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CHI SI CREDE ESSER PIV’ SAUIO DE GLI ALTRI, QVELLO E’ PIV’ PAZZO DI TVTTI. Non so in che cosa fondi quel signore La convinzione della sua saviezza; ma alza la gamba come chi spetezza, Due girandole ha in mano (ma che amore) E ha un gusto nel vestire che fa orrore, Non so su che pianeta lo s’apprezza; Comunque sia, una bestia da cavezza Mostra più dignitoso aver tenore. Chi ha un chilo o due di pomodori molli Al posto del cervello, agli sfasciumi Essere ultimi ignora, estremi crolli. PERCHE’ IL SAGGIO DE’ SAGGI ESSER PRESVMI, IL PIV’ FOLLE SEI TV’, DI TVTTI I FOLLI, SE NON EMPION TVA MENTE ALTRO, CHE FVMI.
CHI PIGLIA L’ANGVILLA PER LA CODA E LA DONNA PER LA PAROLA PVO’ DIR CHE NON TIEN NIENTE. Per quanto pesi, & la coscienza roda, Val la pena di dire che si deve Donna ed anguilla l’afferrar non lieve Al fatto che ambedue tengon la coda. L’anguilla forse, non seguendo moda, La mostra più sovente; & sotto greve Guardinfante la donna la non breve Appendice a occultare par che goda. Ma ambedue certi giorni, come invase Dall’estro, quell’attrezzatura immonda Mostrano a genti solo a ciò persuase. CHI LE SPERANZE SVE FABRICA, & FONDA DI FEDE FEMINIL SOURA LA BASE, GETTA I SUOI FONDAMENTI A’ L’AVRA, A’ L’ONDA.
CHI RICEUE UN’INGIURIA SCRIVE IN MARMO, E CHI LA’ FA’ IN POLVE. Tu che offendi, che oltraggj, un altro metro Spetta a te & a chi offendi; ché quest’uno Commette, in modo quantomai importuno, La memoria del danno a un marmo tetro; Che non solo ad accogliere un feretro E’ più adatto, ma pesa, & uno ad uno Assommandosi, un peso che nessuno Porta vorrebbe pur portarsi dietro. Più saggio, tu prosegui le offensive Imprese, poiché il vento ne dissolve Il registro, con quanto vi s’inscrive. CHI D’OFFENDER ALTRVI PENSA, E RISOLVE, DOURA PENSARE, E RIPENSAR, CHE SCRIVE L’OFFESO IN MARMO, E L’OFFENSORE IN POLUE.
CHI LAUA LA TESTA ALL’ASINO, PERDE IL TEMPO, ET IL SAPONE. D’acconciatura morbida alla moda Vorresti tu adornare il capo al ciuccio, Pensando a quanto poi sarà caruccio, Passando in via, a ciascuno che lo loda. Ma quando il capo ha tutto unto di broda, L’asino, che non s’ama assettatuccio, T’ammolla un calcio, e dice, con corruccio: Stronzo! Piuttosto, acconciami la coda. Tu che pensavi vanitosamente A un asino a tua indole accismato, Premi il ginocchio leso, e fai, gemente: STENTA INERME SE SAI, TRAVAGLIA ARMATO PER ANIMA UILLANA, & SCONOSCENTE, CHE’ MERCE’ NON S’OTTIEN DA UN CORE INGRATO.
CHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO. Se afferrare tu vuoi la donna strana, Nuda, che il corno divite brandisce, Che tanto attrae, che tanto incuriosisce, Capelli al vento, & priva di sottana, Bada che non ti sfugga; s’allontana A gran passi, e chi coglierla fallisce Di rimpiangerla poi maipiù finisce; E arriva a darle fin della puttana! Ma a nulla serve il gemere tardivo, E il tacciarla d’infida, e inopportuna, In base ad un diritto putativo. NON PERDER, SAGGIO, OCCASIONE ALCUNA, CHE’ S’IL TEMPO NON PRENDI, E’ FUGGITIVO; CALUA, SE NON L’AFFERRI, E’ LA FORTVNA.
