Tag Archives: gorey

548. Gashlycrumb Tinies 8.

26 Mag

 

Y sta per YORICK, che si prese un colpo in testa.

Curiosità appagare è una virtù
Se più t’innalza quanto più va a fondo;
E il tuo voler sapere o è stolto, o è immondo:
Ché (il cuore ad avvilire) hai gli occhj in sù.

 

Oh ad elevarti il Coppo viene giù:
Par dire: “Hai domandato? E io rispondo;
E, mentre il vero a te più non nascondo,
Rivelo a me che cosa cerchi tu”.

 

Gli occhj abbassi; ma è tardi, te n’avverto:
Ché (parrà strano) il Vero mai si vide
Trovar passaggio dentro un cranio aperto;

 

Mentre al virtuoso Coppo ora sorride,
Ch’è adesso fatto onninamente certo
Che, se va in testa a un ebete, l’uccide.

538. Gashlycrumb Tinies 5.

30 Apr



V sta per VICTOR, stritolato da un treno.
VICTOR, la vita è attesa; nel suo nascere
L’uomo, anche a strida altrui chiami attenzione,
Bagnetti, vezzi, e cambj di pattone
Deve attendere, e chi lo venga a pascere.
Non meglio a chi sort’ha d’inveterascere
Riserva il prossimo, e ogni istituzione:
Sempre od un boja, o un capo, od un padrone
Pressar non puoi se non a farlo irascere.
Avresti atteso, in ore laboriose,
Il tuo dovere onninamente assolto,
Tra contrattempi e angustie burrascose;
Infine avresti invano, ormai prosciolto,
Pregustato ore quiete e luminose;
Per essere, in quell’attimo, travolto.

537. Gashlycrumb Tinies 4.

30 Apr



S sta per SUSAN, uccisa dalle convulsioni.
Cara, cos’hai? Dimmi che cos’accusa
La tenue complessione; inarchi il dorso:
Epilessia? Isteria? Chiedi soccorso?
Hai tremiti? Sudori? Gola occlusa?
Scaracchiando rispondi alla rinfusa;
Non sguindolar così! O ti metto il morso.
Vuoi la boule? Acqua? O di cognacche un sorso?
Un secchio di lisciva? E parla, scusa!
Tolti afta, crup, tibbì non è evidente
(Tinta bluastra, bave, macchie al derma)
Segno di qualche tossico in te agente.
Laringospasmo? Una crosta rafferma?
Se non stai ferma non capirò niente.
Sta’ ferma un po’, ti dico! Ferma! Ferma.

T sta per TITUS, che volò via in pezzetti.
TITVS, che mai sperasti, in quello, allora
Che lo schiudesti, non a te inviato
Piego, ci stesse, ben involtolato?
Soldi? Segreti? Un altro gioco ancóra?
Non men perverso inverso di Pandora,
Tu un sigillo contr’ordine hai violato;
Però in persona & sùbito hai pagato,
Scampò quell’antichissima signora.
Meglio così; ché lei ha maledetto
D’indi in avanti ogni generazione;
Mentre con te il peccato ond’eri infetto
Si volatilizzò nell’esplosione.
Spetta alla tua memoria intatto affetto,
E al tuo sasso una nobile iscrizione.

U sta per UNA, che scivolò dentro uno scarico.
Forse il capino lurido ora aspetta
L’angelica carezza, una menzione
Commossa, una teodia, un’assunzione
In cielo, e chissà che altro. Ah: poveretta!
Lasciare questa valle maledetta
Per quel buco non è, cara, espiazione:
Ma è passare dal cesso allo sciacquone,
Sicché alcun premio, oh trist’a te, ti spetta.
L’esser nostro con non molto più indugio,
Sappilo, e le consimili materie,
Scoleran per consimile pertugio;
Avrà noi tutti non men fonda inferie,
Tutti i piaceri un fetido stambugio,
E un collettore tutte le miserie.

526. Gashlycrumb Tinies 3.

26 Feb



O sta per OLIVE, trafitta da una lesina.

Benché fastidio Socrate ostentasse
Spettando ad una danza delle spade,
Rischio e gioco due ben distinte strade
Sempre non sono: e par così pensasse
Anche OLIVE (benché in vita maturasse
Nozioni filosofiche un po’ brade).
Delle due vie all’incontro questo accade:
Altro che gioja, & che risate grasse!
Più di gaudio e di giubilo non brilli,
Bambina avventurosa, a quel che pare;
Se odo risate, certo non gli strilli
Son tuoi, breve preludio al rantolare;
Ma, nel vederti fatta puntaspilli,
Di quelli che ti stavano a guardare.

