Blog appartenente ad un cefalocordato che scrive. Esso (il blog, non il cefalocordato) non rappresenta testata giornalistica in quanto talvolta aggiornato, ma senz'alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della L. n° 62 del vii.iii.mmi; & è l'unica pagina in rete in cui compaja la parola IMBROBITOSO (verificare con gùgol).

Ricerca

anfiosso

  • Intorno [e chi ha orecchie per intendere – ].

909. Giardinetti.

14 Giu

S’erano trattenuti, tutta la famigliola, anche un bel po’ dopo gli orarj soliti – era già l’una & qualcosa. Stavo cominciando a pensare che rompevano i coglioni quando il babbo, in bicicletta, ha dato una voce, Sù, andiamo. Il bambino, in quel momento, s’era afferrato il pacco, e se lo smucinava esibita mente, con tanto di bercj sguajati. La bambina, più grandicella, ha giudiziosamente seguito il babbo, mentre il piccino, ancora con le mani sulle palle, ha tardato un po’. Mentre gli altri due sfrecciavano via s’è messo a frignare Oh nooo, aspettatemi, ma si vedeva che faceva finta. Poi ha inforcato la spicciola anche lui & s’è levato dalla gloria. Chissà cosa c’è dietro (abusi?). Sùbito dopo è arrivato un marocchino, un po’ grosso, dall’aria molto antipatica, che si fa vedere in zona solo ultimamente, e rimane nei dintorni per ore. Tranquillamente s’è levato le scarpe e pian piano s’è lavato i piedi alla fontanella. Non mi formalizzo, ma le abluzioni di prima mattina, magari quando è ancora un po’ bujo, non sono solo una norma di discrezione, ma un piacere. Comunque, contento lui.

  • Commenti 2 commenti
  • Categorie diario

908. Un messaggio.

8 Giu

Jeri m’è arrivata su Messenger una comunicazione che m’ha fatto un’impressione strana. Era una donna, un’israeliana, che, scriveva, sta facendo una qualche ricerca sui kibbutzim e su quelli che vi sono vissuti – anche parecchio tempo fa, a quel che se n’evince. Faceva il nome di mia madre, chiedendomi se per caso fossi io quel David Ramanzini che si attribuiva a mia madre come figlio. Quanto all’attribuzione, essa si doveva ad un mio zio, that lives in London. In questo modo sono venuto a sapere che mio zio A. è ancora in vita, cosa che non sapevo, mentre l’altro fratello di mia madre, l’ingegnere, l’avevo già scovato su LinkedIn (cambiando profilo sui social, ho dovuto ricominciare tutta la patafiacca dei bloccaggj). Nel caso non fossi quel desso si scusava anticipatamente d’avermi botherato. Figuriamoci, nessuna botheratura, solo mi sono preso (come faccio con tutto) un po’ di tempo per rispondere, rimandando il tutto, diciamo, all’indomani; che poi è oggi. Stamane torno su Messenger per recuperare il messaggio e non lo trovo più. Mi sono chiesto se percaso non mi fossi sbagliato, se non mi fosse arrivata piuttosto una mail – ma è impossibile, il messaggio conteneva un indirizzo mail che sarebbe stato inutile – , o qualcosa su Instagram, ma non c’è nulla da nessuna parte. Mi rifiuto di credere d’aver cancellato il messaggio senza volere, per quanto tutto sia possibile. E comunque sì, ricordo distintamente di essere figlio di mia madre, e che la stessa fece parte di un kibbutz, molti anni fa, anche se non so che cos’avrei potuto raccontare a questa signora (ovviamente non ne ricordo né il nome né l’indirizzo mail), dato che mia madre effettivamente raccontò, a suo tempo, qualche aneddoto sui suoi due anni in Nuova Zelanda, e sul suo viaggio in Russia, e sulla sua esperienza di paracadutista a Pisa, e d’una serie d’altre cose, ma di tutto quello che sentiva della sua parte ebrea non diceva mai niente. Non ricordo che riportasse qualche episodio del kibbutz, non so né il quando né il come, esattamente come so ben poco del campo di prigionia inglese. È da una vita, peraltro, che penso di scrivere di me, e quindi di lei. E rimando, rimando, rimando. (Quanto al messaggio, non ho ancora deciso se la perdita mi lascj più dispiaciuto o più sollevato).

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie scrivere

907.

2 Giu

Ho smesso di tenere il diario all’inizio di ottobre, credo intorno all’8., dopo averlo tenuto, con trascurabili interruzioni, dal ’93. Poco importa – ne ho scritto anche qua sopra, tempo fa – che in larga parte sia andato perduto (quella notte d’incubo a Milano) o presumibilmente distrutto, è stato il gesto quotidiano, o quasi, che m’ha accompagnato fino a pochi mesi fa a costituire una sponda, un argine, un principio ordinatore di cui non potevo fare a meno: mi svegliavo, la mattina, e finché non avevo ricostruito i fatti come suol dirsi salienti del giorno prima mi sentivo fuori quadro. Poi ha cominciato ad avvicinarsi l’inverno, e complici la pioggia, l’isolamento per via dell’emergenza e la distrazione del telefono, qualunque cosa ha smesso di succedere. Da quel pochissimo che succedeva. In modo del tutto spontaneo ho smesso di tenere il diario. Ho scritto altro, di tanto in tanto, quando mi veniva, ma non ho più sentito la necessità di registrare, giorno dopo giorno, i fatti del giorno prima. Ho notato due fenomeni. In primo luogo, a dimostrazione che Manetone ci aveva visto giusto, diverse date, una dietro l’altra, hanno cominciato a rimanermi impresse: come quella del I. di gennajo, del 2., del 22., dell’8. febbrajo, del 16. e del 27. marzo, del 16. d’aprile. E poi i miei sogni, mancando il paletto della cadenza quotidiana, si sono riempiti di volti noti e ignoti, di eventi d’una banalità sconcertante (favorevole a farli gabbare poi, grazie a qualche distrazione, per falsi ricordi), spesso da me ricordati nel particolare più infimo anche ben oltre nella giornata, benché non in sé memorabili. E poi, cosa forse la più importante, c’è stato, o dev’esserci stato, come un ricompattamento simbolico, che tutto sommato era da prevedere, ma che ha avuto una conseguenza per me abbastanza strana: mi sono infatti venuti in mente due racconti, uno sulla mia morte, e l’altro una specie di thriller un po’ comico ispirato a mia nonna (non posso chiedere d’esser preso sul serio perché, se trattasi di una cosa comica, serietà non può esserci, ma è proprio così); e questo nonostante continui a considerare il raccontare in sé, l’inventare storie, qualcosa d’ormai escluso. E però adesso mi sono venuti in mente, e qualche cosa ho cominciato a buttar giù. Quanto al diario, niente, per mesi. Dopodiché, finalmente, questa mattina un vago senso di colpa ha cominciato ad affiorare.

  • Commenti 2 commenti
  • Categorie scrivere

906. Amanda Gorman. Tre capitani.

10 Feb

Quest’oggi onori aspettano da noi tre capitani.

Per gli atti che compirono, per l’ottima influenza
In era che periclita, preda dell’emergenza.
La realtà affrontarono col nerbo necessario,
Sfidando il verosimile, e ogn’ostico divario,
Dando sollievo al popolo, e a tutto il circondario;
Chi in ruolo terapeutico; chi guida; o educatore.

Conscio è per prova GIACOMO del vulnere di guerra;
Pure tuttora il milite i lari suoi disserra,
Di periglianti giovani valido sovventore.
A tanto poté giungere: del CoVid nel furore
Fu visto (e questo il murmure del suo buon cuore avalla)
De visu & in effigie dar calcj ad una palla!
– In pro vuoi del congenere, vuoi dell’ammiratore.

TREMANI industre mentore, opera senza posa
Acché sia il grosso pubblico interconnesso a josa,
Con hotspots, con portatili, con ogni – insomma – cosa
Occorra acché ai discepoli non falli anche una sola
Arma a illustrarsi valida, nel mondo, & nella squola.

SUSI le nurse coordina tra i moribondi a Tampa;
Dice che pur nel tragico speranza anche s’accampa.
Volle, perdute l’avole nell’aspra pandemia,
Campo di Marte eleggere l’intensa terapia.

Eroi, al fronte arrischiano per noi la loro vita!
In marcia ormai poniamoci con questa schiera ardita!
Dei nostri duci impavidi la diana ovunque è udita!

Se questi onori a rendere veniam loro in quest’ore,
Essi ogni onore rendono a noi a tutte l’ore.

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie scrivere

905. Ricominciare a scrivere.

8 Gen

Non manca molto. Non so esattamente quando, ma ricomincio. È che sono stanco di accumulare tonnellate di carta che rimangono poi ad imputridire in qualche magazzino.

Nel frattempo, però, mi sono guardato intorno, compresa la rete, e ho avuto una piacevole sorpresa. Il mondo non è più vostro. E soprattutto non ha nessuna voglia di ereditare le vostre colpe. Avete un piede nella fossa. Nessuno vi deve niente (anzi). Datevi una calmata, no? Lo dico per voi (ma anche un po’ per me, si capisce).

  • Commenti 3 commenti
  • Categorie scrivere
Immagine

904. MORBVS.

18 Apr

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie sonetti
Immagine

903. Del G./21.

19 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

902. Del G./20.

19 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

901. Del G./19.

19 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

900. Del G./18.

19 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

899. Del G./17.

18 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

898. Del G./16.

18 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

897. Del G./15.

18 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

896. Del G./14.

18 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

895. Del G./13.

18 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

894. Del G./12.

12 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

893. Del G./11.

2 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

892. Del G./10.

1 Feb

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

891. Del G./9.

29 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

890. Del G./8.

27 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

889. Del G./7.

27 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

888. Del G./6.

23 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

887. Del G./5.

22 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

886. Del G./4.

22 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

885. Del G./3.

22 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora
Immagine

884. Del G./2.

19 Gen

  • Commenti 3 commenti
  • Categorie Gongora
Immagine

883. Del G.

18 Gen

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie Gongora

882. Fb.

16 Gen

Dov’è che Maupassant dice del risveglio del ventenne e di quello della mezz’età? Lì dice anche che si dovrebbe evitare di guardare lo specchio per sei mesi, e poi condannarsi a guardarsi di nuovo, per vedere quanto si è cambiati nel frattempo. Sei mesi sembrano pochi, anzi pochissimi, ma a me sono bastati tre anni per vedere lo sfiorire di certi volti, che sfiorendo si banalizzano, e si ridicolizzano, come facendosi caricature sempre più grevi di quello che erano. Credo che, ragionando in termini  di lungo periodo, solamente i vecchj dovrebbero fidarsi a postare le proprie fattezze su facebook. I loro volti rinsecchiti possono solamente ulteriormente purificarsi, finché un ultimo troppo prolungato silenzio non annuncia che l’alba è venuta a cogliere la sua messe di sogni.

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie epigrafi, scrivere

880. Come mai su Nazione Indiana non ci vado mai?

18 Giu

«c’è una pace nell’ascolto delle cose
che come l’insieme delle gocce
forma l’incalcolabile vastità del mare […]».
Natàlia Castaldi, componimento cit. da Gilda Policastro.

«No, è stato Broggi a chiamarla “Natalia”. Leggendo nc in calce al suo penetrante giudizio: “queste poesie fanno cagare”, francamente non ci sarei arrivata mai. Poi ora che ho la vastità sconfinata del mare a soccorrermi, ecco, mi torna di più».
Gilda Policastro, 6. marzo 2013. Continua a leggere →

  • Commenti 6 commenti
  • Categorie enzo campi, gilda policastro, ma perché come mai ma perché, natàlia castaldi, nazione indiana

879. Scheda: Ellis, “American Psycho” (1991).

9 Giu

Bret Easton Ellis, American Psycho [“American Psycho”, 1991.,  trad. Pier Francesco Paolini], Bompiani, Milano sett. 1994. [I. ed. 1991.]. Pp.439. + Indice.

