PER LA SIGNORA X, GIOVANE DONNA, APPENA INTRAVISTA; MORTA. SVA ABITVDINE D’INDOSSARE LVNGHE VESTI FLVTTVANTI.
T’ebbe la terra prima che il mio oblio, Prima di vita che a me fuor di mente, Ora ombra in Ade non rammenti niente, E, vista appena, sei ricordo mio. Rubo il volto al non visto spicinio; Come uno m’apparì rifaccio a mente; S’è nulla il tutto tuo, quel tuo pallente Nonnulla è tutto, finché un che sono io. Postumo inganno, arra per te ubertosa Pare dell’ora tua fluttuante vita Quella che t’infiorava onda setosa: Velo a una fioritura ora appassita, Svelò a sfiorirti una Nemica ombrosa, Velò a illustrarti un’amistà fiorita.
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FOTOGRAFIA. Di chi manca impressione, abbandonata Al mondo nel morire, un’illusione Di presenza in assenza, una finzione Perché chiedermi sia da me accettata? Dopo appreso che d’indi in poi tornata Mai più sarebbe, e che liberazione Non si dava altra alla maledizione, In forma alcuna non l’ho più cercata. Ritrovarla così vorrebbe dire Cercarla, dopo un tempo ormai lunghissimo, In luoghi donde non è dato uscire. Guai se gli oggetti, i corpi non smarrissimo Per darci a quello che non può finire. E la ricordo ancóra, lei, benissimo.
IL FVTVRO. Chiunque ne ha uno solo; io ne ho due, Uno che è a breve termine, ha di piombo La tinta, e lo preannuncia un tetro rombo, Carta & inchiostro le interiora sue. Stolido e senza prole, come il bue, Passato del suo ungue il gran rimbombo, Se nel sonno perenne poi non piombo, O non corro a buscarmi Aids o lue, Ne verrà un altro, che ha strepiti d’armi, Allucinate veglie, dì d’affanno; Non l’intravedo, e già vuol spaventarmi. Cerco incontrare il primo in capo all’anno; Quanto al secondo, a costo di rifarmi, Spero da buono in qualche bel malanno.
TASCHE BVCHE. Liso, cadente, & con le tasche buche, Eroso dalla fame, sforacchiato Da tarme, mezzo morto, stralunato, Tutto un crowl in & out di tarli e ruche, Quasi ai miei lai un agmine di nuche Opponesse il suo no, ecco, ho declinato Più offerte di denaro, a me allungato Per pietà, senza impegno. Con festuche Stuzzicadenti e fichi molli in certa Discesa a breve termine restassi Sdrajato tutto il giorno su qualch’erta, Movendo pochi, & indolenti i passi! Non so cosa mi piglî; mi sconcerta Talora il dono, quasi onta provassi.
PORTA. È strumento che esclude, ma anche invita Ad ingredere, è un mezzo che dà modo Tanto a restare fuori quanto – e lodo Questo di più – a non far lesta partita. Ma, mi chiedo, la sua ben definita Dote di far entrare, onde io godo, Non compossibil è all’entrar di frodo Chi chiusa toppa forza cólle dita? Chiama a entrare, la porta, ma il richiamo Potrebbe darsi s’essa non foss’usa A proclamare altrui: Non ti vogliamo? Sì, solamente quando va delusa L’altrui richiesta in questo senso entriamo: Solamente, sennò, è una porta chiusa.
MASCHERA (IO). Io: tardo, malleabile, scroccone, Ghiotto, guitto, gentile, leccapiedi, Prenderò tutto quanto mi concedi, Sono sincero, strano e buontempone. Sono ignorante, fiacco, son sornione, Ladruncolo, mi vedi e non mi vedi, Però mi trovi, se di me richiedi – Stanziale in fatto, greve, & scorreggione. Sono fatto di gomma, son di legno, Son di pietra, di fango, merda, tolla, Di materiale indefinito e indegno; Sono cangiante; sono pastafrolla; Sul mio spazio e sul tempo ho pieno il regno; Volatile parrei, sono una còlla.
APPVNTAMENTO. Odio gl’incontri al bujo, scorticata Novità d’Interdèt, tra i molti mali Passati dagli annuncî dei giornali Anche alla gente solida, & bennata; Se prima, infatti, solo era serbata A genti impresentabili e banali, Quest’usanza ora passa i penetrali Più scrimitosi, & pure a me è passata. Ciò m’indispone; e mi fa male al cuore Aspettar non so chi, né come fatto, E averne un sottilissimo timore; Sicché, mentre vien l’ora, questo patto Propongo a me: mai più, manco se muore, Dirò di sì ad un mio virtual contatto.