P sta per PRUE, che rimase appiattito con gran fracasso.
PRUE, della perdizione e dell’inferno
Dietro quest’uscio sta la vera idea;
V’è chi l’alcool ottunde i sensi e bea,
Con l’azzardo ed i lazzi abuso alterno.
Tutto quel che vedresti, dall’esterno,
La toppa illuminasse quella rea
Turba che involge una flegetontea
Nebbia, o in vapori un bollicante averno.
Come nulla discernere da fuori
Si può, così non s’ode variazione
Tra tanto accavallarsi di fragori;
E quando quelle tre degne persone
Uscirono a chiarirsi, di fortori
Fu un vampo, e un bujo, poi, senza ragione.

Q sta per QUENTIN, che affondò in un acquitrino.
QUENTIN, ch’è mai la vita? Uno d’inciampi
Cammino, e di tranelli & pecche pieno;
È un infido, è un cedevole terreno
Che afferra il piede che orma in esso stampi;
E divorano le orme stesse i campi
Dall’uomo andati in oblivioso seno;
Perché altri segua, e spaja in un baleno,
Fuoco fatuo in palude, che arda & svampi.
Poco avendo vissuto, o nulla affatto,
Accolto appena in questo biosistema,
Non solo dove il tutto, putrefatto,
Si macera ti colse l’ora estrema;
Ma, si può dire, dalla vita astratto,
Cadesti della vita entro l’emblema.

R sta per RHODA, consumata dal fuoco.
RHODA, è di fuoco il Sole; il primo istante
Del Cosmo fu di fuoco; e anche l’impulso
Sinaptico non è dal fuoco avulso;
Dà a vive, e vita trae da morte piante;
Il fuoco sanità, cauterizzante,
Alle membra ridà, abscessu pulso;
Il fuoco salva il tempo, se l’insulso
Scritto divora; il fuoco è fecondante
La terra brulla; e, ardendo nelle stelle,
Rende la notte al viaggiatore priva
D’inghippo, e volge in fuga empio perduelle.
Che non avviva? Ed anche te, cattiva,
Che t’agiti ricinta di fiammelle,
Ve’ come ha fatto & più brillante, & viva!

524. Gashlycrumb Tinies 2.

23 Feb

G sta per GEORGE, soffocato sotto un tappeto.

È la curiosità, mi sembra un fatto,
Secondo i casi o un pregio, o un gran difetto,
Se riferita ad un erroneo oggetto
(Senza scordar ch’è lei che uccise il gatto).
Povero GEORGE, te che ignorando affatto
Quanto ha di meritevole in effetto
D’essere noto al mondo, in tanto stretto
Pertugio ad infilarti cos’ha tratto?
Se spazî aveva il mondo a spalancarti,
T’ha adesso angustia in ogni parte ingombra;
Se aveva il mondo varietà di parti,
Solo una parte ormai il tutto a te adombra;
Se aveva lumi il mondo a soddisfarti,
Hai i lumi chiesti, adesso, ma in quell’ombra.

H sta per HECTOR, catturato da un thug.

HECTOR, cui mancherà, a te io dico,
Tempo di farti eroe, di brandire armi,
Di dar memorie a carte & fregj a marmi,
E di morire in pro’ d’un fido amico,
Già delle aurore tue sul raggio aprico
Si stende l’ombra; a te non inni o carmi
Spetteranno: ché senza tuoi allarmi
Ti conosce, e t’ha scelto già il nemico.
Oh cólla bionda zazzerina inglese
Quanto contrasto con le braccia nere
Cól laccio in te fatidico protese!
Quanto increscioso ahité diggià cadere
Prima che le legittime pretese
Dell’India schiava in te ben chiare avere!

I sta per IDA, annegata nel lago.

Se l’Eterno ha pietà, non è cói bimbi;
Corrano pure contro i fati avari
I puritani ad umidi ripari,
E i cattolici vati a inventar limbi;
Non cristiana sapienza, cói suoi nimbi
Squallenti, ma cói suoi Narcisi amari
Paganità più antica, cói suoi chiari
Cieli lontani ormai dagli aurei cimbi:
Quella t’avrebbe instrutta chiaramente,
Povera IDA, che fin troppo amante
Dell’equorea gemella, e fatalmente,
Poggiavi sulla prua malferme piante;
Mancando specchî all’inesperta mente,
Mancò la vista all’occhio speculante.