Patrick Bateman (26.-27. anni) è uno yuppie, un agente finanziario di Wall Street, laureato a Harvard, ricchissimo e bellissimo. Particolari sul suo retroterra familiare emergono soprattutto verso il finale: ha un fratello di tre-quattro anni più giovane, che riesce senza sforzo a prenotare al Dorsia (cosa che a Bateman non riesce assolutamente mai), una mamma rimbambita in ospizio; l’agenzia, della ditta P&P, gli appartiene di fatto, essendo della famiglia. Ha una segretaria, Jean, innamorata di lui. E’ fidanzato con Evelyn, con la quale dovrebbe prima o poi sposarsi (ma non lo fa; durante la loro relazione la donna abortisce non meno di cinque volte). Continua a leggere →

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie american psycho, bret easton ellis

878. Perle di saggezza.

7 Giu

Qui il capolavoro relativo di una vecchia bagascia. Continua a leggere →

  • Categorie cecilia cognigni, mantenuti, merda, merda secca al sole, merde

877. PULCHERIA, Atto III., Scena IV.

6 Giu

Scena IV.
LEONE, GIUSTINA.

LEONE.
Non posso più reprimermi, licenza mi sia data;
Io non le diedi i titoli e d’ambiziosa, e ingrata; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

876. PULCHERIA, Atto III., Scena III.

26 Mag

Scena III.
PULCHERIA, LEONE, GIUSTINA.

PULCHERIA.
Signore, e a che qui rendervi di nuovo? E’ l’impazienza
D’aggravare i miei spasimi con la vostra presenza, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie, versi

875. “La macchinazione” (D. Grieco).

20 Mag

L’ho visto jersera (spettacolo delle 22.00.), in una sala in cui c’eravamo solo io, le poltrone, una ragazza e un ritardatario, che però è pure uscito in anticipo. Non so come stia andando, se stia avendo il successo che merita (dubito). E’ stato girato nel 2015., l’uscita è stata il 24. marzo, dunque ha meno di un mese di distribuzione nelle sale. Ma alla fine dei conti m’importa solo d’averlo visto. Continua a leggere →

  • Categorie david grieco, macchinazione, pierpaolo pasolini

874. Vidali, “Capricci serj delle muse”, M DC LXXVI.

18 Mag

Copertina anteriore

I capricci serii delle muse diuisi, & intitolati Dio Tempo Nulla Creazione …

  • Categorie capriccj serj delle muse, vidali

873. PULCHERIA, Atto III., Scena II.

17 Mag

Scena II.
PULCHERIA, GIUSTINA.

PULCHERIA.
Giustina, e che ciò m’ìndica, e di che ritirate
Le nozze audace intimida, da lui stesso auspicate? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

872. PULCHERIA, Atto III., Scena I.

16 Mag

ATTO TERZO.

Scena I.
PULCHERIA, MARZIANO, GIUSTINA.

PULCHERIA.
Ve l’ho detto, il mio ordine; Signore, che si faccia
Tutto il cuore a proteggermi da quel che lo minaccia, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

871. PULCHERIA, Atto II. – fine.

14 Mag

Scena III.
MARZIANO, GIUSTINA.

MARZIANO.
Pericoloso spirito! E quanto poche pene
Gli costerebbe il togliere fede e amore ad Irene! Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

870. PULCHERIA, Atto II., Scena II.

13 Mag

Scena II.
MARZIANO, ASPARE, GIUSTINA.

ASPARE.
Signore, insieme a metterci riuscì il vostro suffragio;
Quanto a cent’altri facile non è, v’uscì con agio; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

869. PULCHERIA, Atto II., Scena I.

12 Mag

ATTO SECONDO.

Scena I.
MARZIANO, GIUSTINA.

GIUSTINA.
Fatta pertanto autocrate la gran Pulcheria fu,
Signore?

MARZIANO.
S’ebbe a rendere giustizia alle virtù. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

868. PULCHERIA, Atto I., Scc. III.-V.

9 Mag

Scena III.
IRENE, LEONE.

IRENE.
Signore, non parlate;
Che debba io rivolgervi la parola aspettate? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

865. OTONE, Atto V., Scena VII.

6 Mag

Scena VII.
OTONE, PLAUTINA, FLAVIA.

OTONE.
Donna, detto dei crimini di Lacone vi fu?

PLAUTINA.
L’ho saputo in quest’attimo, mio padre non è più. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

864. OTONE, Atto V., Scena VI.

6 Mag

Scena VI.
PLAUTINA, FLAVIA.

FLAVIA.
A dirvi che la collera dei superi irritata,
Ossia, piuttosto, l’invido del destino furore… Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

863. OTONE, Atto V., Scena V.

5 Mag

Scena V.
MARZIANO, PLAUTINA, ATTICO, SOLDATI.

PLAUTINA.
Andate là a nascondere i pianti che vi sfuggono,
D’Otone le catastrofi voi come me distruggono, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

862. OTONE, Atto V., Scena IV.

5 Mag

Scena IV.
MARZIANO, GALBA, ATTICO, VINIO, CAMILLA.

MARZIANO.
Non più oramai cercatelo, lo vedrete apparire,
Signore, è per suo tramite che un ribelle punito… Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

861. OTONE, Atto V., Scena III.

5 Mag

Scena III.
GALBA, CAMILLA, VINIO, LACO, PLAUTINA, RUTILIO, ALBIANA.

 

PLAUTINA.
Smentita non ho a farvene, Signora, Otone è morto,
Chiunque va appressandosi dà alla nuova conforto, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

860. OTONE, Atto V., Scena II.

4 Mag

Scena II.
GALBA, CAMILLA, LACO, VINIO, ALBIANA.

GALBA.
Ma pure Laco approssima. Ebbene? che novelle?
Che poteste ambo apprendere dal campo a noi ribelle? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

859. OTONE, Atto V., Scena I.

2 Mag

ATTO QUINTO.
Scena I.
GALBA, CAMILLA, RUTILIO, ALBIANA.

GALBA.
Temete, io v’ho a ripetere, la maestà offesa,
Per poco ch’abbia a cogliervi con lui in alcuna intesa. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

858. OTONE, Atto IV., Scena VII.

30 Apr

Scena VII.
CAMILLA, RUTILIO, ALBIANA.

 

RUTILIO.
Vogliate, oh Donna, apprendere il nostro gran disdoro;
Di partigiani o quindici o venti in mezzo al foro Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

857. OTONE, Atto IV., Scena VI.

30 Apr

Scena VI.
CAMILLA, ALBIANA.

ALBIANA.
Voi stessa Otone perdere! Signora, e lo potete?

CAMILLA.
Oh quanto in fondo all’anima voi poco mi vedete! Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

910. La verità.

20 Mag

Fate pena. E anche un po’ schifo. Epperò un poco mi divertite.

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie scrivere

Mi identificate?

25 Feb

Eccomi qui!

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie scrivere

881. Sh. LXXIII.

13 Ago

L’età dell’anno in me io ti rivelo

Che ha gialle foglie, o poche, o niente,  in quelli

Tra i rami ancora in lotta contro il gelo,

Già teatri al bel canto degli uccelli.

In me vedi il crepuscolo del dì

Che al tramonto dà ad Espero la face,

Che nera notte qua e là ghermi

Altra morte, che il Tutto serra in pace.

In me vedi del fuoco l’ammiccare

Sulla sua prima incenerita forza,

Letto di morte in cui dovrà spirare;

Ed è chi l’avvivo’ quel che lo smorza.

Ciò vedi, e amore in te faccia più forte

Saper l’amato in breve in preda a morte.

  • Commenti 3 commenti
  • Categorie scrivere

867. PULCHERIA, Atto I., Scene I.-II.

7 Mag

PULCHERIA.

ATTO PRIMO.

 

Scena I.
PULCHERIA, LEONE.

PULCHERIA.
V’amo, Leone, e chiuderne non voglio in me il segreto:
Fiamma alla mia consimile non pone al dir divieto. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, pulchérie

866. OTONE, Atto V., Scena VIII.

6 Mag

Scena VIII.
OTONE, ALBINO.

 

ALBINO.
Aspettano, Signore, in Campidoglio;
E il Senato in quest’attimo al completo vi muove Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

856. OTONE, Atto IV., Scena V.

29 Apr

Scena V.
CAMILLA, MARZIANO, ALBIANA.

CAMILLA.
Marziano, ebbe già a dirmelo costei, l’amate voi?

MARZIANO.
Gli occhj miei se ne incantano,  onta agli sprezzi suoi. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

855. OTONE, Atto IV., Scena IV.

28 Apr

Scena IV.
CAMILLA, PLAUTINA, ALBIANA.

 

CAMILLA.
Signora, qui servendovi venir fida mi lice
Un omaggio facendone alla mia imperatrice? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

854. OTONE, Atto IV., Scena III.

27 Apr

Scena III.
VINIO, PLAUTINA.

 

VINIO.
Figlia, altro v’è a conoscere: felice evento, e vero
Qualunque cosa càpiti, assegna a te l’impero. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

853. OTONE, Atto IV., Scena II.

27 Apr

Scena II.
VINIO, OTONE, PLAUTINA.

 

OTONE.
Signore, ah voi impeditele, ché Plautina…

VINIO.
Signore,
Tutto impedir possibile v’è purché abbiate il cuore. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

852. OTONE, Atto IV., Scena I.

26 Apr

ATTO QUARTO.
Scena I.
OTONE, PLAUTINA.

PLAUTINA.
Che consiglj vi prodigo, infine, mio Signore?
M’angustia in modo simile un simile dolore, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

851. OTONE, Atto III., Scena V.

22 Apr

Scena V.
OTONE, CAMILLA, ALBINO, ALBIANA.

CAMILLA.
Potete in questo leggermi l’anima tutta intera, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

850. OTONE, Atto III., Scena IV.

20 Apr

Scena IV.
GALBA, OTONE, CAMILLA, ALBINO, ALBIANA.

GALBA.
Otone, e v’è da credere che voi Camilla amiate?

OTONE.
Queste brame sarebbero da parte mia arrischiate, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

849. OTHON, Atto III., Scena III.

19 Apr

Scena III.
GALBA, CAMILLA, ALBIANA.

GALBA.
Quando, i figlj morendomi, mi mancò una famiglia,
Nipote mia, amorevole vi presi come figlia, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

848. OTONE, Atto III., Scena II.

16 Apr

Scena II.
ALBINO, CAMILLA.

ALBINO.
Galba è per arrivare,
La scelta nota a rendervi, e a farvela approvare. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

847. OTHON, Atto III., Scena I.

15 Apr

ATTO III.
Scena I.
CAMILLA, ALBIANA.

CAMILLA.
Fu tuo fratello a dirtelo, Albiana?

ALBIANA.
Sì, Signora.
Pisone è fatto autocrate; siete sua sposa, ora, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

846. OTONE, Atto II., Scena VI.

14 Apr

 

Scena VI.
LACO, MARZIANO.

 

MARZIANO.
S’imputi Pisone per quest’ire…

LACO.
E osate spaventarvene? Lasciamola garrire,
Badiamo di non perderci per téma di fallire. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

845. OTONE, Atto II., Scena V.

13 Apr

Scena V.
CAMILLA, LACO, MARZIANO, ALBIANA.

CAMILLA.
Io qui ben a proposito vi trovo, se dio vuole;
Con voi voglio discorrere: solo quattro parole. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

844. OTONE, Atto II., Scena IV.

9 Apr

Scena IV.
LACO, MARZIANO.

LACO.
Di Plautina invaghitovi! Fede questa non è
Che contro Vinio in vincolo doveva unirvi a me! Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

843. OTHON, Atto II., Scena III.

8 Apr

Scena III.
PLAUTINA, LACO, MARZIANO, FLAVIA.

 

LACO.
Vuol Galba accondiscendere ai vostri voti ormai; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

842. OTONE, Atto II., Scena II.

7 Apr

Scena II.
MARZIANO, FLAVIA, PLAUTINA.

PLAUTINA.
Che m’avete apportato?

MARZIANO.
Ch’è solo in voi decidere del nostro impero il fato, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

841. OTONE, Atto II., Scena I.

5 Apr

ATTO SECONDO.

Scena I.
PLAUTINA, FLAVIA.

PLAUTINA.
Dimmi, sù, proponendosi a Camilla, Otone
Parve stesse forzandosi? Lei mostrò approvazione? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

840. OTONE, Atto I., Scena IV.

5 Apr

Scena IV.
OTONE, PLAUTINA.

OTONE.
Fermate, orvia, Signore,
Se prevenir è d’obbligo l’infausto disonore, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

839. OTONE, Atto I., Scena III.

5 Apr

Scena III.
PLAUTINA, OTONE, VINIO.