CHI E’ IMBARCATO COL DIAVOLO, HA DA PASSARE IN SUA COMPAGNIA. Non sempre è lieto il tempo scorso in viaggio, Specialmente s’è viaggio, & non vacanza, E specialmente s’è lunga distanza Da percorrersi, e sia un perù il pedaggio. Peggio di tutto è se chi dà il passaggio E’ il diavolo in persona, che ha l’usanza Di darti sempre con il remo in panza, Dando della sua fama & prova & saggio. In mezzo al mare, il portentoso grido Del passeggero, che ne ha pena immonda, Non s’ode mica; ah! che nocchiero infido. RARO E’ BEN QVEL NOCCHIER, CHE NON S’AFFONDA, E APPRODA AL PORTO, O’ SI RICOURA AL LIDO, SE DE’ UITIJ NEL MAR SI FIDA A’ L’ONDA.
CHI DORME, NON PIGLIA PESCE. Grava ipoteca gl’interessi umani La Fatìca, che tantopiù s’accresce Quantopiù l’impres’opera non riesce, E quanto più si fan gli sforzi vani. Chi vuol pescare stenda reti, e immani Tempi aspetti; per lui ben mi rincresce. Chi invece, come me, non ama il pesce, Si stenda al rezzo, cogli altri vegani. Resti sparato poi cui invece piace Venando andar di bestie dietro l’orma, Ch’io in pace lascio, e voglio stare in pace. SVOL L’VTILE A’ L’INDVSTRIA ESSER CONFORME. FERE NON PREDA IL CACCIATOR, CHE GIACE, RETE NON EMPIE IL PESCATOR, CHE DORME.
CHI BEN COMINCIA HA’ LA META’ DELL’OPRA. NE’ SI COMINCIA BEN, SE NON DAL CIELO. Sono aridi e sassosi i campi tuoi; L’aratro ha rotto il vomere; hai la rogna; Hai dieci figlj, & vivi in una fogna; Han l’afta epizootica quei buoi. T’aspetta un gran lavoro, se pur vuoi Cogliere il frutto che da te si sogna; Ben cominciare, dunque, ti bisogna, Con mezzi di fortuna, irti & squarquoi. In tanta estremità qual è il più degno Modo che trovi a uscir dal rovinio? Quello che uscir da un capo può di legno: ECCO PROSTRATO AL CIEL LE PRECI INUIO, POICHE DA COMINCIAR L’OPRA, E ‘L DISEGNO, COME LINEA DA PUNTO, HA’ L’HVOM DA DIO.
CADER NON PVO’, CHI HA LA VIRTV’ PER GVIDA. Seguire la Virtù è su un mezzo rotto Asse un incerto andare; né di scampo Speranza avresti, al vento, al tuono, al lampo, Se non ci fosse lei: cadresti a un botto. Compagna irrinunciabile, a dirotto Piover dovesse, ed un minato campo L’asse venisse di centun inciampo, Se scivoli, la puoi buttar di sotto. Tanto, è alata. E negli attimi funesti Che risultar potrebbero fatali, Meglio lei che non te – tu m’intendesti. NON PAVENTAR DI PRECIPITIJ, O’ MALI, SE PER TVA SCORTA LA UIRTV’ SCIEGLIESTI, GIA’ A PRESERUAR LA TVA SALVTE HA’ L’ALI.
LA BOTTE DA’ DEL VINO, CH’ELL’HA’. Pestando calze, straccj, catenaccj Con uve del più infido tipo, e amaro, S’ottiene un vino, tra lo scuro e il chiaro, Rifiutato dai più fetenti spaccj. Chi di produrlo l’empia impresa abbraccj, Avverta che da Chieri a Quarto Oggiaro, Non se ne dà meno pregiato, o caro, O che gli strappi il serto tra i vinaccj. Avverta che annusarlo solo è pena; E’ pianto il valutarne il solo aspetto; Morte mescerne. Avverta che avvelena. SVOL CONFORME A LA CAVSA ESSER L’EFFETTO; NE’ D’INFETTO LIQVOR L’VRNA RIPIENA VALE A SOMINISTRAR BALSAMO ELETTO.
