distrutta,
Mostra la mazza d’Ercole esser tutta
Degna di chi l’usò l’ira dei cani.
Come fu invitto quello, essa agl’insani
Morsi non solo regge, ma si brutta
Del sangue che mordendo spiccia e butta
Chi credendo sbranare cade a brani.
Così l’invidia sempremai si vide,
Sfuriando, cader vittima a una furia
Che ha il dardo volto in sé, e al nemico arride;
Come a lui in mano, pure nell’incuria
Lacera deturpata, offesa uccide,
Giudice & ostia d’invidiosa ingiuria.

305. Impresa XX.

16 Set

https://i0.wp.com/www.fondiantichi.unimo.it/FA/emblem01/saavedra/008.jpg
UNICORNO. “PRAE OCULIS IRA”.
Selvaggio, l’Unicorno ha per natura
Scarsa dimestichezza con gli umani;
Salvo per le fanciulle, alle cui mani
S’affida, partenofila creatura.
E’ così che, sovente, si cattura.
Ma s’è detto com’è che siano urbani
Alle vergini, resta tra i più strani
Misteri questa cosa, ad oggi oscura:
Com’è che una fanciulla ancòra intatta
Abbia di catturarne questa mira.
Ammenoché non sia costei attratta
Da quel per cui dì & notte arde & sospira;
Almeno fino a che sia soddisfatta,
E al vagheggiar succeda affanno, & ira.

304. Impresa XIX.

16 Set

https://i0.wp.com/www.fondiantichi.unimo.it/fa/emblem01/saavedra/007.jpg
CANNOCCHIALE. “AVGET & MINVIT”.
Vedi come l’identico strumento,
Secondo indichi far la mente umana,
Renda nel tempo stesso opera vana
Quel che all’inverso porta a compimento.
Chi lo punta a ingrandire il firmamento
Nel contempo la terra s’allontana;
Ma la stessa ai suoi occhj erge titana
Se inverte il senso; & l’etra scorge a stento.
Nel cannocchiale indubbiamente apprezzo
Come sia in chi l’impiega l’intenzione
Che al mezzo corre, e non in sé nel mezzo;
Intenzione che nutro con ragione,
Purché con mano esperta e senno avvezzo
Conosca d’esso mezzo la funzione.

303. Impresa XVIII.

16 Set

GIGLJ IN CIRCOLO INTORNO AD UN MUCCHIO DI GRANO. “POLITIORIBUS ORNANTUR LITTERAE”.
Di splendori incorona il necessario
La bellezza istruita, e quello adorna;
Separata benché, presso soggiorna;
Gli è vicino, per quanto con divario.
    Come epigrafe dotta su un ossario,
Cela sfaceli, e, se non lo frastorna,
Strappa al tempo, che umilia a vezzi, & scorna,
Dècadi oltre l’estremo anniversario.
   S’è coltivata sola, intirizzita
Gela nel primo verde, e mai non sverna,
Cosa sacra all’oblio, & intisichita;
   Ma se all’indispensabile s’alterna,
Più d’esso ha lunga, & onorata vita;
Ed anzi ad esso dà la vita eterna.

302. Impresa XVII.

16 Set

https://i0.wp.com/www.fondiantichi.unimo.it/fa/emblem01/saavedra/005.jpg
CITTA’ IDEALE DI FORMA PENTAGONALE. “DELEITANDO ENSENA”. (SULLE FATICHE DELL’APPRENDIMENTO).
Le lettere hanno amara la radice
Quanto hanno dolce, vegetando, il frutto;
Molto è di pena all’uomo, ma, tra tutto,
Più lo studio sa renderlo infelice.
Come uno spazio incolto, a cui s’addice
Incomodo e fastidio,  fa al postutto
Lieti, se d’edifizio ben costrutto
L’adorna e illustra mano architettrice.
A lenire la nausea ed i tormenti
Si ponga tutto in opera dei gravi
Tanto al principio, & lunghi apprendimenti;
Prefigurarne i fini, più soavi
Frutti anticipa ai soli attecchimenti,
Di venture città dona le chiavi.