VNA BIBLIOTECA È VN CIMITERO. Qui chiuso è un mondo, e, come al mondo, è giusto Che morti siano i più, e vivi i meno; Ma questo mondo è tacito e sereno, Polveroso, istruito, & di buon gusto. Ma dà anch’esso, alla lunga, il suo disgusto, Tanto di belle cose morte è pieno; In fondo, oltre alla morte, accoglie in seno D’umanità soltanto qualche frusto. Denegata alla vita dolorosa, Piena d’afrori, caos, nebbia, mistero, Spettrale umanità in codest’ombrosa Stanza s’occulta, e per enigmi il vero Spia, pallida, gialluta, & rantacosa: Già in vita morta, tanto è un cimitero.
SV VNA POZZA D’ACQVA TROVATA DAVANTI ALL’ARMADIETTO, IN PROSSIMITÀ DEL LETTO, IN GIORNI DI PIOGGIA. Mentre gli altri tre dormono, all’incerto Lume che vien da fuori, accanto al letto, Pozza, isolata, innanzi all’armadietto Trovo; & che senso ess’abbia io non avverto. Pare versata apposta: ché di certo Non vien dalla finestra; per dispetto Pensavi di affrettarmi il cataletto, Col farmi scivolare, oh ignoto? Offerto Oppure m’hai nei pressi del guanciale L’umido pegno dei tuoi muti pianti Che ti trasse per me amoroso male? O mi vuoi rammentar che doloranti Siamo qui tutti? O che noi in modo uguale Domani bagneran piogge scroscianti?
PENSIERI FVNESTI. Non posso stare solo. Un mio furore Segreto e sordo mi disavvantaggia: Più tendo l’arco, e più i nervi mi saggia Col dardo avvelenato, e dà dolore. Il cielo mi si mostra d’un colore: Sempre ho davanti a me l’ultima spiaggia; Non mi decido mai, però (mannaggia), Ad approdarvi, tant’ho me in orrore. Non può sapere cosa passi in testa Al latente tra l’erba tacit’angue, Striscia d’odio e veleno atra e funesta, Chi pena non provò che mai non langue, Chi rabbia non provò che mai non resta, Chi a lungo non provò sete di sangue.
PIANTO. Quanta tristezza è coessenziale Alla mia vita; lacrimo all’interno, E la pioggia che cade e il mondo esterno Inumidisce è specchio mio fatale. Riflette la mia tetra esistenziale Condizione l’appropinquante inverno: Non solo ha fiamme il desolato inferno, Non solo l’ira dentro me prevale. Il mio destino è tale che non riesco In altro che nel pianto, ed il mio pianto Di tragedia non è: scorre grottesco. Finché, inzuppato il suo stracciato manto Per piogge, e pianto che alla pioggia mesco, La vita affoghi, e cessi il mesto canto.
TOSSICO RICCIVTO. INFERIVA, DAL FATTO CHE TVTTI I TOSSICI HANNO FOLTE CHIOME, OVVERO DAL FATTO CHE NESSVN TOSSICO A LVI NOTO FOSSE, COME LVI, PELATO COME VN GINOCCHIO, CHE LA DROGA AVESSE VIRTV’ DI PRESERVARE I CAPELLI. Grazie ai veleni che una sconcia azione Ogni giorno commessa contro te T’inietta, sfoggj, e non lo so com’è, Di riccj un casco da competizione. A me alterato ha la circolazione Altro veleno, che ha virtù in sé Di fare spazio ai lauri; e posto che Giungano, intanto è la desolazione. Tu alla vicina morte con le chiome Scure e lussureggianti corri e vai; Della vecchiaja le precoci some Sul gobbo, io spero non morire mai; Per la mia eternità solo di nome, Però, se mi dài vita, non morrai.