J sta per JAMES, che bevve per sbaglio la lisciva.

JAMES, non sapevi che non cribra l’urto
La vendetta del cielo sul peccante?
E la tua colpa fu in tutto bastante
A suscitarne le ire; essendo un furto!
Tu che speravi, a proibite assurto
Altezze, d’ingannar l’occhio vegliante,
Scendevi in fatto ad atto ripugnante;
Né che hai ingannato te al conto decurto.
E chissà quante non irrepetito
Volte restò il materno avviso a che
Fossi d’aspetto proprio, e ben pulito;
Proprio quella bottiglia toccò a te,
Sozzo entro e fuori; e, non fossi punito,
A quest’ora sapresti anche il perché.

K sta per KATE, che fu colpita da un’ascia.

Inorridisca il mondo, e strambasciato
Chieda a dio la ragione del massacro;
Come cruento meritò lavacro
Nevoso il suolo, il filo ben temprato?
Chieda: Quel corpicino abbandonato
Perché giace in incognito ambulacro
Come un agnello a un morto nume sacro?
Che avrebbe in vita sua mai combinato?
Oh l’insensato mondo, quanto abusi
Della pazienza sua; & il seme d’Eva
Quanto risenti, mentre il cielo accusi!
Di’, invece: E KATE, colà che mai spingeva?
Dopo aver chissà che divieti elusi,
Fuor di casa, da sola, che faceva?

L sta per LEO, che inghiottì alcuni chiodi.

Non so, piccino mio, se mai chiamarti
Scapato ben punito, o far menzione
Tua in quanto di virtù vero LEOne,
In base a quello che riuscisti a farti.
La fortezza che tra gli eroi insinuarti
Può, maggior dell’età, di dimensione,
Val quella chiesta per l’insinuazione
Di chiodi in gola, ed in più fonde parti.
Nuovo di pietre, ferro, ed altro, a muzzo
Non è stipar tra i santi il proprio interno;
Come i fachiri. O come capra o struzzo,
Ed altri bruti, se pur ben discerno!
Insomma, io non so se al pasto aguzzo
Spetti più scherno; o il cielo; ossia l’inferno.

M sta per MAUD, che fu trascinata in alto mare.

Sfascj, urti, cozzi, sirti, avide stragi
Di corsari: io non so da cosa sfugge
La tua zattera, oh MAUD, mentre ti rugge
L’oceano intorno, gonfio di naufragj;
Ma la tua dai preteriti disagj,
Nembo che passa, e tutto non distrugge,
Talora –, idea vedo che innanzi fugge
A cogliere dei prossimi i presagj;
E a quell’idea levando ambe le mani
Cerchi inconscia o parare l’incombente,
O attirar sul tuo fato sguardi umani.
Ma come il mondo privò d’altra gente
Il gorgo, strapperà anche a te il domani,
Segno di resa non ti varrà a niente.

N sta per NEVILLE, che morì di noja esistenziale.

NEVILLE, il mondo è fuori: la natura,
La gente, le città, i saperi, il vero,
I frutti di fatìca e di pensiero,
I cieli e i mari, & ogni età futura.
Non tra il bujo covata in quattro mura
Gemma felicità, nel chiuso nero;
Tristezza ereditaria, atro mistero
Non fruttan verità, se non impura.
Lo sguardo tuo d’un deformato metro
Si dota; com’è ovvio, fino a quando
S’appunta avendo tramite quel vetro.
Fu dalla vita a te il secondo bando,
Morte, che tutto il tempo ti fu dietro,
Tutto il tempo sul còllo a te alitando.

523. Gashlycrumb Tinies.

18 Feb



Il postaggio di jersera fu un po’ fulmineo; non che non credessi necessario accompagnare l’operazione a qualche succinta indicazione, ma il tempo stringeva, e non ho avuto modo. Non avrei proceduto – o forse sì, ma non adesso – a dedicare un sonetto a ciascuna delle tavole macabre (1963) di Edward Gorey (1925-2000) se non mi fossi ritrovato nella dashboard insistenti link al blog di Antonella Pizzo, che ha appunto manifestato l’intenzione di fare qualcosa del genere, producendo il primo sonetto della serie. Da una parte il sonetto si presenta molto libero, e io non so giudicarlo; ma quello che mi rendeva un po’ perplesso era proprio l’uso del sonetto come epigrafe, in controcanto con l’immagine, parendomi un po’ lunghetto. Gorey, peraltro, ha pensato solamente a un verso per tavola. Dato che non sapevo come il sonetto e immagini potessero associarsi, mi sono voluto provare a mia volta.