300. Impresa XVI.

16 Set

CANNONE REGOLATO CON LA SQUADRA. “NON SOLVM ARMIS”.
Vero è che spesso il frutto della scienza,
In ciò danno agli scopi del comando,
Spesso è la decisione porre in bando,
Sempre è ai pensieri togliere evidenza.
   Vero è  pur che di Marte alla presenza
L’intelletto i suoi dubbj seminando
Spesso alla toga fa inclinare il brando,
Ogni forza tassando di violenza.
   Ma benché sempremai Bellona abborra
L’erudita Minerva, e la disprezzi,
Non è ch’essa ai suoi lumi non ricorra,
   Sofisticando i proprj infausti mezzi;
Né faccia pace, e l’altra ambo soccorra,
Se la guerra la loro pace spezzi.

299. Impresa XV.

16 Set

IL CORALLO NEL MARE. “ROBUR & DECVS”.
La terra rose, e dà coralli il mare,
Cui non riserva morbido terreno,
Però, ma il fondo del suo inquieto seno,
Dirupi in cui mai raggio non traspare.
Tolta alla zolla, alle giornate chiare,
La rosa si scolora, e viene meno;
Spiccato ai rami suoi, il corallo ameno
Serba colore, e non sa putrefare.
Rosseggia sempre uguale, ed ha rocciosa
Tempra, & di fiore forme e tegumenti:
Fragile no, ma bella & vaga cosa,
Nata dal fimo, e in mezzo ai patimenti:
E in lui, se sterco nutrica la rosa,
Fan da rose, fiorendo, gli escrementi.

298. Impresa XIV.

16 Set

TELA BIANCA, & PENNELLI. “AD OMNIA”.
Forse dirai che nulla rappresenta
La tela esposta, e agli occhj tuoi procura
Immagine del nulla la figura
D’un bianco quadro, e nulla a te argomenti.
   Ma pennelli e colori ti presenta,
Pure, e ti dà così chiara misura
Come, mostrando, a te nulla pittura,
Ogni pittura suggerirti tenta.
   Come il bianco è la somma dei colori,
Ogni figura è in quella tela bianca
Che alcuna linea mostra a noi di fuori.
   Più d’un quadro che i nostri sguardi stanca
Più d’altri ricco e divite lavori,
Quadro cui tutto manca, nulla manca.

297. Impresa XIII.

16 Set

ERCOLE STROZZA I SERPENTI NELLA CULLA. “HINC LABOR & VIRTUS”.
Fischiano le anfisbene, fauci aprendo
Contro indifesi e pur mo nati parti;
Prima che nate sian di guerra le arti
Va già la morte i suoi trofei cogliendo.
   La vita andrà difese sue opponendo
Dunque efficaci le armi nel formarti
Quando in scuole di campi ancòra i Marti
Delle armi l’uso non ti vanno aprendo.
   Le sole nude mani ecco che a prezzo
Di vita altrui Ercole impiega, il fine
Arma essendogli prima d’aver mezzo.
   Morte ha in virtù e in opera un confine,
Ché l’opera non resti tronca a mezzo,
Ché non nata virtù non volga al fine.

296. Impresa XII.

12 Set

SOLE CHE SI SPECCHIA NELL’ACQUA. “MONSTRATVR IN VNDIS”.
Il motore grandioso del creato
Chiunque cerchi le sue cause prime
Col suo fulgore, nel negarsi, opprime,
Né in via diretta mai s’è a noi svelato.
Come il Sole; che tuttavia è specchiato
Dal mare, nel cui volto il volto esprime
Incoronato dalle giube opime,
A pro’ dei dotti esatto duplicato.
Ma chi volge all’immagine indiretta
Lo sguardo, incontrerà anche minor raggio,
Ma che non meno gli occhî arde e saetta.
(Dove si vede quanto poco saggio
Fu l’artiere, e l’impresa sia imperfetta,
Che intender fa il contrario del messaggio).

295. Impresa XI.

12 Set

SOLE CON IHS INSCRITTO. “COL SVO LUME SEMEDESMO CELA”.
Irradiando fulgori, agli occhî rende
Chiare le cose il Sole, & manifesta;
Ma quella stessa luce arde funesta
L’occhio che in essa figgersi pretende.
Ma per diaframmi chi mirarlo intende,
Scopre macchie alla sua fulgente vesta,
Menda al suo raggio non pertanto infesta,
E che al barbaglio in alcunché contende.
Qui vedi un Sole che ha tanto più spesse
Note nel volto suo, che a noi rivela
Ogni menda, a formare I – H – S.
Se il Sole al raggio semedesmo cela
Quando gli siano tali macchie immesse
Privo di raggio sé medesmo svela.