PER BELLISSIMO GIOVANE VESTITO DI CUOJO. Mandi baleni al tuo passaggio, e ai tuoi Lucidi movimenti, ai macellaj Porgon la gola stalle, stie, pollaj, E muojono d’amore i mattatoj. Sotto un’altra epidermide se vuoi Nasconder quella naturale ch’hai, E’ perché bene, e troppo bene, sai Che ci sia sotto i freddi e cupi cuoj. Scie d’odore selvaggio lascj a lui Che ti segue con gli occhj, e devanei Ispiri grevi, e dai colori buj. Quella scia chissà dove seguirei; Sicuramente fino al punto in cui Di tre pelli tra noi, due ne farei.
TOSSICO CHE URLA DA SOLO. Mentre cammini per la strada, foga Ti prende di gridare ai quattro venti Non il tuo sì alla vita, o i tuoi tormenti, Ma quel che dentro a te detta la droga. Mi fa rabbia, poiché quella s’arroga Un’esclusiva che lunghi momenti Avrei voluto propria ai miei talenti, Come sul gobbo al giudice la toga. Quanto avrei dato, invece d’anni persi, Per avere una delle tue giornate, Di fuoco sacro, & impeti perversi! Quante libbre di sangue avrei donate Per dar con pari slancio fuori i versi All’émpito con cui spari cazzate!
BUCO. Benché l’armamentario del poeta Non lo comprenda, almeno normalmente, Purtuttavia l’aver sempre presente Anche questo, lo sai?, non mi si vieta. Se al tuo braccio è evidente, e ti decreta & pubblica per quel che sei, l’ho in mente Io, invece, e in me serbato è fatalmente Porta d’estasi, no: pena segreta. Come vedi, in un buco volle un dio Che avessero ricetto il mio / tuo vizio; Solo hai il buco fatidico in te; il mio E’ in te non meno, & ambo è precipizio L’uno in cui cadi, & l’altro quello in ch’io Vorrei cadere, tua mercè, orifizio.
LACCIO. Porto il braccio da un vago crine avvolto, Tu d’un laccio emostatico: fedele Mi mostro al segno mio, ma di querele Riempio il cielo, urla tu di gaudio hai sciolto. Tu ridi, io piango; io colpa d’un bel volto, A causa tu d’un brutto braccio, e anele Voglie ambo abbiamo: eppure in lamentele Do solo, mentre ridere t’ascolto. Il tuo demone riempie di energie, Di sprezzo del dolore, & è perfetta Estasi, a differenza della mia. Tanto il trasporto dentro me difetta Che gemo; tanto può in te bramosia, Che alle volte ti fai co’ ‘na forchetta.
SIRINGA. Manda un’eco di morte lo strumento Che impieghi a dar sollazzi alla tua vita; Il mio, che una metafora m’invita A chiamare ugualmente, non dà accento. Quello che impieghi fuor di sentimento Ti manda, & hai la fonte inaridita D’ogni affetto; di fiato a forza, & dita, Tento sonare il mio; ma nulla sento. Tossico tu ti chiami, e t’avvelena Certo il sangue sostanza spaventosa, Che però canta quando ce l’hai in vena. La mia mania è una più leggiadra cosa, Ma al canto non ha più fiato, né lena, E m’addolora, perlopiù ritrosa.
DI UN CONOSCENTE TOSSICO CHE FRASTORNAVA UN MIO TENTATIVO POETICO. Mentre tento spillare da Ippocrene Qualche verso non meno d’altri indegno, Tu indefesso persegui il tuo disegno, Facendo la rassegna delle vene. Parli, cercando quella che conviene, Non soltanto senz’ombra di ritegno, Ma annichilendo a chiacchiere in me impegno Che con silenzio e requie si sostiene. Sicché di te già ambo la tasca ho piena, E mentre in non poetica siringa Versi il veleno, e versi quello in vena, La vena a me, benché a mio modo io spinga, Arida d’entusiasmi getta a pena, Comech’estasi tua la mia respinga.
570. Capriccio XIX.
23 LugD’VN VECCHIO CHE PARLAVA DA SOLO NEGL’INTERVALLI DELLA LETTURA D’VN LIBRO DI 1368 PAGINE.
Vecchio, perché d’un’intellectio assorta Diporti i quarti d’ora, come suole Semmai quello cui mancano parole, Cui voce altrui, compagna, non conforta? Tante, invece, la mano tua ne porta, Che si direbbe non lasciar la mole D’esse spazio a dell’altre. Ma – e mi duole – So perché a tratti hai tu lettera morta Quel fluente di vita chiacchiericcio: Proprio perché la morte alto in te parla Nel volto crespo, al labbro cenericcio, E di te è parte, e tu non vuoi gabbarla, Le vive carte hai solo tuo capriccio, Distratto, e intermittente, a non turbarla.376. Capriccio XVIII.