PLAUTINA.
No, Signore, non ditelo; quello che il cielo invia
Prendo, senza percorrere alcun’ontosa via, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

838. OTONE, Atto I., Scena II.

31 Mar

Scena II. VINIO, OTONE.

VINIO.
Soli, Albino, lasciateci; con lui ho a conferire.
Che m’amiate ho da credere, Signore, e che mia figlia Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon, scrivere

837. OTONE, di Pietro Cornelio, trasportato in italiano. Atto I., Scena I.

30 Mar

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, othon

836. ORAZIO, Atto V., Scena III., & ultima.

29 Mar

Scena III.

SABINA.
Sabina possa esprimere, Sire, quant’abbia in cuore
La pena d’una coniuge, di sorella il dolore; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

835. ORAZIO, Atto V., Scena II.

26 Mar

Scena II.

IL VECCHIO ORAZIO, ORAZIO, TULLO.

IL VECCHIO ORAZIO.
Ah, Sire, onore simile troppo eccede per me;
Non questo è il luogo idoneo per incontrarvi il re:

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, scrivere

834. ORAZIO. Atto V., Scena I.

25 Mar

ATTO V.

SCENA I.

IL VECCHIO ORAZIO, ORAZIO.

IL VECCHIO ORAZIO.
Dalla vista togliamoci di queste cose infeste,
Qualche lode per sciogliere al giudizio celeste: Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

833. ORAZIO, Atto IV., Scena VII.

25 Mar

 

Scena VII.
SABINA, ORAZIO.

 

SABINA.
Perché arresti in quest’attimo quella nobile ira?
Guarda tuo padre reggere tua sorella che spira: Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

832. ORAZIO, Atto IV., Scena VI.

25 Mar

Scena VI.

ORAZIO, PROCOLO.

PROCOLO.
Che faceste?

ORAZIO.
Ebbi a compiere qui di giustizia un atto;
Chiede un supplizio simile un simile misfatto. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

831. ORAZIO, Atto IV., Scena V.

25 Mar

Scena V.
ORAZIO, CAMILLA.

ORAZIO.
Sorella, il braccio eccovi che vendicò i fratelli,
Che seppe il corso frangere dei fati a noi ribelli,

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

830. ORAZIO, Atto IV., Scena IV.

24 Mar

Scena IV. CAMILLA.

CAMILLA.
Sì, gli farò visibile, con infallanti segni
Come un amor veridico mano di Parca sdegni, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

829. ORAZIO, Atto IV., Scena III.

24 Mar

Scena III.
IL VECCHIO ORAZIO, CAMILLA.

IL VECCHIO ORAZIO.
Non più, non più di spargere pianti son queste l’ore,
Figlia, che poco addicono dove rifulge onore: Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

828. ORAZIO, Atto IV., Scena II.

23 Mar

Scena II.
VALERIO, IL VECCHIO ORAZIO, CAMILLA.

VALERIO.
Conforti a un padre a porgere, messi del re, veniamo,
E del pari attestandogli…

IL VECCHIO ORAZIO.
D’ufficio vi sollevo; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

827. ORAZIO, Atto IV., scena I.

23 Mar

ATTO QUARTO.
Scena I.

IL VECCHIO ORAZIO.
Mai nulla di quel perfido più ditemi in difesa;
Com’anzi ai consanguinei di lei la fuga ha presa, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

826. ORAZIO, Atto III., Scena VI.

23 Mar

Scena VI.
IL VECCHIO ORAZIO, GIULIA, SABINA, CAMILLA.

IL VECCHIO ORAZIO.
Ci venite ad apprendere, Giulia, della vittoria?

GIULIA.
No; del funesto esito dei bellicosi fatti:

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

825. ORAZIO, Atto III., Scena V.

22 Mar

Scena V.

IL VECCHIO ORAZIO, SABINA, CAMILLA.

 

IL VECCHIO ORAZIO.
Vengo, figlie, recandovi terribili novelle;
Del resto, è in tutto inutile da parte mia celare Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

824. ORAZIO, Atto III., scena IV.

21 Mar

Scena IV.
SABINA, CAMILLA.

 

SABINA.
Tra i mali nostri, al biasimo mio non vi denegate;
Troppa pena nell’anima vostra, mi pare, abbiate; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

823. Movimento per l’Emancipazione della Poesia [MEP].

19 Mar

L’ho incontrato per la prima volta a Pisa, sotto forma di foglj A4 appiccicati ovunque potessero stare; è la città in cui sono sparsi più numerosi esemplari, in taluni casi più e più volte, dei parti – talvolta degli aborti – di questa fantomatica associazione. Continua a leggere →

  • Categorie arrendersi, Movimento per l'Emancipazione della Poesia

822. ORAZIO, Atto III., Scena III.

18 Mar

Scena III.

SABINA, CAMILLA, GIULIA.

 

SABINA.

Sorella, permettetemi di darvi buone nuove. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

821. ORAZIO, Atto III., Scena II.

17 Mar

Scena II.

SABINA, GIULIA.

 

SABINA.

Giulia, che nuove? L’attimo giunse a noi paventoso?

E’ il fratello cadavere? Morì forse lo sposo? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

821. Immortalato 2. [la vendetta]?

16 Mar

Nel frattempo sto prendendo copiosi appunti – magari non TANTO copiosi, ma spero succosi, ricchi di informazione & dirigenti a soda pietà. Dato che in quel cesso di biblioteca di Grosseto (una città che è un cesso, in genere, di per sé; che cosa pensare di una città la cui mappa contempla una via “Riccardo Leoncavallo”? Che cosa di una città che nella sua toponomastica comprende una “piazza Bettino Craxi” [priva di panchine, peraltro. Che siano tutte ancòra a Hammamet?]? Che cosa di una città che come unico ponte sull’Ombrone, che avrebbe bisogno di altri transiti, ha il “ponte Benito Mussolini”?), nonostante quanto spergiurato dal sito circa le 10. postazioni internet, non esiste possibilità di connettersi a terminale, ho dovuto aspettare di trovarmi in questa ridente Orbetello – ridente davvero; è molto bellina. Non scherzo – per riportare quanto da me registrato per il vii.iii: Continua a leggere →

Tag:casi della vita, sterquilinarie

  • Categorie scrivere

820. ORAZIO, Atto III., Scena I.

1 Mar

ATTO TERZO.

Scena I.  SABINA.

SABINA.

Anima, decidiamoci in mezzo a tanto strazio;

D’Orazio siamo coniuge, o sorella a Curiazio;

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

819. ORAZIO, Atto II., Scena VIII.

1 Mar

Atto II., Scena VIII.

IL VECCHIO ORAZIO, ORAZIO, CURIAZIO.

ORAZIO.

Quelle sviate femmine, padre mio, voi fermate;

Soprattutto ogni transito prego loro chiudiate. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

818. ORAZIO. Atto II., Scena VII.

1 Mar

Scena VII.

IL VECCHIO ORAZIO, ORAZIO, CURIAZIO, SABINA, CAMILLA.

IL VECCHIO ORAZIO.

Che avviene qui, mie viscere? Date retta all’amore,

E con le donne a perdere seguite ancora l’ore?

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

817. ORAZIO, Atto II., Scena VI.

29 Feb

Atto II. Scena VI.

CURIAZIO, ORAZIO, SABINA.

CURIAZIO.

Dèi, Sabina al suo sèguito! Del cuore alla procella

Non bastava la coniuge? S’aggiunge la sorella? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

816. ORAZIO. Atto II., scena V.

29 Feb

Scena V.

CAMILLA, CURIAZIO.

CAMILLA.

Curiazio, e potrai corrervi, e quest’infesto onore

Puoi preferire al rendere felice il nostro amore? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

815. ORAZIO. Atto II., Scena IV.

29 Feb

Scena IV.

ORAZIO, CAMILLA.

ORAZIO.

Sapeste quale incarico fu dato ora a Curiazio,

Sorella?

Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

814. ORAZIO, Atto II., Scena III.

29 Feb

Scena III.

ORAZIO,  CURIAZIO.

CURIAZIO.

Che d’ora innanzi gl’inferi, ed il cielo e la terra
Le loro furie uniscano per muovere a noi guerra; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, versi

813. La zia Gerta.

27 Feb

http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?item_id=01e0e1b5babdc1a8b7&time=&type=4Ho trovato di recente questo libretto, Psicologia della zia ricca (“Die Psychologie der Tante”, 1905.), che è diventato automaticamente l’ultimo mio libro preferito [il penultimo era The Rock Pool di Connolly], di Erich Muhsam, anarchico e genio. Si tratta di 25. ritratti di altrettante vecchie zie che, secondo la tesi della raccolta, non crepano mai quando dovrebbero lasciare cospicue eredità: o muore prima il nipote, o la zia effettivamente muore ma non lascia nulla di quanto ci si aspettava, o il nipote finisce diseredato, &c.

Tutto questo si presta, sicuramente, ad analisi economicomarxiste quanto mai interessanti circa i mutamenti radicali che, in tempi di mutamenti appunto radicali come furono i primi anni del secolo scorso, portarono a rendere particolarmente tortuoso il procurarsi mezzi di sussistenza — almeno per chi all’epoca era lontano dalla terza età e da una rendita decorosa. Si tratta di problematiche cui l’autore, peraltro, non fu affatto personalmente estraneo. Continua a leggere →

  • Categorie anarchici, erich muhsam, ricchioneria, scrivere, zie

812. Eco.

23 Feb

Invece per Eco morto non mi viene nemmeno un versicolo (giuro che ci ho pensato). Ho letto a Pisa, un mese e mezzo fa, come ultimissima mia lettura echiana, l’ultimissimo suo romanzo, Numero zero. Perché avevo parlato con uno muy lector, a cui provocatoriamente avevo detto che Eco non necessariamente scrive male – per esempio, una grande pagina di prosa è la filza d’insulti del cuoco al povero Salvatore (“scorreggione d’un minorita”, “te e quella troja bogomila che t’inculi la notte, majale” – volevo copiare quella paginetta, ma naturalmente nelle biblioteche tutt’i Nomi della rosa sono in prestito, per ragioni commemorative). E lui m’aveva prestato quella nel complesso modesta cosa. Certo, quel romanzo in particolare non mi è piaciuto, sembrava fatto coi cascami di cose più elaborate & complesse che avrebbe sicuramente potuto fare se non gli si fosse accorciato – per l’età, ovviamente; non solo fisicamente, anche intellettualmente si perde elasticità ben prima della fine (in proporzione, ovvio) – il respiro. Oltre al fatto che non trovo affatto interessante l’idea che Mussolini possa essere sopravvissuto. Anzi, mi fa schifo. Ma mi sono domandato, seriamente, E se fosse stato scritto da qualcun altro? – allora forse mi sarebbe piaciuto di più. Forse. Rimane il fatto che sarebbe stato meglio scriverlo e farlo uscire nel ’95., non nel 2015. – per via di quel Vimercate padrone del giornale, che tuttavia ha l’handicap di essere un Berluschino formato minore, mentre quello vero non ha problemi ad entrare in nessun giro. Insomma, una cosa surretizia, un pochino inutile. Continua a leggere →

  • Categorie scrivere, umberto eco

811. ORAZIO, Atto II., scena II.

22 Feb

Scena II.

ORAZIO, CURIAZIO, FLAVIANO.

CURIAZIO.
Infine i suoi tre militi Alba scelse per sé?

FLAVIANO.
Venivo ad informarvene

CURIAZIO.
Bene; chi sono i tre? Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

810. ORAZIO. Atto II., Scena I.

18 Feb

ATTO SECONDO.

Scena I.

CURIAZIO, ORAZIO.

CURIAZIO.

Roma non vuol distinguere tra campione e campione;

Le parrebbe illegittima ciascun’altra elezione; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, scrivere

809. ORAZIO. Atto I., scena III.

18 Feb

ATTO PRIMO,  Scena III.

CURIAZIO, CAMILLA, GIULIA.

CURIAZIO.

Sì, Camilla, credeteci; quale a voi mi conservo

Di Roma non poss’essere né vittore né servo; Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace

808. ORAZIO, Atto I., scena II.

17 Feb

Scena II. CAMILLA, GIULIA.

CAMILLA.

Quanto a torto desidera che resti qui con voi!

Ch’ella creda i miei spasimi meno forti dei suoi, Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, scrivere

807. Pietro Cornelio. ORAZIO trasportato in italiano. Atto Primo. Scena prima.

16 Feb

ORAZIO.