294. Impresa X.

12 Set

SOLE & DIO.
 
Entro valli e in città, declivî e piani
Spesso appicca il grand’Astro i suoi comburî,
Poiché non solo langue tra gli Arturi,
Ma latra anche ardentissimo tra i Cani.
 
Più Soli in cielo, oltrech’ad esser vani
A scaldare la terra ai dì più duri,
Sarebbero un’esizie ai morituri
Viventi, piante, bestie, esseri umani.
 
Così più Dèi preposti a noi mortali
Vorrebber dire più scomodi eventi:
Più cristi, più peccati originali,
 
E centinaja di comandamenti;
Più vangeli, e diluvî universali;
Più inferni; & relativi patimenti.

293. Impresa IX.

12 Set

IL GLOBO DEL MONDO NELLA MANO DI DIO. “FATO PRVDENTIA MAIOR”.
Tendi lo sguardo invano nel profondo
Bujo dei dì futuri; ché, per quanto
Vada lontano, non potrà pertanto
Oltrepassare i limiti del mondo.
Chi n’è più grande, e ne sostiene il pondo
Ne vede intero il multiforme manto,
Cause di gaudio, fomiti di pianto,
Fato avverso, impassibile o secondo.
Parte d’un gioco il cui finale è ignoto,
L’uomo delle inconsulte e pena e gioja
Investigar le fonti tenta a vuoto;
Mentre osserva lassù, quel vecchio boja,
Con quella palla in mano, assorto, immoto,
Forse in attesa di crepar di noja.

292. Impresa VIII.

12 Set

SFERE CELESTI CON LO ZODIACO DEI SETTE PIANETI. “DVLCIA CVM AMARIS”.
Sempre da sette sfere i sette astri
Sul mondo di quaggiù piovono influssi;
Lo stesso astro indigenza all’uno, e lussi
Concede all’altro, lì agî, e lì disastri;
Abbassa così scettri, alza vincastri,
E beni e mali di quaggiù inescussi
Ma si mostrano a me: da ciò dedussi
Inestricati i mali e i beni a incastri.
Astri in ciò solo equi, e solo certi:
Che in essi mai maggiore avrà abbondanza
Di bene o male, d’ubertà o sconcerti;
Sono armoniche sfere, alla cui danza
Sempre uguali risonano i concerti,
Sempre varia hanno in sé la dissonanza.

291. Impresa VII.

12 Set

I PUNTI E LA LINEA. “SIC EX INSTANTIBVS, AETERNITAS”.
Vedi qui due figure compartite,
Una ch’è una, e l’altra che è ben molte,
Simili l’una all’altra, e, insieme accolte,
Ognuna a modo suo, ambo infinite.
Ma una l’una appare; indefinite
Parti di nulla, giustapposte e sciolte,
Formano l’altra – eppure in filze folte
Formano un uno, benché disunite.
L’eternità è siffatta: interminato
Che tomba non avrà, cui mancò culla
Tempo da infinità d’istanti dato;
Tutto, d’età non vecchia e non fanciulla,
Se è in sé (concetto no) considerato;
Se nelle parti sue, del tutto un nulla.

290. Impresa VI.

12 Set

DUE SFERE IN CONTATTO PER UN PUNTO. “AMICITIA ABSQVE VIRTVTE”.
Per quanto presso stiano, due sfere
Mai tanto più contatto avran raggiunto
Che passi quello d’uno, & d’un sol punto,
Cogl’infiniti che si sanno avere.
Rotolandole, non si può ottenere
Mai al contatto che alcunché sia aggiunto;
Son del pari fondate, giustappunto,
S’un punto le amicizie non sincere.
Pare una, ed è nessuna comunione
D’ente che com’è detto non s’incocca,
Senza spessore, e ad una dimensione.
Senza Virtù, Amicizia è sol di bocca:
Che sarà, se dipende da tazione,
E intangibile è l’ente, qui, che tocca?