15 OttFOTOGRAFIA. Di chi manca impressione, abbandonata Al mondo nel morire, un’illusione Di presenza in assenza, una finzione Perché chiedermi sia da me accettata? Dopo appreso che d’indi in poi tornata Mai più sarebbe, e che liberazione Non si dava altra alla maledizione, In forma alcuna non l’ho più cercata. Ritrovarla così vorrebbe dire Cercarla, dopo un tempo ormai lunghissimo, In luoghi donde non è dato uscire. Guai se gli oggetti, i corpi non smarrissimo Per darci a quello che non può finire. E la ricordo ancóra, lei, benissimo.
375. Capriccio XVII.
15 OttIL FVTVRO. Chiunque ne ha uno solo; io ne ho due, Uno che è a breve termine, ha di piombo La tinta, e lo preannuncia un tetro rombo, Carta & inchiostro le interiora sue. Stolido e senza prole, come il bue, Passato del suo ungue il gran rimbombo, Se nel sonno perenne poi non piombo, O non corro a buscarmi Aids o lue, Ne verrà un altro, che ha strepiti d’armi, Allucinate veglie, dì d’affanno; Non l’intravedo, e già vuol spaventarmi. Cerco incontrare il primo in capo all’anno; Quanto al secondo, a costo di rifarmi, Spero da buono in qualche bel malanno.
374. Capriccio XVI.
15 OttTASCHE BVCHE. Liso, cadente, & con le tasche buche, Eroso dalla fame, sforacchiato Da tarme, mezzo morto, stralunato, Tutto un crowl in & out di tarli e ruche, Quasi ai miei lai un agmine di nuche Opponesse il suo no, ecco, ho declinato Più offerte di denaro, a me allungato Per pietà, senza impegno. Con festuche Stuzzicadenti e fichi molli in certa Discesa a breve termine restassi Sdrajato tutto il giorno su qualch’erta, Movendo pochi, & indolenti i passi! Non so cosa mi piglî; mi sconcerta Talora il dono, quasi onta provassi.
373. Capriccio XV.
15 OttPORTA. È strumento che esclude, ma anche invita Ad ingredere, è un mezzo che dà modo Tanto a restare fuori quanto – e lodo Questo di più – a non far lesta partita. Ma, mi chiedo, la sua ben definita Dote di far entrare, onde io godo, Non compossibil è all’entrar di frodo Chi chiusa toppa forza cólle dita? Chiama a entrare, la porta, ma il richiamo Potrebbe darsi s’essa non foss’usa A proclamare altrui: Non ti vogliamo? Sì, solamente quando va delusa L’altrui richiesta in questo senso entriamo: Solamente, sennò, è una porta chiusa.
372. Capriccio XIV.
15 OttMASCHERA (IO). Io: tardo, malleabile, scroccone, Ghiotto, guitto, gentile, leccapiedi, Prenderò tutto quanto mi concedi, Sono sincero, strano e buontempone. Sono ignorante, fiacco, son sornione, Ladruncolo, mi vedi e non mi vedi, Però mi trovi, se di me richiedi – Stanziale in fatto, greve, & scorreggione. Sono fatto di gomma, son di legno, Son di pietra, di fango, merda, tolla, Di materiale indefinito e indegno; Sono cangiante; sono pastafrolla; Sul mio spazio e sul tempo ho pieno il regno; Volatile parrei, sono una còlla.
371. Capriccio XIII.
15 OttAPPVNTAMENTO. Odio gl’incontri al bujo, scorticata Novità d’Interdèt, tra i molti mali Passati dagli annuncî dei giornali Anche alla gente solida, & bennata; Se prima, infatti, solo era serbata A genti impresentabili e banali, Quest’usanza ora passa i penetrali Più scrimitosi, & pure a me è passata. Ciò m’indispone; e mi fa male al cuore Aspettar non so chi, né come fatto, E averne un sottilissimo timore; Sicché, mentre vien l’ora, questo patto Propongo a me: mai più, manco se muore, Dirò di sì ad un mio virtual contatto.