TRAGEDIA. Continua a leggere →

  • Categorie corneille, horace, scrivere

806. Regeni.

11 Feb

Il ragazzo era un elfo: delicati
Ciglj su un inveduto taglio d’occhj;
Mistilingui armonie di neve in fiocchi
Sopra sentieri quasi inesplorati.

O su abissi da poco spalancati;
E degli scienti, affusolati tocchi
Cancellò gli arzigogoli barocchi
Quel loro non soffrire esser guardati.

Cancellò i giorni, calpestò le rose,
Spezzò l’ossa, e di grida empì smarrite
Lontananze incuranti, latebrose.

E tornò vano confessare, mite,
Mite il funzionamento delle cose.
Chissà quale eco ora ode l’arsa Dite.

  • Categorie regeni, scrivere, versi

805. “Inesistenza dell’omosessualità”.

10 Feb

L’avevo notato qualche tempo fa, a dir vero, ma lo dico adesso, perché un link a questo blog, da me trovato oggi in dashboard, mi ha rinfrescato la memoria: qui sono stato incluso in una lista di ricchioni, non-ricchioni & ex-ricchioni che si pronunciano autorevolmente o no circa l’esistenza dell’omosessualità, anzi, circa la non-esistenza. Continua a leggere →

  • Categorie ricchioneria, scrivere, wikipink

804. Assonanza.

4 Feb

Da wikipedia: Continua a leggere →

  • Categorie scrivere

803. Qualcosa di scritto.

4 Feb

Bloccato a Piombino (!) per una periartrite alla spalla, o una cervicale, e non lo auguro nemmeno a un cane.

Nel frattempo scendo la costa, campando d’aria e poco più. Incontro – dico come incontri, veri & proprj – perlopiù gente di merda; ma questo era previsto, perché tutto il mondo è paese, e, come diceva un antico servente di casa Bollati, “Quando hai bisognu, tutti se n’approfittanu”. Una profezia che, in un modo o nell’altro, e in modi anche sottili, s’è sempre verificata, e si verificherà. Continua a leggere →

  • Categorie scrivere

802. Bu.

29 Gen

Bu.

File:1818-English-Ladies-Dandy-Toy-IR-Cruikshank.jpg

  • Categorie scrivere

801. Il Breve. Selva-polimetro alla Sig.ra D.a la Sig.ra ROSSANA JOVINE-VECCHIO, che gli chiedeva alcuni versi. /1.

29 Lug

1. Salutem dicit.

Do di piglio alla penna in disperata
Congiuntura, oh ROSSANA; Continua a leggere →

Tag:rossana

  • Categorie rossana vecchio, scrivere, versi

800. Wolinski.

29 Lug

Chissà quanti avranno incontrato per la prima volta questo nome quando è stata data la notizia dell’attentato a Charlie Hebdo. Andava per la maggiore negli anni Settanta,  era dichiaratamente anarcoide e spietatamente pornografico. Continua a leggere →

  • Categorie wolinski

799. …

9 Dic

[Post 799.

E basta].

  • Categorie scrivere

798. Augurj a Sonia Prina (il giorno dopo l’ultima recita del Giulio Cesare).

30 Nov

Madrigale. Continua a leggere →

  • Categorie augurj a sonia prina, scrivere

797. Stralcio.

2 Mag

«[…] Sempre in proposito degli sdruccioli, lo sventurato STROPPIA ebbe anche a dichiarare:

Continua a leggere →

  • Categorie scrivere

796. Questo sì che è un libro.

29 Apr

Mentre aspetto di ritornare a lavorare, contro ogni speranza [ma anche contro ogni mio principio – non perché i miei principj mi vietino di lavorare, tutt’altro, ma per le condizioni in cui dovrei continuare a lavorare], rileggo & rileggo un libro straordinario, Il lungo viaggio attraverso il fascismo del più grande storiografo del ‘900 italiano, prodotto, testimone e fors’anche martire del subumano padronato italiano, Ruggero Zangrandi (1915-1970).

Continua a leggere →

  • Categorie scrivere

795. Consumare & pagare.

18 Apr

Ce ne sarebbero, veramente, di cose da raccontare; ma sono le più circoscritte le più facili. Non mi connetto più con regolarità, ormai da una vita. L’unica è scrivere le cose a caldo [i sensi di colpa che mi porto dietro per non aver scritto, né qui né altrove (o, altrove, stenograficamente e in modo superficiale, sempre inutilmente riservandomi di riprendere gli appunti in mano) non si possono esprimere, comunicare, spiegare].

Continua a leggere →

  • Categorie stacippa

794. Marchisio & Giovinco.

17 Gen

Premetto che io di calcio non capisco una mazza. Di Marchisio ogni tanto sento parlare da qualche juventino – d’altronde, sono a Torino – ,  e un collega veterano, un po’ specializzato in vip, mi ha detto tempo fa che al Principi di Piemonte tentò di di sfilargli qualche euro. Al che Marchisio gli avrebbe risposto: “Ti giwro che in tasca non ho nwlla”, con quella mimica molto piemontese che hanno i piemontesi quando non vogliono sganciare, toccandosi le tasche davanti della giacca formale e aprendo le mani in un gesto definitivo. Continua a leggere →

  • Categorie commenti, giovinco, insoddisfazione, marchisio

793. Spoiler: “Splendore” di Margaret Mazzantini (2012).

26 Dic

Margaret Mazzantini, Splendore. Mondadori, Milano nov. 2012. Pp. 309. + ringraziamenti.

Roma. Guido, figlio della bella e sofisticata Georgette, belga, destinata a premorire alcolizzata, e di un uomo insignificante, un medico, vive in un palazzo signorile; Costantino, suo coetaneo, è il figlio dei custodi.

I due s’innamorano l’uno dell’altro, e nel corso degli anni, pur prendendo strade diverse, continueranno, con lunghi intervalli, a ricongiungersi, dando violento sfogo ad una passione mai sopita. Il benestante Guido propone inutilmente all’amico di trasferirsi insieme a Londra; Costantino, dopo il militare (Guido è riformato per varicocele), diventa ristoratore, mentre Guido, iniziato all’arte da uno zio respingente e carismatico, trasferitosi da solo in Inghilterra, intraprende una brillante carriera accademica.

Nella libera Londra ha superficiali rapporti con il mondo gay, ma soprattutto ha rapporti, prolungati, con donne;  stabile la sua relazione con la giapponese Izumi, che ha una figlia da precedente unione, Leni, con cui anche Guido ha un ottimo rapporto (Guido è peraltro sterile, non può avere figlj proprj).

Continua a leggere →

  • Categorie letture, libri

792. ?

4 Ago

Bu!

  • Categorie scrivere

791. Il basilisco allo specchio. IV.

17 Gen

Quanto mi mancava di sapere, l’ORSETTA VAN BEEKHVIZEN me l’ha detto di fronte ad un sontuoso high tea nel salotto verde, o così denominato nonostante di verde ci fosse ben poco, che passa per essere, nella casa, per il salotto buono Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie il basilisco allo specchio

790. Il basilisco allo specchio. III.

16 Gen

Ma già m’immagino, a quest’oggettivamente personalissimo sfogo, gl’improperj, i rimbrotti, i sacramenti che S.D. rivolgerà, magari non solo mentalmente, al mio indirizzo, appollajata sulla sedia che balla al tavolaccio di fòrmica del nostro – me lo lascj dire: modestissimo – angolo cucina-cesso, Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie il basilisco allo specchio

789. Il basilisco allo specchio. II.

11 Gen

Al che non potendo la scrivente in alcun modo opporsi, e la di Lei D. lo sa meglio di lei, accompagnata dalle di Lei medesima ultime misurate prescrizioni (“Vai, cretina! E non dimenticarti di guardare nel frigo!”), ha preso il tassì, e s’è fatta condurre, per la modica spesa di euri 62,14. (causa lavori che hanno costretto ad un cambiamento di percorso, e all’attesa di ore 2. davanti ad un passaggio a livello), Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie il basilisco allo specchio

788. “Ce l’avete fatta”.

10 Gen

Avverto, col consueto ritardo, che il blog di Marotta, già chiuso per motivi di diritti, è stato graziato grazie a quella specie di petizione.

Non ho ancòra capìto perché, ma mi sento sollevato.

0.000000
0.000000
  • Categorie francesco marotta

787. Leggete con attenzione, & firmate.

9 Gen

Trovo da Palasciano che “La dimora del tempo sospeso”, ossia il blog collettaneo di Francesco Marotta, è stato oscurato, credo d’aver capìto per ragioni di diritti che comunque non conosco nel particolare. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie francesco marotta, petizioni

786. Il basilisco allo specchio. I.

8 Gen

Comincio a copiare qui di sèguito un vecchio brogliaccio, che mi torna tra mano con tutti i margini smangiati, eppertanto con le clausole quasi illeggibili, se non illeggibili in tutto, e che va persino impallidendo nelle cifre più remote dai vivagni, tanto è stato bistrattato. Un brogliaccio che ha una storia piuttosto tormentata. Poi il blocchetto (preso dal defunto Vagnino, di quelli blu, da cinquanta centesimi) mi sparì misteriosamente – probabilmente avendolo io seminato da qualche parte, o lasciato scivolare sbadatamente fuori da qualche borsa, o zaino; e la cosa mi scocciò enormemente. Tanto che nel giro di qualche giorno ripresi l’idea coll’animo di rifar tutto daccapo. Ma, per non rendere l’esercizio, giacch’era esasperante per la parte già fatta, anche del tutto inutile per la parte da farsi, e soprattutto per non consentirmi, come dire?, esiti più fiacchi rispetto alla prima entusiastica – per quanto possibile – stesura, quasi costringendomi ad una resa più scintillante, alzando il tiro per quanto riguarda l’aspetto, come si vedrà qui sotto & nei dì a venire, più meccanico della costruzione, che è nella sintassi. Sicché i paragrafi in cui l’operina, al momento incompiuta (ma vedremo), si divide sono in questa seconda facitura lunghi il doppio o il triplo di quanto fossero nella prima. Avverta il cortese Lettore che questi primi paragrafi, e questo primissimo più di tutti gli altri immediatamente seguenti, è assai cauto, quasi l’autore in esso stesse mettendo primamente alla prova il suo nuovo strumento; che dovrà, anche per le successive e men malsicure pagine, lento giudicare, lentissimo elogiare, pressoché immobile condannare; che legga, via via, tutto quanto andrò sottoponendogli non tumultuariamente; che il titolo (coll’impresa da cui trae ispirazione) è del tutto surretizio, salvo non mi venga fatto di trovar modo d’inserir nella trama – ma con quel che già c’è non è poi così inverosimile – almeno un basilisco ed uno specchio; & mi viva felice.

Continua a leggere →

  • Categorie il basilisco allo specchio

785. Adunque.

21 Dic

Qualcuno, probabilmente di autogenerato, si è impossessato della mia pass di hotmail.com, e pare che abbia cominciato ad inviare spam a destra & sinistra. Per lunghi anni non ho più cambiato la password, e questo è il destino cui si va incontro se non la si cambia sovente. Per rendermi inconfondibile avevo anche dato il mio numero di telefono, solo che nel frattempo ho cambiato numero un pajo di volte – per lungo tempo nemmeno ce l’ho avuto, un telefono – e adesso l’opzione risulta impraticabile. Ragion per cui mi trovo ad essere prevenuto nell’idea che avevo già da un due o tre settimane, vale a dire di lasciar morire l’account di hotmail, ormai troppo pieno di posta inutile e macchinoso da usare, nonché noto a troppa gente da cui non voglio essere raggiunto o di cui non mi frega più niente. Come qualcuno avrà notato, ho provato a rifarmi un accùnt hotmail, ma non c’è stato verso, o perché l’IP era diventato sospetto o per altri motivi che non so e non posso sapere, sicché ho scelto di farmi un indirizzo, anche solo temporaneo, da un’altra parte. Datosi che tra jeri ed oggi sono diventato paranoico, quest’ultimo indirizzo qui sopra non voglio metterlo, ché non si sa mai. alcor, azu e altri sono stati avvertiti, altri indirizzi interessanti conto di recuperarli via via, ma non riesco a far nulla con la Russo, della quale non posso ricordare a mente l’indirizzo mail e di cui non trovo traccia su facebook. E che però ha il mio numero di telefono. Se passa e legge, e capisce, e non le dispiace, m’invii, prego, un sms con il suo indirizzo mail, cosicché possa tornare a scriverle e possa farle sapere che fine ha fatto il suo povero libro.
Abbraccj sparsi.
d.