IL SAVIO FA’ DI NECESSITA’ VIRTV’. L’orca vorace delle brame indenne Lascia il sapiente, che le brame adegua Del possibile a lui giusto alla stregua, E al volo dei Vorrei tronca le penne; Decolla gli appetiti, e la bipenne Cala sui piedi al fasto, a cui dilegua Tanta parte d’erarj, acché non segua A voluttà pianto di forze menne. Tanto dei suoi voleri egli è signore, Che, dov’è forza, a tutto soprassiede, Finché smette il respiro, e quieto muore. SAGGIO E’ COLVI, CH’OVE BISOGNO IL CHIEDE SECONDAR DE LE STELLE IL RIO TENORE, E LA FATAL NECESSITA’ SI UEDE.
L’ASINO, BENCHE’ TRISTO SIA, STIMVLATO ALLE VOLTE TIRA QVALCHE CALCIO. Perverso uso più d’altri tra le genti La morale misura e definisce Sul fatto se reagisce o non reagisce La vittima; se no, vai coi tormenti! Bòtte & dolori sono gli strumenti Con cui l’uomo tiranno annichilisce La volontà, la dignità ferisce, Sforma es, rimodella subcoscienti. L’asino assai di rado d’ira acceso Le poche volte che d’aceto prende, Scalcia, e si fa offensore, ch’era offeso. E L’ABIETTO, & LHVMIL CHI UILIPENDE, GIA’ SUPPOR NON SI DEE D’IRSENE ILLESO, CH’A’ LE FORMICHE ANCOR L’IRA S’ACCENDE.
AMOR NON VA SENZA GELOSIA.
Passione apprende di bellezza adorna
Come un incendio, che con mille lingue
Consumi più edificj, e non distingue
Tra stili architettonici; né storna
Nulla dal divorare, & sempre torna
A rilambire muri, finché, pingue
Bottino fatto, ormai si smorza, estingue
– Così grazie ai pompieri; o a un par di corna.
Ma come rischia sempre venir fioco,
E’ un fuoco che di freddo sempre freme;
Volendosi realtà, teme esser gioco.
NON AMA UN COR, SE NE L’AMAR NON TEME,
NULLA UAL SENZA GEL D’AMORE IL FOCO,
CH’AMORE, E GELOSIA NACQUERO INSIEME.
IL BVON AMICO NEL MAL SI CONOSCE. Finché si passa il tempo in compagnia, Tra canti e balli, evoè, giri di zozza, Conversari alla buona, & alla rozza, Senza che nulla in più implicato sia, E gli paghi da bere, in simpatia, E gli presti la casa, e la carrozza, E con lui scambj qualche donna sozza, Sostanze psicoattive, & così via, Non sai per nulla quanto puoi contare Sull’altro in altri casi; a ciò che dico Presta orecchio, ah! non farti buggerare! S’ALTRI E’ RICCO DI FEDE, O PUR MENDICO, L’OCCORRENZA A TE ‘L DICA, AH SOLO APPARE FRA’ GL’INCERTI PERIGLJ IL CERTO AMICO.
A CHI TI PUO’ TRARRE CIO’ CHE HAI, DAGLI CIO’, CHE TI CHIEDE. Se sconosciuto con la spada in mano T’affronta, oh vecchio debole, & sguarnito, E minaccioso accenna con il dito Al sacco d’oro ch’hai sotto il pastrano, Tu, nel considerare il disumano Aspetto del brutale, empio bandito, Il negargli ciò dond’egli ha appetito, Di’ un poco a me, non ti parrebbe strano? Ché sarebbe in un attimo smentita Qualunque idea di chiuder l’avventura Tu con loro, & lui senza, & lì finita. CEDI A’ L’ASSALITOR L’ORO, E ASSICURA PER TUO DANNO MINOR LA PROPRIA VITA, E ‘L TUO VOLER CO ‘L SUO POTER MISURA.