370. Capriccio XII.
15 OttVNA BIBLIOTECA È VN CIMITERO. Qui chiuso è un mondo, e, come al mondo, è giusto Che morti siano i più, e vivi i meno; Ma questo mondo è tacito e sereno, Polveroso, istruito, & di buon gusto. Ma dà anch’esso, alla lunga, il suo disgusto, Tanto di belle cose morte è pieno; In fondo, oltre alla morte, accoglie in seno D’umanità soltanto qualche frusto. Denegata alla vita dolorosa, Piena d’afrori, caos, nebbia, mistero, Spettrale umanità in codest’ombrosa Stanza s’occulta, e per enigmi il vero Spia, pallida, gialluta, & rantacosa: Già in vita morta, tanto è un cimitero.
368. Capriccio X.
15 OttSV VNA POZZA D’ACQVA TROVATA DAVANTI ALL’ARMADIETTO, IN PROSSIMITÀ DEL LETTO, IN GIORNI DI PIOGGIA. Mentre gli altri tre dormono, all’incerto Lume che vien da fuori, accanto al letto, Pozza, isolata, innanzi all’armadietto Trovo; & che senso ess’abbia io non avverto. Pare versata apposta: ché di certo Non vien dalla finestra; per dispetto Pensavi di affrettarmi il cataletto, Col farmi scivolare, oh ignoto? Offerto Oppure m’hai nei pressi del guanciale L’umido pegno dei tuoi muti pianti Che ti trasse per me amoroso male? O mi vuoi rammentar che doloranti Siamo qui tutti? O che noi in modo uguale Domani bagneran piogge scroscianti?
367. Capriccio IX.
15 OttPENSIERI FVNESTI. Non posso stare solo. Un mio furore Segreto e sordo mi disavvantaggia: Più tendo l’arco, e più i nervi mi saggia Col dardo avvelenato, e dà dolore. Il cielo mi si mostra d’un colore: Sempre ho davanti a me l’ultima spiaggia; Non mi decido mai, però (mannaggia), Ad approdarvi, tant’ho me in orrore. Non può sapere cosa passi in testa Al latente tra l’erba tacit’angue, Striscia d’odio e veleno atra e funesta, Chi pena non provò che mai non langue, Chi rabbia non provò che mai non resta, Chi a lungo non provò sete di sangue.
366. Capriccio VIII.
15 OttSVDOKV. Mentre tento forzare i miei neuroni, Santi lorenzi ormai cotti alla griglia, Oh la stizza mariuola che mi piglia, Oh che di spettri amplissime legioni: M’ingombrano le circonvoluzioni, Labirinto di cerebral poltiglia, E ogni spettro sembianze dieci piglia, E i minuti concessi mi fa eoni. Mi dico con ragione che di certo Se l’intelletto sano è imperturbato, Quale il genio provò mai disconcerto? Colpa ne ha il mondo, porco, empio, & dannato, Le cui piaghe entro me riaprirsi avverto Quando ho il pensiero in alcunché occupato.
369. Capriccio XI.
15 OttPIANTO. Quanta tristezza è coessenziale Alla mia vita; lacrimo all’interno, E la pioggia che cade e il mondo esterno Inumidisce è specchio mio fatale. Riflette la mia tetra esistenziale Condizione l’appropinquante inverno: Non solo ha fiamme il desolato inferno, Non solo l’ira dentro me prevale. Il mio destino è tale che non riesco In altro che nel pianto, ed il mio pianto Di tragedia non è: scorre grottesco. Finché, inzuppato il suo stracciato manto Per piogge, e pianto che alla pioggia mesco, La vita affoghi, e cessi il mesto canto.
365. Capriccio VII.
14 OttTOSSICO RICCIVTO. INFERIVA, DAL FATTO CHE TVTTI I TOSSICI HANNO FOLTE CHIOME, OVVERO DAL FATTO CHE NESSVN TOSSICO A LVI NOTO FOSSE, COME LVI, PELATO COME VN GINOCCHIO, CHE LA DROGA AVESSE VIRTV’ DI PRESERVARE I CAPELLI. Grazie ai veleni che una sconcia azione Ogni giorno commessa contro te T’inietta, sfoggj, e non lo so com’è, Di riccj un casco da competizione. A me alterato ha la circolazione Altro veleno, che ha virtù in sé Di fare spazio ai lauri; e posto che Giungano, intanto è la desolazione. Tu alla vicina morte con le chiome Scure e lussureggianti corri e vai; Della vecchiaja le precoci some Sul gobbo, io spero non morire mai; Per la mia eternità solo di nome, Però, se mi dài vita, non morrai.