0.000000
0.000000
  • Categorie questioni tecniche

784. Lasciamo perdere.

20 Dic

Ho creato due accùnt da jeri, ma tutte le volte che esco e cerco di rientrare non me li riconosce, dice che non esistono. Vedo che cosa posso fare per rimediare la situazione, ma sono pessimista.

0.000000
0.000000
  • Categorie sterquilinarie

783. NO!!!

20 Dic

Non scrivetemi nemmeno lì: non funziona. Ossia, non mi riconosce la pass.

Mi sono fatto un altro accùnt, posticcio, o semitemporaneo, vediamo se serve: GiovanBattistaMarino@hotmail.com.

Quei quattro-cinque contatti veramente significatìvi che mi ritrovo sono pregati di scrivermi, o ri-scrivermi, lì, perché non ricordo esattamente gl’indirizzi mail, e non posso altrimenti contattarli.

Abbraccj,

d.

  • Categorie sterquilinarie

782. grongo1622@hotmail.com.

19 Dic

Ho l’account hotmail bloccato, e a quel che vedo per forum non c’è assolutamente niente da fare (ma la polizia postale può fare qualcosa? In giro non se ne parla). Se qualcuno mi ha scritto, per favore ci rifaccia a grongo1622@hotmail.com.

0.000000
0.000000
  • Categorie scrivere

781. Che cosa vuol dire?

19 Dic

Account Microsoft

  •  
Melchiorre Gioja

È possibile che qualcun altro stia usando il tuo account

Per aiutarti a ripristinare l’accesso a melchiorregioja@hotmail.com, dobbiamo verificare che l’indirizzo sia tuo.

  • © 2012 Microsoft
  • Condizioni
  • Privacy e cookie
  • Sviluppatori

====================================

Questa specie di schermata è quello che mi compare quando cerco di usare melchiorregioja@hotmail.com .

Che cosa vuol dire? [E’ solo una cautela o veramente qualcuno è entrato nell’account? E chi?]

0.000000
0.000000
  • Categorie sterquilinarie

780. Ma che c’entra Capirone con la majonese?!

6 Nov

Termini di ricerca per 7 giorni con termine il 2012-11-06 (Riassunto)

  • 7 Giorni |
  • 30 Giorni |
  • Trimestre |
  • Anno |
  • Da sempre

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie majonese, sterquilinarie

779. Ganja (cronologia-estratto).

7 Ago

Barry Chevannes / Axel Klein, La ganja e i Caraibi. Cultura, economia, politica. A cura di Franco Corleone / Grazia Zuffa. Traduzione di Maria Impallomeni. Ed. a c. Forum Droghe, Quaderni di Fuoriluogo n° 3, Roma giugno 2009. Pp. 71.

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie axel klein, barry chevannes, ganja, letture, libri, politica

778. Sondaggio.

2 Ago

0.000000
0.000000
  • Categorie facce a culo, sondaggj

777. Nuovo tèma.

14 Lug

Questo tèma è una grandissima pacchianata, ne convengo, ma è proprio per questo che mi piace. Sono rimasto lungamente indeciso tra quello dello Sgargabonzi (che però è più adatto ai suoi contenuti) e un altro simile, sempre foglio-di-carta ma più sparato nei titoli, ma mi sbatteva tuttosommato troppo, e così ho deciso di passare direttamente al kitsch più sfrenato. Spero solo che la grafica non sia troppo stressante per chi passa a lèggere,  ma ad occhio & croce non mi pare. Se qualcuno passa a lèggere, beninteso, ma per giorni e giorni (almeno una settimana, suvvia) non sarò praticamente reperibile, qui sopra, almeno non più di quanto sia stato negli ultimi mesi. Inoltre, parendomi veramente magico il n° 777, penso di rubricare sotto lo stesso, aggiornando via via, le cose agghiaccianti di cui vi farò cadò, a mo’ di sunto, nei prossimi tempi. Purtroppo anche l’idea di tenère un diario-diario in rete è miserandamente saltata, e ne sono molto pentito, sicché farò atto di contrizione e mi costringerò ad un lungo post riparatorio. Dopo [come dissi] che il mio tentativo di finire sul Guinness dei Primati sarà arrivato felicemente in porto. (Tomasi di Lampedusa a proposito di Dickens scriveva che le crisi di uno scrittore dipendono dal tentativo ovviamente fallimentare di sottrarsi al meccanicismo degli eventi).

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie scrivere

776. Stats.

10 Lug

Intanto è venuto a trovarmi qualcuno che mi vuole tanto bene. 😀

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie sterquilinarie

775. Spinoza.

20 Giu

Mentre tentavo di decidermi a capire che cosa volessi dalla scrittura (il tutto, ovviamente – ma si sarà capìto, finalmente? – senz’ancòra aver deciso di, o se, essere, in tutto e per tutto, uno scrittore), m’è venuto il quasi inspiegabile desiderio di lèggere qualcosa di Spinoza – non un qualcosa qualunque, ma quella succinta, ideologica, grammatichetta ebraica che scrisse a supporto dei suoi trattàti, compreso il Teologico-politico, dal momento che una deficiente conoscenza della lingua biblica era, come è a tutt’oggi, la causa preponderante di tante incomprensioni, e di tante false c0nclusioni.

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie scrivere, spinoza

774. Blocchi.

27 Apr

Non è esattamente un nuovo bearwithus, per quanto sotto taluni aspetti si possa considerare tale, &ccome; ma era per dire che, beh, grazie ad un’anima gentile, anzi gentilissima, anzi dippiù, il qui presente scassatissimo ritiene di poter riprendere con la pienissima attività non solo e non tanto blogghica – ma anche, ovviamente, perché no? – ma generalmente scrittoria grazie all’arrivo, che si spera fulmineo, di una macchina atta all’uopo – quello di scrivere e inoltrare testi, ovverossia, e, parallelamente, di far abbandonare al suddetto sottoscritto, in parte, la carta & la penna che tanto intensa compagnia gli hanno fatto in tutto questo periodo.

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie blocchi

773. A risentirci (la settimana prossima, se non mi sbattono fuori prima)*.

7 Apr

1. Per certi versi è un sollievo tornare su un blog quasi dismesso, dopo tanti mesi, e vedere che, nonostante la fisiologica, microscopica impennata dopo gli ultimissimi post, esso rimane tutto sommato un luogo semidisabitato: i ratings, pochi ed equilibrati (?), cioè piuttosto monotoni, rendono conto, come il grafico delle visite, di capatine semioccasionali di affezionati lettori, pochi ma scelti: vuol dire che si sono levati di mezzo polemisti d’accatto, troll offesi, visitatori inspiegabilmente assidui (nonostante non ci fosse assolutamente nulla in comune tra la mia scrittura e la loro, senza deminutio né per la loro né per la mia scrittura), rompipalle attirati da qualche argomento trattato occasionalmente, nonché da schiappino, & altra compagnia extravagante [per un lungo periodo, per motivi che non mi spiegherò mai, questa compagnia era diventata prevalente (su altre & più consone forme di compagnia)].

Continua a leggere →

  • Categorie proponimenti

772. Sei proprio una stronza.

3 Apr

Per trovare nomi femminili quadrisillabi per un certo mio progettìno mi sono valso de I nomi di persona in Italia. Dizionario storico ed etimologico, 2 voll. di Alda Rossebastiano ed Elena Papa, ambe dell’Università di Torino, UTET, Torino 2005. Pubblicazione per i miei scopi comunque utile, ma devo dire che durante la lettura, peraltro assai selettiva, m’è caduto lo sguardo su diverse cose perplettenti, di cui ho preso in alcuni casi nota (sicuramente i casi altrettanto, e anche più, dubbj saranno cinquanta volte tanti, ma non vado a cercarli):

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie sei proprio una stronza

771. 29 & 30 III.

30 Mar

1. Devo premettere che non sento, stranamente, nessuna mancanza del diario – inteso come compilazione quotidiana, non ho praticamente fallito un giorno dal 1993, benché poi quasi nulla di tutta quella carta sia rimasto, fisicamente, con me (ciò che vuol dire che è finito distrutto, macinato, disperso, macerato, riciclato, fatto strame) – , ma sento di dover tener fede a quello che m’ero ripromesso, ossia di tenerlo direttamente in rete [un blog non serve a questo, essenzialmente?]: ciò che faccio più a cuor leggero adesso che mi sono accordato con la Fondazione Spallanzani per fornire il mio contributo manoscritto, e non più dattiloscritto dal momento che il file che andavo faticosamente, un pezzetto per volta, completando – sono molto molto lontano dalla completezza, per la verità – e che salvavo tutte le volte come allegato d’una bozza adesso non si riesce nemmeno più ad aprire – esce un messaggio d’errore, l’applicazione è chiusa d’ufficio, e io rimango lì, come uno stronzonaccio, davanti alla schermata della posta elettronica, con tutti quei messaggj di gente che non conosco, di facebook, e di quel social network da cui di tanto in tanto mi arrivano notizie di altri perfetti sconosciuti che vorrebbero entrare nel novero delle relazioni professionali di Elmireno Seminacoccole (ma si potrà, perdiana?).

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie diario

770. Un piego.

14 Mar

PER VN PIEGO,

INVIATO ALLA PROPRIA SEPOLTVRA

(DOVVNQVE ESSA SI TROVI).

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie versi

769. Fumetti & batterj.

25 Feb

Qualcuno ha portato, in un momento non precisabile della settimana scorsa, uno scatolo di fumetti, tra cui parecchj originali, tra cui parecchj Bonelli, e parecchj altri che non erano Bonelli ma tarocchi. Tra questi, una serie di Martin Hel, che nonostante non siano paragonabili per accuratezza e solidità di trame ai Bonelli, non sono spregevole cosa; anche perché sono tarocchi Bonelli, e l’esempio è, si vede, valido. Ma l’inferiorità rispetto ad esso modello è sensibile. Meno sensibile, invece, nel caso di un Gordon Link, in particolare nel caso dell’unico numero di codesta serie compreso nel pacco – l’unico numero di codesta serie compreso nel numero dei numeri che ho tirato fuori dallo scatolo e che mi sono portato via -, vale a dire il n° 18, dal titolo La donna eterna, che era lo stesso titolo che soleva darsi alle vecchie edizioni di She di Haggard, padre putativo di tante creazioni fumettistiche, con addentellati interessanti anche allo scollacciato.

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie batterj, gianfranco manfredi, gordon link

768. Bear with us.

7 Feb

Sono impegnato.

Intanto, le ricerchine di oggi:

Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie bear with us

767. Diario.

4 Feb

Io avevo un’abitudine: quella di tenère un diario, inteso come un pacchetto di foglj da imbrattare, o parte imbrattati e parte ancòra da imbrattare, che  normalmente si accumulano ad altri foglj, volanti od uniti in quaderni, o pinzati, o vattelappesca. Tralasciando il diario che tenni finché ebbi una casa [1], che è perduto, e quello dei primi anni passati a Torino, che è perduto, qualche giorno fa, avendo dovuto cercare una cosa nello zaino, ho estratto un sacchetto dov’erano stati cacciati alla rinfusa diversi stracciumi, che coincidevano grosso modo con tutto quello che avevo scritto nel 2007, anno non produttivo, compreso anche il diario, che rende conto di quei giorni che trascorsi in una squallida casa di Grugliasco, che è un posto squallido in provincia di questa città [2]. Una sera mi sono dimenticato il sacchetto, tout court, in biblioteca; la sera dopo mi sono dimenticato di rimettere il sacchetto nello zaino, che è una cosa leggermente diversa ma che ha avuto un risultato identico: il sacchetto è rimasto lì. E la mattina dopo, probabilmente per averlo veduto già due giorni di sèguito, i pulitori – ex straccioni, tossici e galeotti della coop. Frassati – hanno pensato di buttar via tutto.

Non ho motivi particolari per rimpiangere il diario del 2007 [3], e nemmeno quello che è successo nel 2007, ma mi sembra veramente di star lavorando per il cassonetto, esclusivamente o quasi. Prima o dopo tutto finisce, ci mancherebbe, ma agire troppo in anticipo sul giorno del giudizio mi sembra malsano. E poi è un po’ una stronzata scrivere a mano e non sapere dove ficcare la carta [4]. Sicché mi sa che butto via tutto e il diario lo tengo qui sopra. Salvo che i computer non si sfascino completamente [5], nel qual caso non lo terrò né lì né qui.