353. Proverbio XV.
24 SetCHI SI CREDE ESSER PIV’ SAUIO DE GLI ALTRI, QVELLO E’ PIV’ PAZZO DI TVTTI. Non so in che cosa fondi quel signore La convinzione della sua saviezza; ma alza la gamba come chi spetezza, Due girandole ha in mano (ma che amore) E ha un gusto nel vestire che fa orrore, Non so su che pianeta lo s’apprezza; Comunque sia, una bestia da cavezza Mostra più dignitoso aver tenore. Chi ha un chilo o due di pomodori molli Al posto del cervello, agli sfasciumi Essere ultimi ignora, estremi crolli. PERCHE’ IL SAGGIO DE’ SAGGI ESSER PRESVMI, IL PIV’ FOLLE SEI TV’, DI TVTTI I FOLLI, SE NON EMPION TVA MENTE ALTRO, CHE FVMI.
352. Proverbio XIV.
24 SetCHI PIGLIA L’ANGVILLA PER LA CODA E LA DONNA PER LA PAROLA PVO’ DIR CHE NON TIEN NIENTE. Per quanto pesi, & la coscienza roda, Val la pena di dire che si deve Donna ed anguilla l’afferrar non lieve Al fatto che ambedue tengon la coda. L’anguilla forse, non seguendo moda, La mostra più sovente; & sotto greve Guardinfante la donna la non breve Appendice a occultare par che goda. Ma ambedue certi giorni, come invase Dall’estro, quell’attrezzatura immonda Mostrano a genti solo a ciò persuase. CHI LE SPERANZE SVE FABRICA, & FONDA DI FEDE FEMINIL SOURA LA BASE, GETTA I SUOI FONDAMENTI A’ L’AVRA, A’ L’ONDA.
351. Proverbio XIII.
24 SetCHI RICEUE UN’INGIURIA SCRIVE IN MARMO, E CHI LA’ FA’ IN POLVE. Tu che offendi, che oltraggj, un altro metro Spetta a te & a chi offendi; ché quest’uno Commette, in modo quantomai importuno, La memoria del danno a un marmo tetro; Che non solo ad accogliere un feretro E’ più adatto, ma pesa, & uno ad uno Assommandosi, un peso che nessuno Porta vorrebbe pur portarsi dietro. Più saggio, tu prosegui le offensive Imprese, poiché il vento ne dissolve Il registro, con quanto vi s’inscrive. CHI D’OFFENDER ALTRVI PENSA, E RISOLVE, DOURA PENSARE, E RIPENSAR, CHE SCRIVE L’OFFESO IN MARMO, E L’OFFENSORE IN POLUE.
349. Proverbio XII.
23 SetCHI LAUA LA TESTA ALL’ASINO, PERDE IL TEMPO, ET IL SAPONE. D’acconciatura morbida alla moda Vorresti tu adornare il capo al ciuccio, Pensando a quanto poi sarà caruccio, Passando in via, a ciascuno che lo loda. Ma quando il capo ha tutto unto di broda, L’asino, che non s’ama assettatuccio, T’ammolla un calcio, e dice, con corruccio: Stronzo! Piuttosto, acconciami la coda. Tu che pensavi vanitosamente A un asino a tua indole accismato, Premi il ginocchio leso, e fai, gemente: STENTA INERME SE SAI, TRAVAGLIA ARMATO PER ANIMA UILLANA, & SCONOSCENTE, CHE’ MERCE’ NON S’OTTIEN DA UN CORE INGRATO.
348. Proverbio XI.
23 SetCHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO. Se afferrare tu vuoi la donna strana, Nuda, che il corno divite brandisce, Che tanto attrae, che tanto incuriosisce, Capelli al vento, & priva di sottana, Bada che non ti sfugga; s’allontana A gran passi, e chi coglierla fallisce Di rimpiangerla poi maipiù finisce; E arriva a darle fin della puttana! Ma a nulla serve il gemere tardivo, E il tacciarla d’infida, e inopportuna, In base ad un diritto putativo. NON PERDER, SAGGIO, OCCASIONE ALCUNA, CHE’ S’IL TEMPO NON PRENDI, E’ FUGGITIVO; CALUA, SE NON L’AFFERRI, E’ LA FORTVNA.