340. Capriccio VI.
23 SetPER BELLISSIMO GIOVANE VESTITO DI CUOJO. Mandi baleni al tuo passaggio, e ai tuoi Lucidi movimenti, ai macellaj Porgon la gola stalle, stie, pollaj, E muojono d’amore i mattatoj. Sotto un’altra epidermide se vuoi Nasconder quella naturale ch’hai, E’ perché bene, e troppo bene, sai Che ci sia sotto i freddi e cupi cuoj. Scie d’odore selvaggio lascj a lui Che ti segue con gli occhj, e devanei Ispiri grevi, e dai colori buj. Quella scia chissà dove seguirei; Sicuramente fino al punto in cui Di tre pelli tra noi, due ne farei.
339. Capriccio V.
23 SetTOSSICO CHE URLA DA SOLO. Mentre cammini per la strada, foga Ti prende di gridare ai quattro venti Non il tuo sì alla vita, o i tuoi tormenti, Ma quel che dentro a te detta la droga. Mi fa rabbia, poiché quella s’arroga Un’esclusiva che lunghi momenti Avrei voluto propria ai miei talenti, Come sul gobbo al giudice la toga. Quanto avrei dato, invece d’anni persi, Per avere una delle tue giornate, Di fuoco sacro, & impeti perversi! Quante libbre di sangue avrei donate Per dar con pari slancio fuori i versi All’émpito con cui spari cazzate!
338. Capriccio IV.
23 SetBUCO. Benché l’armamentario del poeta Non lo comprenda, almeno normalmente, Purtuttavia l’aver sempre presente Anche questo, lo sai?, non mi si vieta. Se al tuo braccio è evidente, e ti decreta & pubblica per quel che sei, l’ho in mente Io, invece, e in me serbato è fatalmente Porta d’estasi, no: pena segreta. Come vedi, in un buco volle un dio Che avessero ricetto il mio / tuo vizio; Solo hai il buco fatidico in te; il mio E’ in te non meno, & ambo è precipizio L’uno in cui cadi, & l’altro quello in ch’io Vorrei cadere, tua mercè, orifizio.
337. Capriccio III.
23 SetLACCIO. Porto il braccio da un vago crine avvolto, Tu d’un laccio emostatico: fedele Mi mostro al segno mio, ma di querele Riempio il cielo, urla tu di gaudio hai sciolto. Tu ridi, io piango; io colpa d’un bel volto, A causa tu d’un brutto braccio, e anele Voglie ambo abbiamo: eppure in lamentele Do solo, mentre ridere t’ascolto. Il tuo demone riempie di energie, Di sprezzo del dolore, & è perfetta Estasi, a differenza della mia. Tanto il trasporto dentro me difetta Che gemo; tanto può in te bramosia, Che alle volte ti fai co’ ‘na forchetta.
336. Capriccio II.
23 SetSIRINGA. Manda un’eco di morte lo strumento Che impieghi a dar sollazzi alla tua vita; Il mio, che una metafora m’invita A chiamare ugualmente, non dà accento. Quello che impieghi fuor di sentimento Ti manda, & hai la fonte inaridita D’ogni affetto; di fiato a forza, & dita, Tento sonare il mio; ma nulla sento. Tossico tu ti chiami, e t’avvelena Certo il sangue sostanza spaventosa, Che però canta quando ce l’hai in vena. La mia mania è una più leggiadra cosa, Ma al canto non ha più fiato, né lena, E m’addolora, perlopiù ritrosa.
335. Capriccio I.
23 SetDI UN CONOSCENTE TOSSICO CHE FRASTORNAVA UN MIO TENTATIVO POETICO. Mentre tento spillare da Ippocrene Qualche verso non meno d’altri indegno, Tu indefesso persegui il tuo disegno, Facendo la rassegna delle vene. Parli, cercando quella che conviene, Non soltanto senz’ombra di ritegno, Ma annichilendo a chiacchiere in me impegno Che con silenzio e requie si sostiene. Sicché di te già ambo la tasca ho piena, E mentre in non poetica siringa Versi il veleno, e versi quello in vena, La vena a me, benché a mio modo io spinga, Arida d’entusiasmi getta a pena, Comech’estasi tua la mia respinga.
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