[1] Dal 1993 all’autunno 2004.

[2] Ci ero finito perché dovevo scrivere un libro (!).

[3] Ne avevo appena riletto qualche estratto, ed era pieno di notazioni senza interesse, relative alla spesa che avevo fatto, magari, quel giorno, piuttosto che alle condizioni atmosferiche, piuttosto che a qualche piccolo fastidio, tra altri e ben maggiori, e poi una serie di esortazioni come “Dovrei pensare a”, “Dovrei fare”, “E’ giunto il momento di”, naturalmente tutto rimasto senza sèguito. Non riuscivo a concentrarmi, semplicemente perché stavo saltando un passaggio intermedio, e non avrei mai dovuto pensare che fosse possibile farlo.

[4] A causa di una serie di circostanze mi devo portare gran parte delle cose dietro; dovrei fare una cernita, ma come si fa? E in ogni caso questo mi obbliga a pensare al post riassuntivo degli eventi degli ultimi mesi, che varrà la pena riesaminare (anche, appunto, per fare in modo che quelle carte non siano perdute per sempre).

[5] Funzionano molto male.

0.000000
0.000000
  • Categorie diario

766. Immortalato!

2 Feb

Dalle parole ai fatti: CronacaQui regala i primi sacchi a pelo (Se vuoi partecipare anche tu, scrivi a <a href=mailto:redazione.to@cronacaqui.it>redazione.to@cronacaqui.it</a>)

Prima  mi premeva raccontare un sogno di due notti fa, che si ricollega a quello della notte scorsa per motivi che parranno ovvj. Mi ricordo specialmente l’ultima parte del sogno. Disponevo di una camera da letto fatta grosso modo come quella a cui ero abituato, identica per quanto riguarda la bassa libreria a quattro comparti, a destra del letto – una sorta di comodino, se si vuole, ma lungo quanto il letto. Quello che mi occorreva fare in quel momento era risolvere una questione molto importante, ossia rivoluzionare concettualmente la disposizione dei libri. Il criterio che aveva dominato fino a quel momento, per quanto riguardava la scelta, si doveva alla presunta esigenza di avere letture leggère a disposizione nell’ora o due precedenti il sonno; e dunque soprattutto la scansia immediatamente a destra del guanciale era un coacervo di letture di scarso impegno, o stupide. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie cronaca qui, sogni, sterquilinarie, strada

765. Mia cosa vecchia.

23 Mag

Francesco Marotta, sul suo sito, ha voluto gentilmente postare una mia cosa vecchia, di due anni fa. Ne ha riprodotto in chiaro le prime 12 stanze, e il testo, suppongo integrale, in pdf; adesso costituisce uno dei Quaderni di Rebstein. Così ho potuto rileggere un pajo di versi, e li ho trovati incomprensibili e poco interessanti: tutto quello che scrivo mi dà l’impressione d’invecchiare e morire con una rapidità eccezionale. Voglio anche, ringraziando sentitamente Marotta, indicare che l’epigrafe dallo Stigliani è più propriamente la firma digitale della mia mail, il componimento di fatto nacque anepigrafo e nella sua crepuscolarità scontrosa non mi pare concreti alcunché di particolarmente maraviglioso. [Tra i commenti se ne segnala uno della fedele Natàlia Castaldi, che ha l’impressione che un settenario abbia sei piedi. Non ho risposto lì e non risponderò nemmeno qui: non so se ricapiterà mai, dubito, ma dovessero riproporsi questioni del genere, non ritengo doverne discutere, anche perché hanno che fare con un’errata percezione e del testo e di me su un piano generale, e non possono portare a nessuna miglior comprensione fattiva].

0.000000
0.000000
  • Categorie francesco marotta, quaderni di rebstein, sera estiva

764. …

18 Apr

E’ parecchio che non posto sul blog; questo dipende esclusivamente da motivi tecnici. Mi mancava, fino a poco fa, un buon computer, e avevo avversione ad usare i terminali della biblioteca perché fanno schifo, come la biblioteca in genere, comprese le due ultime assunte, che ovviamente hanno la faccia da ninfomani. Ultimamente ho provato a correggere un passo di un vecchio post, su cui ero capitato per caso, e ho scoperto che non sono fanno schifo, ma, cosa ancor peggiore, non permettono più di postare nulla. Si vede che per azionare il tastino “pubblica” ci vuole un programmìno che i catorcj della biblioteca di merda non prevedono.

La navigazione è poi, anche quando possibile, disturbata da una serie di problemi, dovuti a finestrine popup che chiedono se eseguire il debug, e possono comparire anche a quindici una appresso all’altra, ed a finestre di opera che si aprono automaticamente, come file scaricantisi per default.

Nulla di cui possa capire nulla, se non che i computer sono troppo obsoleti per occorrere ancòra a qualcosa. Tutte le soluzioni alternative mi sembrano troppo macchinose, e non penso proprio di riuscire a saltabeccare da una biblioteca all’altra per postare qualcosa sul blog – non ne vedo una gran necessità, francamente. Non è nemmeno la cosa peggiore che mi potesse capitare. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie biblioteca nazionale di torino, danilo rossi, luigi solletti, roberto di carlo

763. L’oiseau que tu croyais surprendre.

26 Gen

http://www.youtube.com/watch?v=u9ejrQMsJ2Y

Quando lord Harewood le chiese come avesse affrontato il personaggio di Carmen – solo per una registrazione in studio, EMI, 1964 –, la Callas disse che secondo lei Carmen si avvicina agli uomini più al modo di un uomo che si avvicina ad una donna che al modo di una donna che cerca di sedurre un uomo. Esistono due documenti video, entrambi del ’62, che possono considerarsi preparazioni all’incisione: uno si riferisce ad un recital al Covent Garden, dove la Callas è in abito ottocentesco e fornisce di Carmen un’idea salottiera e giocosa, tipicamente da concerto e lontana da questa concezione; l’altro, che si riferisce ad un recital di Amburgo, in cui la Callas esibisce una gestualità ‘maschile’ del tutto in linea con la sua idea del personaggio. Il contrasto tra le due interpretazioni è interessante: viene spontaneo vederci un’evoluzione, inferendo automaticamente che il recital del Covent Garden venga prima, e poi quello di Amburgo. Invece è vero il contrario: il concerto di Amburgo è del 16 marzo, quello del Covent Garden (un concerto televisivo durante il quale si esibirono anche Giuseppe Di Stefano e Juliette Gréco) del 4 novembre. È che la Callas, semplicemente, sapeva contestualizzare l’interpretazione. Ad Amburgo era sola; una parte importante del non lungo concerto era occupata da una specie di ‘suite cantata’ di Carmen, che pare preludere all’integrale di due anni dopo, comprendente anche l’ouverture (malissimo eseguita da Prêtre, che in disco è tutt’altra cosa), e la Seguidilla. Al Covent Garden era uno tra i tanti elementi in gioco, in un contesto ‘leggero’. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie amburgo 16 marzo 1962, callas, habanera

762. Vaffanculo te e mammà.

18 Gen

Càpita che 5 giorni fa il Gori, che non è quasi mai alterato, mi scriva perplesso, dicendomi: 1. Un tal Ernesto Concillo mi ha scritto dicendomi che è amico tuo, ma tra gli amici tuoi non figura; 2. Mi scrive complimentandomi per i “racconti di Sbrodolini“; 3. Mi propone, ‘se mi garba’, di andare a puttane insieme.
Il Gori conclude la serie delle domandine chiedendomi: 4. Ma chi cazzo mi fai conoscere? Io rispondo: 4. Io?, 3. Questo rimane affar vostro, naturalmente, anche se non vi vedrei molto bene insieme, 2. Mi dispiace, ma non è colpa mia!, e: 1. CoRcillo, semmai.
Il quale in effetti non figurava tra i miei amici perché l’avevo appena tolto; non solo, ma ho anche bloccato tutti i suoi amici, compreso un nipote e gente varia, tra cui una scrittriciue, di nome Rosa Mogliasso, che ha scritto un noir in cui si definisce “stentoreo” il bargillame ancòra non operato sotto il mento grinzoso d’una vecchia.
Visto, peraltro, la faccia? Ci sarebbe stato anche un punto 5., ossia Che faccia, mi sono spaventato (da parte del Gori), ma, ad onor del vero, da vivo non assomiglia affatto ad una comparsa d’un poliziottesco di mafia anni Settanta: ha molto più del pirla. Ho detto al Gori che se poteva servire a mia discolpa, questo tale m’aveva messo alla porta il giorno prima, 12 gennajo, sostenendo che ce l’avevo con lui.
Perché?
Ricapitolo. Continua a leggere →
0.000000
0.000000
  • Categorie vaffanculo te e mammà

761. Mailer.

2 Gen

 

Miriana Ajello, un’amica di fb, mi ha regalato questa bellissima caricatura di Norman Mailer, che ho sùbito caricato come avatar, trovandola molto adatta a me – non che mi somiglj, se non in spiritu. Io amo molto Norman Mailer (1923-2007), che avrei dovuto lèggere prima. Mailer partiva da una condizione d’inferiorità fisica, e credeva nella continua sfida fisica e intellettuale: col Nudo e il morto (1947), in cui dà conto della sua esperienza durante la II Guerra mondiale, fece un grande successo; poi, ad ogni libro, tentò di rifare il botto, ma non per esigenze di mera cassetta. Scrisse libri molto lunghi, tutti il risultato di una sorda lotta con fenomeni grandi e grossi: la cinematografia hollywoodiana, l’allunaggio, l’omicidio di JFK, il mito di Marilyn, la CIA &c.  Era freudiano, reichiano e anarco-comunista. Nel 1970 si portò candidato a sindaco di New York, senza successo. Dieci anni prima, nel 1960, aveva accoltellato la moglie, Adele Morales, con un temperino, dopo un party, quasi uccidendola. La moglie non aveva voluto denunciarlo, e lui se l’era cavata con una sentenza ch’era in sostanza un non luogo a procedere. Ma da allora ebbe fama di maschilista odiatore delle donne, e di debole insicuro. Di qui anche l’interessante documento sottoriportato; del dialogo non ho capìto più del 60%, cioè non più dello strettissimo necessario per non dire “Non ci ho capìto un cazzo”, e in sunto ne do conto sotto, pensando che altri siano messi anche peggio di me. Chi invece come inglese è messo meglio è pregato di apportare correzioni ove vi sia errore. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Categorie norman mailer

760. Augurio di Capo d’Anno.

1 Gen

Augurio di Capo d’Anno

Ad un Amico.

C.S.

 

 

LE PIÙ GRAVI CATASTROFI           FUGGANO DAL TUO TETTO;
SOLO TE, E OVUNQUE, SEGUANO  I POPOLI DEL MONDO;
RESTINO, E MAI TI LASCÎNO          LA GIOJA ED IL DILETTO;
I TUOI NEMICI PERFIDI                  PER TE SIAN TRATTI A FONDO.
***
DAI MORBI PIÙ TEMIBILI              SERBA ILLIBATO IL LETTO;
CHI T’ODIA SIA IMPASSIBILE      DI GERME NON IMMONDO;
SEMPRE UN SERTO ONORIFICO    FREGÎ IL TUO CAPO ELETTO,
FREGÎ CHI TI PERSÈGUITA            DI CORNA IL VILE PONDO.
***
TUOI NEMICI TRAVOLGANO       MAROSI DI DOLORE;
D’ORO E GEMME PIÙ OCEANI      VERSI SU TE LA SORTE,
CON MOTO INARRESTABILE,      SEMPRE D’UN SOL TENORE;
***
LE SVENTURE TI TROVINO          SEMPRE E DOVUNQUE FORTE;
QUALUNQUE GENTE T’OSPITI    BUSSI A TE, A FARTI ONORE;
SICCHE’ ABBIA LUNGI A VOLGERE    LA MANO DELLA MORTE.
0.000000
0.000000
  • Categorie buon anno!

759. Augurj ad Irene De Sanctis.

30 Dic

Con l’ajuto di questo.
 
 
 

Augurj

ad IRENE DE SANCTIS

per il suo XCIX compleanno.

1. Quale Virtù la fibra in te convinse
A soggettarsi, quasi sua fattura,
D’altrimenti aspra e indomita Natura,
Al punto che ogn’ACREDINE in te STINSE? Continua a leggere →
0.000000
0.000000
  • Categorie augurj ad irene de sanctis

758. Non costa nemmeno troppo.

20 Dic

 

Chi me lo regala per natale?