347. Proverbio X.
23 SetCHI E’ IMBARCATO COL DIAVOLO, HA DA PASSARE IN SUA COMPAGNIA. Non sempre è lieto il tempo scorso in viaggio, Specialmente s’è viaggio, & non vacanza, E specialmente s’è lunga distanza Da percorrersi, e sia un perù il pedaggio. Peggio di tutto è se chi dà il passaggio E’ il diavolo in persona, che ha l’usanza Di darti sempre con il remo in panza, Dando della sua fama & prova & saggio. In mezzo al mare, il portentoso grido Del passeggero, che ne ha pena immonda, Non s’ode mica; ah! che nocchiero infido. RARO E’ BEN QVEL NOCCHIER, CHE NON S’AFFONDA, E APPRODA AL PORTO, O’ SI RICOURA AL LIDO, SE DE’ UITIJ NEL MAR SI FIDA A’ L’ONDA.
346. Proverbio IX.
23 SetCHI DORME, NON PIGLIA PESCE. Grava ipoteca gl’interessi umani La Fatìca, che tantopiù s’accresce Quantopiù l’impres’opera non riesce, E quanto più si fan gli sforzi vani. Chi vuol pescare stenda reti, e immani Tempi aspetti; per lui ben mi rincresce. Chi invece, come me, non ama il pesce, Si stenda al rezzo, cogli altri vegani. Resti sparato poi cui invece piace Venando andar di bestie dietro l’orma, Ch’io in pace lascio, e voglio stare in pace. SVOL L’VTILE A’ L’INDVSTRIA ESSER CONFORME. FERE NON PREDA IL CACCIATOR, CHE GIACE, RETE NON EMPIE IL PESCATOR, CHE DORME.
345. Proverbio VIII.
23 SetCHI BEN COMINCIA HA’ LA META’ DELL’OPRA. NE’ SI COMINCIA BEN, SE NON DAL CIELO. Sono aridi e sassosi i campi tuoi; L’aratro ha rotto il vomere; hai la rogna; Hai dieci figlj, & vivi in una fogna; Han l’afta epizootica quei buoi. T’aspetta un gran lavoro, se pur vuoi Cogliere il frutto che da te si sogna; Ben cominciare, dunque, ti bisogna, Con mezzi di fortuna, irti & squarquoi. In tanta estremità qual è il più degno Modo che trovi a uscir dal rovinio? Quello che uscir da un capo può di legno: ECCO PROSTRATO AL CIEL LE PRECI INUIO, POICHE DA COMINCIAR L’OPRA, E ‘L DISEGNO, COME LINEA DA PUNTO, HA’ L’HVOM DA DIO.
344. Proverbio VII.
23 SetCADER NON PVO’, CHI HA LA VIRTV’ PER GVIDA. Seguire la Virtù è su un mezzo rotto Asse un incerto andare; né di scampo Speranza avresti, al vento, al tuono, al lampo, Se non ci fosse lei: cadresti a un botto. Compagna irrinunciabile, a dirotto Piover dovesse, ed un minato campo L’asse venisse di centun inciampo, Se scivoli, la puoi buttar di sotto. Tanto, è alata. E negli attimi funesti Che risultar potrebbero fatali, Meglio lei che non te – tu m’intendesti. NON PAVENTAR DI PRECIPITIJ, O’ MALI, SE PER TVA SCORTA LA UIRTV’ SCIEGLIESTI, GIA’ A PRESERUAR LA TVA SALVTE HA’ L’ALI.