Ringrazio alcor per la segnalazione dell’errore di battitura sfuggitomi nel titolo; mi sono sforzato anche di ridurre il formato delle immagini e del testo, in modo che tutto stia incolonnato; benché il risultato non mondi nespole, non credo sia possibile far meglio. Per una definizione migliore delle immagini, guardate qui.

A sta per AMY, che cadde dalle scale.
AMY, ch’è piccolina, posto male,
Parrebbe, il suo minuscolo piedino
Sul primo (e più fatidico) gradino,
Fa a capofitto, ahilei, tutte le scale.
Cade così chi il passo incipitale
Trascura; ché ha precipite destino
Chi ignora che, se più passi ha il cammino,
Tutto il cammino il primo passo vale.
La malferma innocenza rappresenta
La figuretta bianca, che risalta
Sopra il nero scaleo in cui s’avventa;
Così piccolo piede tale salta
Da grande altezza; così in basso spenta
Giace chi mai non diverrà più alta.
B sta per BASIL, assalito da orsi.
Non solamente, oh BASIL, la stanzetta
Donde ora sei lontano, sulle piume
Dei tuoi sonni l’amabile volume
Di qualche orsatto morbido ricetta;
D’eguale forma, ma di men ristretta
Dimensione, Natura ne sussume;
E alcuno che, al crepuscolo, orché il lume
Del dì declina, proprio qui t’aspetta!
Quanto le solitudini ignorate
Trascendono la casa che hai smarrito,
Queste forme così sono sformate.
Là a casa, in un libercolo sdrucito
C’era scritto che son sempre affamate.
Ma t’annojava, e non l’hai mai finito.
C sta per CLARA, che morì di consunzione.
Non solamente la brancuta Morte
Sfiorisce e sforma le fisionomie,
E tabi insinua e induce cachessie
In chi ha l’età d’attender tale sorte;
Talvolta per le vie più ignote e torte
Penetra in fresca fibra, e, bizzarrie
Di Natura, vi chiama malattie
Prima di sera a far le ombre già corte.
Se non ci credi, oh bimbo, guarda CLARA
Come la propria morte prefigura
Col teschio del suo volto; & quindi impara,
Se mai chiedi il perché della più dura
Sorte, che spesso agli innocenti è avara,
Che risposta non c’è; o non è sicura.
D sta per DESMOND, sbalzato da una slitta.
Preposto a passatempo, le ali ai venti
Ruba d’inverno il lubrico veicolo,
E fatto in ghiaccj un duplicato vicolo
Sempre s’apre cammini divertenti.
Ignora chi lo monta che i portenti
Suoi per metà si prestano al ridicolo;
Chi sempre va, non manca mai pericolo
Ch’o intralcj il passo, o che sventure avventi.
Sopra i geli invernali scivolando
La slitta sempre va, con lama doppia;
Ma avverta bene chi la sta montando
Che talora va troppo, e il troppo stroppia;
E che se anch’essa va, pure essa, andando,
Col passeggero non va sempre in coppia.
E sta per ERNEST, che fu strozzato da una pesca.
ERNEST, non mi pareva tanto il desco
Quanto mi pare, ad osservarlo, grande,
Condegnamente ricco di vivande
Al tuo appetito, ch’è gargantuesco;
Sicché a trovarne il gran perché non riesco;
Né alla fame, che i suoi dominj espande
Solitamente in case miserande,
Né a che brama può dar frutto di pesco.
Ma a più ragione, inquantoché mancato
È il fomite fattivo acché aggredito
Fosse con tanto spasmo sfondolato
Il frutto, quasi fosse il proibito,
Comunque ardendo d’esso, in gran peccato
Sei caduto; e perciò sei ben punito.
F sta per FANNY, prosciugata da una sanguisuga.
FANNY, che esponi tenera la fibra
All’acqueo specchio, sotto cui non sai
Quali apra fauci, o scopra zanne mai
Strana fauna, che lì repe, o si libra,
I pericoli tuoi pondera, & cribra,
Seppur goccia di sangue in te ancóra hai,
Che ossigeno pur rechi ai focolaj
Delle idee, e la condotta tua equilibra.
Riconosci in te stessa, che inseguendo
Ai caldi statereccj in ciò i ristori,
I calori vitali stai perdendo,
Il malcauto perché dei tuoi dolori;
E a proporzion dell’onta impallidendo,
Tra i caldi estuosi raggelando muori.