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie natale

757. 82.

18 Dic

82. In un contesto familiare normale – ragionò –, Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

756. 81.

18 Dic

81. Non differentemente da molti altri contenitori, animati e inanimati, anche il parallelepipedo di vetro infrangibile dietro il quale Olu trascorreva la gran parte delle sue giornate aveva una parte visibile e un contenuto nascosto: solo al riparo da occhî indiscreti egli poteva infatti concepire una simile ammucchiata di oggetti personali e di personalissimo uso, quali non era dato probabilmente tenere così nascostamente sciorinati nemmeno in casa; metti che venisse qualcuno in visita, o ci fosse un’irruzione della Polizia, non sarebbe stato pensabile avere appiccicati da tutte le parti tanti bigliettini, non solo con promemoria riguardo spese da fare e rifornimenti, ma anche con numeri telefonici, indirizzi, e frasi sentite dai passanti e segnate per non dimenticarsele: se poi qualcuno gli avesse chiesto, posto che il suo ragionamento – è chiaro – fosse stato quello, se annetteva qualche pericolo oggettivo per sé nel fatto che altri vedesse i suoi generi di conforto, la sua rubrica a feuilletons, i suoi libri, le sue cassette, con ogni probabilità o non avrebbe saputo che cosa rispondere o avrebbe irriflessamente risposto no, che non era proprio per quello che l suo piccolo retrobottega gli pareva la sede più consona, anche se non avrebbe mai saputo spiegare, allora, per cosa: e Lei, Quintiliano, si lasciò a questo punto andare a una serie di considerazioni circa il valore intrinseco della privatezza: come se, e così era stando alle apparenze, il solo fatto di essere al riparo dagli occhî degli altri potesse di per sé implicare un più libero e fiducioso godimento delle cose, un più pieno uso delle stesse, e – perché no? – magari anche una maggior efficienza nel gestirle: ma non capiva come mai questo avvenisse, ossia perché, anche in assenza di qualunque pericolo di subire un furto o incorrere nella più o meno sensibile riprovazione altrui, sia più o meno naturale istinto per un essere umano godere di nascosto, prevalentemente, di quello che possiede: ricordò che anche al chiuso delle case dei padroni, i cani mangiano più volentieri riparati negli angoli, perché l’atavica prudenza rammenta sempre loro che mentre consumano il loro pasto sono più vulnerabili all’attacco del nemico; e probabilmente, anche in quei contesti in cui l’uomo sa di potersi fidare dell’alto livello di civiltà o di reddito della gran parte del proprî simili – Central Park in questo senso non faceva molto testo, ovviamente, perché era un porto di mare – , tendeva in ogni caso a serbare memoria preconscia, se non genetica, dell’eventualità del furto, dell’invidia o dell’esposizione eccessiva ad un attacco di qualche proprio simile: anche quando questo non era da preventivare, la privatezza era comunque ricercata e voluta.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

755. 80.

18 Dic

80. Tutte immagini deprimenti e grandiose a cui Le piaceva pensare, forse non prive di qualche fondamento reale o verosimile ma di per sé meri riflessi della conseguita consapevolezza che al mondo nulla è certo e nulla si lascia conoscere con facilità; consapevolezza che tuttavia, come sempre avviene in questi casi, non schiudeva di per sé nessuna possibilità di avviarsi a qualche indagine coronabile da successo – e che aveva una sola, un’unica eccezione, che poi in quel momento era la sola cosa che Le premesse e Le stesse in cuore, vale a dire l’esatta corrispondenza di un corpo spirituel e uno spirito spirituel (in totale, tre quarti di esprit e uno solo di corps) nel Suo amico baracchinista Olu; che, al termine d’un vialetto, sullo sfondo di un ponticello giapponese e una siepe stecchita che levava le branche dalle terminazioni multiple e sottili come fili di ragnatela, ora Le si rendeva visibile, dietro lo scatolone di vetro trasparente infrangibile che conteneva tutta la sua mercanzia, mentre, intento, con aria totalmente assente, o contava il denaro nella cassa o sceglieva un nastro da mettere nel registratore o faceva qualsiasi altra cosa potesse impegnarlo in quel momento: e anche quei semplici gesti al riparo dagli occhî del pubblico, in effetti, Le parve confermare sostanzialmente quello a cui aveva pensato fino a quel momento: una scatola, chiusa al riguardante, era il baracchino di Olu, e in parte occulto era il suo contenuto, perché davanti erano disposti in bell’ordine hot dogs con würstel di majale e di tacchino, panini con presciutto e cheddar, tramezzini tonno panna e funghi, Coca cole, Pepsi cole, orangine, brasilene, acque toniche, barrette di sesamo e miele, schiacciata di albicocche, e duemila altre cose all’incirca – mentre dietro la mercanzia c’era una fila di Penguins consunti, classici soprattutto, il Dictionary of Poetry di Princeton, un manuale di analisi matematica da un anno ormai continuamente abbandonato e ripreso, due stradarî di New York, alcune boccettine dal contenuto non precisato, un piccolo mangianastri a pile con accanto diverse cassette (tra cui si segnalavano il Wohltemperierte Clavier, “Fandango & Other Sonatas of padre Solér”, e alcune novità – di allora – di musicisti che non conosco, gli “Slayer” e i “Judas Priest”, con due titoli recentissimi, South of Heaven e Ram it Down; & altro), il “NYTimes” del giorno, di solito, almeno Newsweek e lo Scientific American, cataloghi di mostre, crema per le mani, un elenco telefonico dell’anno prima, una moca italiana, un barattolo di caffè.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

754. 79.

18 Dic

79. Una tesi non ha bisogno di starsene nascosta tra le tenebre in cui la coscienza non riesce a spingersi se non quando il pensiero, che è un anfibio tra le tenebre e la luce, vuole nascondere alla coscienza stessa che quello che si va concependo in mezzo a quelle ombre non è una possibile, eventuale forzatura della realtà dei fatti, ma semplicemente una constatazione, una presa d’atto; mentre è vero il contrario: poiché una tesi nasce sotto forma di tentazione a credere, anche quando l’evidenza potrebbe rivelarne tutta la fallacia, in una certa idea; dopodiché il pensiero, prima di lasciar emergere in piena luce la tesi, passa qualche tempo a consultare la memoria, teoricamente vagliando non selettivamente il materiale, di fatto andando a trascegliere tutto quanto può corroborare la tesi stessa, dunque, di fatto, escludendo a priori tutto quanto potrebbe invalidarla; a quel punto la tesi può uscire allo scoperto e mostrarsi nella piena luce, corteggiata da prove senza smentita: ecco, in questo caso la Sua tesi era che tutti gli uomini sono come scatole chiuse, come contenitori che servono, occultando, a fuorviare il riguardante circa il proprio contenuto, dando le viste di contenere una cosa per un’altra, o una cosa che è il contrario di quella che di fatto contengono, o di non contenere nulla quando contengono molto, o di contenere un po’ di tutto quando contengono una cosa sola; o di contenere qualcosa di incomparabilmente più ricco o incomparabilmente più povero di quello che in realtà c’è; dovunque si giri lo sguardo, Si dicev’Ella, insomma, ogni fisionomia, ogni volto, ogni apparenza mente; con lo scopo, evidentissimo, o di proteggere quello che secondo i cristiani è il nascosto talento, a chiunque voglia eventualmente distruggerlo, o saggiarlo, o servirsene o farne chissà che altro uso perverso o sconvolgente: così il reale delle anime si camuffa colla maschera dei volti, pensava, e così il mondo, che a detta dei pragmatici che odiano il chiuso confortevole e artificiale dello studiolo e fanno di tutti i libri e di tanti monumenti degl’ingegni solitarj un fascio d’inanità, è solo una galleria di simulacri, una recita che nasconde una morale talvolta di segno inverso rispetto al rappresentato, talora di segno solamente diverso, una giostra di cavallini e carrozzine che stanno fermi mentre si muovono e mentre si muovono stanno fermi, un’esposizione di statue di cera a cui inutilmente si chiederebbe una parola di risposta, un segno di vita; una stele di geroglifici che ad ogni riga, ad ogni parola richiedono una chiave interpretativa diversa, un’apparenza vana e perfida, uno stagno di acque morte brulicante di vivissimi batterî; una morte galvanizzata e con la maschera mortuaria sopra il teschio inespressivamente ghignante; & cetera.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

753. 78.

18 Dic

78. In questo senso Le pareva che effettivamente un uomo potesse essere paragonato ad una cassetta di legno o di metallo, ad uno scrigno ricoperto di cuojo e dai rinforzi d’acciajo, ad un baule dalla chiusura ermetica, o ad una cassa dalle liste larghe, attraverso le cui imperfette commessure era visibile un contenuto o dozzinale giusta l’esterno oppure inopinatamente valente e prezioso; ma soprattutto era simile ad un contenitore che nulla tradisse del proprio contenuto, e perché di materiale rigido, e ben chiuso, o perché, addirittura, menzognero riguardo il proprio interno, come una cassa con sopravi ALTO e FRAGILE, stampigliata con una dicitura con la quale si attribuisse un contenuto di cristalli, vetri e coccî mentre poi conteneva animali vivi o putrelle o trucioli, o perché aveva già svolto il proprio servizio per quanto riguardava la merce che dichiarava o perché all’ultimo momento se n’era trovato un differente impiego: se anzi riandava con la memoria a tutte le persone a Lei note, se proprio doveva trovarne una il cui aspetto fisico corrispondesse – in specie il volto, come appunto l’aspetto esteriore di una cassa, o la prima mezza pagina di un libro, o un presagio di pioggia verso l’alba – basandosi su quello che poteva sapere dell’anima, dello spirito, dell’intelletto di quelle persone, non ce n’era forse nemmeno una (o nemmeno una, sicuramente, Le riuscì di richiamare alla mente in quel preciso momento) in cui il fenomenico corrispondesse pienamente a quello che stava più sotto: conosceva vecchî dall’aspetto talmente incallito da far pensare che non avessero più nemmeno battito cardiaco eppure dotati di una sensibilità ultrafine, e adolescenti di aspetto delicato e gentile dalle chiare inclinazioni sadiche; uomini dall’aspetto rozzo e brutale e dall’animo mite e gentile, e donne dall’aspetto raffinato dalla parlata, dai modi, dai pensieri volgari; per quanto interrogasse la Sua memoria non Le era dato trovare nemmeno un caso in cui l’aspetto fisico, la complessione, il volto denunciassero un contenuto spirituale esattamente corrispondente: e, se non era inverosimile che una tesi a Lei da Lei stesso sottaciuta forzasse la dimostrazione o la falsificazione in una direzione piuttosto che in un’altra, era quantomeno assai verosimile che in tutta la Sua vita avesse conosciuto pochissime persone la cui intenzionalità e la cui personalità fossero stampate a chiare lettere nel volto, nei gesti, nei comportamenti: era da credere che, se pure c’erano, fossero pochissime, e non potevano far testo nella materia che stava tra Sé dibattendo.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

752. 77.