343. Proverbio VI.
23 SetLA BOTTE DA’ DEL VINO, CH’ELL’HA’. Pestando calze, straccj, catenaccj Con uve del più infido tipo, e amaro, S’ottiene un vino, tra lo scuro e il chiaro, Rifiutato dai più fetenti spaccj. Chi di produrlo l’empia impresa abbraccj, Avverta che da Chieri a Quarto Oggiaro, Non se ne dà meno pregiato, o caro, O che gli strappi il serto tra i vinaccj. Avverta che annusarlo solo è pena; E’ pianto il valutarne il solo aspetto; Morte mescerne. Avverta che avvelena. SVOL CONFORME A LA CAVSA ESSER L’EFFETTO; NE’ D’INFETTO LIQVOR L’VRNA RIPIENA VALE A SOMINISTRAR BALSAMO ELETTO.
342. Proverbio V.
23 SetIL SAVIO FA’ DI NECESSITA’ VIRTV’. L’orca vorace delle brame indenne Lascia il sapiente, che le brame adegua Del possibile a lui giusto alla stregua, E al volo dei Vorrei tronca le penne; Decolla gli appetiti, e la bipenne Cala sui piedi al fasto, a cui dilegua Tanta parte d’erarj, acché non segua A voluttà pianto di forze menne. Tanto dei suoi voleri egli è signore, Che, dov’è forza, a tutto soprassiede, Finché smette il respiro, e quieto muore. SAGGIO E’ COLVI, CH’OVE BISOGNO IL CHIEDE SECONDAR DE LE STELLE IL RIO TENORE, E LA FATAL NECESSITA’ SI UEDE.
341. Proverbio IV.
23 SetL’ASINO, BENCHE’ TRISTO SIA, STIMVLATO ALLE VOLTE TIRA QVALCHE CALCIO. Perverso uso più d’altri tra le genti La morale misura e definisce Sul fatto se reagisce o non reagisce La vittima; se no, vai coi tormenti! Bòtte & dolori sono gli strumenti Con cui l’uomo tiranno annichilisce La volontà, la dignità ferisce, Sforma es, rimodella subcoscienti. L’asino assai di rado d’ira acceso Le poche volte che d’aceto prende, Scalcia, e si fa offensore, ch’era offeso. E L’ABIETTO, & LHVMIL CHI UILIPENDE, GIA’ SUPPOR NON SI DEE D’IRSENE ILLESO, CH’A’ LE FORMICHE ANCOR L’IRA S’ACCENDE.
329. Proverbio III.
22 Set
328. Proverbio II.
22 SetIL BVON AMICO NEL MAL SI CONOSCE. Finché si passa il tempo in compagnia, Tra canti e balli, evoè, giri di zozza, Conversari alla buona, & alla rozza, Senza che nulla in più implicato sia, E gli paghi da bere, in simpatia, E gli presti la casa, e la carrozza, E con lui scambj qualche donna sozza, Sostanze psicoattive, & così via, Non sai per nulla quanto puoi contare Sull’altro in altri casi; a ciò che dico Presta orecchio, ah! non farti buggerare! S’ALTRI E’ RICCO DI FEDE, O PUR MENDICO, L’OCCORRENZA A TE ‘L DICA, AH SOLO APPARE FRA’ GL’INCERTI PERIGLJ IL CERTO AMICO.
327. Proverbio I.
22 SetA CHI TI PUO’ TRARRE CIO’ CHE HAI, DAGLI CIO’, CHE TI CHIEDE. Se sconosciuto con la spada in mano T’affronta, oh vecchio debole, & sguarnito, E minaccioso accenna con il dito Al sacco d’oro ch’hai sotto il pastrano, Tu, nel considerare il disumano Aspetto del brutale, empio bandito, Il negargli ciò dond’egli ha appetito, Di’ un poco a me, non ti parrebbe strano? Ché sarebbe in un attimo smentita Qualunque idea di chiuder l’avventura Tu con loro, & lui senza, & lì finita. CEDI A’ L’ASSALITOR L’ORO, E ASSICURA PER TUO DANNO MINOR LA PROPRIA VITA, E ‘L TUO VOLER CO ‘L SUO POTER MISURA.
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