289. Impresa V.

12 Set

CUBO. “SAPIENTIS ANIMVS”.
L’animo del sapiente è assimilato
A questo cubo, che, com’è evidente,
Mano non ha su beni protendente,
Capo non ha dal vano fuorviato;
Dente non ha contr’altri avvelenato,
Occhio non ha sui mali altrui inspiciente,
Petto non ha gradasso, epa gaudente,
Gambe che a liti abbiano mai portato;
Temperato, sennato, compassato,
Dei cinque sensi alla gran guerra vedi
Com’egli forte opponga cinque e un lato;
Membra non mostra; eppure (a me lo credi),
Comunque vòlto sia, mosso o posato,
Mai non vacilla, e resta sempre in piedi.

288. Impresa IV.

12 Set

Pictura of Bèze, Théodore de: Icones (1580):  Stare cubum in tereti cernis quicu

CERCHIO CON CUBO INSCRITTO.
L’immagine del cerchio che fuggita
Eterna rappresenta, e inscritto il cubo
È un istruttivo enigma, e se lo glubo
L’immagine mi dà di questa vita.
Se il cerchio è il mondo, è carcere, e scalfita
Mai l’hanno o lima, o piè di porco, o tubo;
L’immagine di me all’inscritto rubo,
Che ne parte soltanto in dipartita.
Lubrico è il cerchio, e il cubo in lui compreso
Mostra che il mondo sfugge a chi sta in esso,
E chi afferrarlo vuole, è lui ch’è preso;
Sfugge rinchiuso in sé, né ha mai concesso
Vie di fuga a chi in lui pur molto ha atteso,
Né ha fatto intravedere, o ha mai concesso.

287. Impresa III.

12 Set

CERCHIO CON PUNTO INSCRITTO E RIPARTIZIONE IN QUATTRO SPICCHJ.
Cercavi il punto, ed eccoti raggiunto
Lo scopo primo: in cui traccia sicura
Trovi, epperò esteriore alla figura,
Punto vero, e del cerchio nessun punto.
Punto che non mancava, eccoti aggiunto
Il punto necessario; ov’è, esso dura,
E non sfugge, e fornisce la misura
Di quello che non è, lì stando, appunto.
Aggiuntosi, sformò la più perfetta
Forma ch’è data, e fu lì crocifisso,
Poich’al reo sempre giusta pena spetta;
Ed esso in quattro parti quella ha scisso
Unica forma, avendo per vendetta
Disunire l’unito a sé prefisso.

286. Impresa II.

12 Set

Pictura of Bèze, Théodore de: Icones (1580):  Principium in tereti quaeris quicu

CERCHIO.
Cerchi nel cerchio il primo punto, e in vizî
Di curve tutt’i punti suoi t’avvolgono;
Cerchi il punto in cui i giri suoi si sciolgono,
Ma, ovunque sia, riscivoli agl’inizî.
Tutt’i punti d’appoggio in precipizî
Curvilinei ricadono, e rivolgono,
E la vista via via da sé distolgono
Tutti i punti, all’idea veri cilizî:
Punti che, se torturano, non pungono,
Ma fitti uno per un si giustappongono,
Cui punti vieppiù piccoli s’aggiungono.
Di tanti nulla che si sovrappongono
Stupisce noi il veder com’essi giungono
Tutto il cerchio a formare, che compongono.

285. Impresa I.

12 Set

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CHAOS. “SINE IVSTITIA, CONFVSIO”.
Cerchi il cielo, e ritrovi, invece, terra;
Cerchi il mare, e ritrovi, invece, il sole;
Cerchi luce, e apparirti essa non vuole,
Ché la tenebra fonda in sé la serra.
Ogni ente il suo contrario bacia, afferra;
Ogni parvenza, ogni sostanza o mole
Rivelarsi per sé pura non suole,
Mista con ciò che più le muove guerra.
Il cosmo in caos ignaro di divario
Tra opposti attende alla separazione
Del dissidio il momento necessario;
Pure, nel seno della confusione,
Sopra, sotto, atro, chiaro, pio e nefario
Nascono da contatto, e da attrizione.