18 Dic

77. Tolta questa particolare, per quanto abbastanza cruciale, possibilità di coincidenza simbolica tra una scatola e un uomo inteso come contenitore, in special modo in senso morale, rimanevano comunque incidenze interessanti, o che tali Le parevano: Olu era, come qualunque uomo, un contenitore della propria storia, in un certo senso, come anche Lei, Quintiliano, o chiunque tra i Suoi familiari, i Suoi insegnanti, i Suoi compagni di scuola o di squadra e, insomma, come qualunque Suo simile: posto di precisare, però, che quel contenitore era animato, flessibile, umido, in grado di emettere suoni e fluidi, trasformabile e deperibile – trasformabile anche dal proprio stesso contenuto, a differenza di un contenitore inanimato che non fosse costituito da materiale flessibile e permeabile – come un sacchetto di carta, per esempio, ma al momento non Le interessava, come termine di paragone, poniamo, un sacco o una borsa; perché la questione essendo Può un uomo essere paragonato a un contenitore e al suo contenuto?, era molto difficile non trovare più suggestivo e ricco di conseguenze il paragone che vedesse da una parte l’uomo e dall’altra uno scrigno, un contenitore rigido, atto a contenere e nascondere insieme; poiché, così almeno Le pareva in quel momento, il fenomenico di un uomo era sì anche forgiato dal suo contenuto, ma di esso era anche cattivo ambasciatore, anzi, più cattivo ambasciatore che buono, o enigmatico o menzognero o fuorviante, o quantomeno reticente sul proprio contenuto, non mancandoLe molti esempî, Olu a parte, di uomini e donne dotati di fisionomie dal fascino misterioso che indiscutibilmente non erano all’altezza, sia dal punto di vista spirituale sia dal punto di vista della storia personale, del loro assetto più superficiale, vistoso ed esteriore; e, per converso, di uomini e donne d’aspetto del tutto dozzinale, insignificante e per nulla attraente, che nascondevano passati e contenuti e sapienze i più straordinarî: come il prof. Hirsch, che Le aveva dato alcune lezioni private di latino, e nonostante fosse fuggito fortunosamente da Auschwitz, avesse attraversato il Sud della Francia trascinando una gamba spezzata, fosse dotato di uno spirito eccezionalmente acuto e di una cultura ineffabilmente ampia e profonda, e in più appartenesse al Popolo eletto, mostrava la fisionomia sgraziata e priva di qualunque fascino di un attempato parroco di campagna; al contrario, Roger Olsen, con cui giocava a hockey un giovedì sì e uno no, era alto, già a quattordici anni, un metro e ottanta, aveva un volto da lemure dominato da due occhî di diverso, e ciascuno particolarissimo, colore (uno viola e l’altro di un verde-oro praticamente giallo), la testa sormontata da un gonfio casco arcangelico di liscî capelli biondobianchi sparsi di fila di rame, e un fisico adorno in pari misura di muscoli e di grazia, un semidio, o un dio, dal sorriso solenne ed enigmatico, dalla voce armoniosa, olimpica e distante, molto richiesto e sbavato dietro da numerose ragazze sceme e da qualche gay dei più ritardati – eppure ignorante come una capra, pessimo giocatore, prosaico, senza carattere, un imbecille perfetto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

751. 76.

18 Dic

76. Lei aveva faticato parecchio a trattenerSi dal fantasticare su un personaggio le cui doti concorrevano in pari misura al mistero che lo circondava ad attrarLa: e nel gioco analogico che aveva cominciato a fare tra Sé e Sé e che ormai aveva irretito tutti i suoi pensieri, concepì l’idea di Olu come quella, a sua volta, di un contenitore, ovvero uno di quei Sileni a cui Socrate era stato equiparato: solo che l’involucro di questo Sileno Le pareva bellissimo, e l’interno oscuro, forse nei due sensi, e perché non manifesto, e perché in qualche modo inquietante e sinistro: anche nel caso di Olu, si disse, l’interesse che provava era dovuto in primo luogo a quello che, riposto nascosto negato rimosso recondito, non vedeva e non sapeva: Olu dai gesti precisi e dal sorriso di lupo sarebbe stato solo bello da vedere, con il suo fisico affusolato, al sua fisionomia nervosa; ma l’attrazione prepotente che esercitava su Lei era dovuta al fatto che quel fisico, con quelle caratteristiche, fasciava racchiudeva escludeva allo sguardo cose sconosciute – e che potevano non essere belle: la segreta speranza di trovare conferma di un passato del tutto confacente alla sua figura gradevole, metafisica, slanciata, una sequela veloce di vicende intricate, avventure che ne esaltassero, tra le tortuosità di un percorso tutto accidentato, tutto sfide, tutto prove concrete, il suo vivacissimo umorismo, la sua puntutissima arguzia, il retrogusto soavemente acidulo dei suoi sfottò, La portavano talora a disperderSi in devanei versicolori, appunto, che tuttavia tentava di dissipare con la ragione: nel caso di Olu non avrebbe mancato di trovare malsano un esercizio paragonabile a quello fino a mo svolto circa la scatoletta nera di nonna Edgarda, e infatti non aveva la minima intenzione di passare dalle illazioni su un oggetto inanimato alle illazioni sul Suo sconosciutissimo miglior amico: la scatoletta, in primis, era un’ambasciatrice neutrale, una latrice insensibile, impassibile, una cosa morta il cui eventuale orribile segreto, una volta scoperto, l’avrebbe lasciata esattamente qual era; Olu, come uomo, poteva avere non solo una storia da occultare, ma anche da difendere, una massa di fatti, di azioni compiute, di intenzioni non mensurabile né gestibile che lo stesso contenitore poteva decidere se rendere manifesti o no – ma pareva assodato che no, almeno per il momento –, e, se sì, in che forma, integra o parziale, sincera o interessata, letterale o viziata: soprattutto, qualunque cosa nascondesse la scatola non avrebbe mai implicato una valutazione morale sulla scatola stessa, se non per transività capricciosa o vezzo animistico; nel caso di Olu, invece, valeva l’esatto contrario.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

750. 75.

18 Dic

75. Lei non era affatto sicuro di poter diventare come Olu, però, perché Olu in parte, forse in gran parte, Le sfuggiva: disperava, anzi, di poter diventare come lui, dato che Olu, nella sua maniera espansiva ed affettuosa, così pieno di slancio da trasformare ogni espressione di simpatia in una specie di delubro traforato, in una strofe di pindarica, che sembravano attraenti, nonché per i concetti esprèssivi, per la sola meraviglia della lavorazione, della tournure capricciosa, della grazia tortile delle colonnine proposizionali, dell’ariosità delle logge lessicali, in realtà era uno di quegli uomini – non moltissimi per la verità – per cui la vita ha senso solo nella dimensione dello hic et nunc, e che di rado o mai si servono dei verbi al passato, o aggrottando le sopracciglia e guardando lontano snocciolano i farò, i dirò, i penserò, i provvederò che aggravano d’ansia il momento non ancóra trascorso; per quanto, a ben pensarci, “passato” non sia affatto sinonimo di “intimo”, o “geloso”, essendo che molte cose riservate possono benissimo avvenire anche nell’ora e sùbito, e anche quando sono passate, proprio perché sono state passibili di archiviazione nell’ampio preterito, devono pur essere state, al tempo loro, in un hic et nunc: e per quanto Lei vedesse Olu praticamente solo sul posto di lavoro, e la posizione dietro un baracchino di vivande non invitasse né a fare considerazioni troppo personali né a fare alcunché, in generale, di troppo privato, tuttavia il sospetto era che Olu, diffuso e sontuoso benché per verba, fosse in realtà reticente e chiuso alle confidenze più delicate; giocava anche, arroge, in sfavore di queste ultime, la differenza d’età, ma Olu era pur sempre un ragazzo, se non un adolescente, e, per quanto in un lasso cruciale, cinque anni non rendono incomunicabili; inoltre non confessava mai disagio a parlare con un ragazzino, e questo sicuramente, anche, grazie alla Sua maturità e ad una certa giocosità di carattere propria del Suo amico: ma il fatto è che Lei era tormentato, talvolta, da dubbî e timori e scrupoli di cui Olu ascoltava pazientemente l’intera esposizione, senza noja apparente né artificiosa compostezza mimica; e Le dava consiglî, portava alla Sua attenzione cose che Le erano sfuggite o rimaste recondite od oscure, ma nella sua dizione tonda, piena di eleganze, c’era come il lapislazzuli e l’oro di un codice illuminato, colorita com’era ma bidimensionale, incapace di rendere l’idea di un retroterra storico, di qualcosa di oscuro d’irrisolto di doloroso di problematico: insomma, alla lunga Si era convinto che Olu Le si nascondesse, o si nascondesse, in generale, dietro la floridità delle espressioni di cavalleresca fragranza; soprattutto perché un lampo di malizia o l’espressione di una saggezza antica, o il velo d’un’incredibile stanchezza, col loro messaggio inquieto, e forse sinistro, gli passavano di quando in quando negli occhî, senza minimamente comunicarsi alla bocca.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

749. 74.

18 Dic

74. Io già m’immagino, e m’affretto a dirLe: io già capisco, quale sarà la Sua irritazione adesso nel vederSi così esplicitati (o semplicemente scoperti) i sentimenti: dato che nei suoi diarî non c’è nulla di simile, almeno non in forma esplicita, a quello che ho appena detto: esso è in ogni parte mia illazione, e non sua affermazione; per quanto, date le Sue affermazioni, era impossibile per me trattenermi dallo spiegare in questo modo il Suo proprio modo di vedere e l’amico e Sé stesso; a guidarmi per questa via, forse perigliosa, arrischiata per quanto si voglia, senz’altro azzardosa, non ci sono però solo le Sue note, ma anche quello che una lunghissima esperienza di vita mi va dettando; e quello che ho appreso dell’amicizia e dell’amore in tanto spazio d’anni – o meglio, in una prima parte della mia vita, dato che, dopo che ho capìto come funziona il principio, e per tutti gli uomini, senza alcuna esclusione, non ho mai più visto altro che un opaco ripetersi delle medesime, identiche dinamiche; le quali prevedono, invariantemente, che un profondo amore per un proprio simile, sia o non sia associato ai più voluttuosi sentimenti, consiste sempre, nella forma più pretta ed originaria, nell’anelito a fondersi con la figura amata, e fare tutt’uno di quelle che fino a quel momento erano due indvidualità distinte; dall’impossibilità di raggiungere l’assoluta fusione nasce un dolore di genere speciale, mescolato di rimpianto e di piacere (di complaints parla Lei nelle pagine che sto consultando; e più avanti di un’unhappy happiness in tutto degna di un titolo della Behn, se non d’una sua scrittura), e Lei, a cui è stato dato in sorte di provare più intensamente di altri quello che altri parimente provano, ma non di nutrire sentimenti quidditativamente differenti dalla totalità degli altri uomini, in quel momento cominciava a provare, per la prima volta, o per la prima volta con tale intensità, proprio questa tensione a raggiungere un’assoluta, impossibile identità con un amico – il Suo migliore amico, nello specifico, il Suo amico baracchinista Olu, del quale la incantavano e la incuriosivano parimente passato, nazionalità, mestiere, aspetto fisico, atteggiamento, cultura, pensiero, modo di avvicinarLesi, competenze & abilità: tutto quanto, perché parte di un tutto che l’affascinava, diventava affascinante per un fenomeno di transitività, anche preso singolarmente; e suppongo che questo sia stato assolutamente salutare, perché molte aride occupazioni e molti concetti nojosi sono stati spesso appresi con facilità grazie al fatto che erano possedute e noti a persone profondamente amate, e pertanto da imitare in ogni cosa.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

748. 73.

18 Dic

73. Quando Ella, infatti, pensava ad Olu come ad un altro Sé stesso, non doveva essere, almeno in teoria, in senso fisico: di fatto, la complessione singolarissima del Suo amico, la sua fisionomia per sé così incredibilmente arguta ed eletta, in cui un’accozzaglia di sproporzioni sembrava voler dare luogo ad uno spettacolo in cui la bellezza, libera dalle pastoje di armonie sempre pedissequamente debitrici ad un modello, e pertanto tutte simili tra loro – i belli sono tutti intercambiabili –, volesse superare sé stessa disfacendosi della sua ovvietà conformista, innanzitutto, non era nulla che Le appartenesse, né prometteva di appartenerLe nemmeno nel giro di qualche anno: Lei era bello in primo luogo della beltà che si dice dell’asino, come può essere un ragazzo (bello, non necessariamente asino), e sarebbe diventato bello come uomo perché così doveva essere, ma non aveva, non ha, alcun carattere spiccato, o così spiccato da costringere, come nel caso del Suo amico, ad ammettere che fa caso a Sé: e tuttavia, a dispetto dell’evidenza, dal momento che al Suo riferirsi ad Olu come ad un altro Sé tra qualche anno non era estranea nemmeno qualche considerazione di ordine men che spirituale o elettiva, alla lunga aveva finito col confondere un po’ l’idea dei Suoi proprî tratti con quelli dell’amico, e, benché il renderSi spiattellatamente conto delle strane tortuosità di percorso seguìte in ciò dal Suo pensiero L’avrebbe lasciata del tutto stupefatta, nel pensare a Sé tra qualche anno Si trovava di fatto a pensare a un Sé non dissimile da una mescolanza di Sé e di Olu, vedendo un uomo color cioccolatte, dai tratti delicati salvo gli occhî e la bocca in teoria troppo grandi: perché così, anche se non Le era chiaro, sarebbe voluto essere, tanto tra qualche anno come ora, sùbito, adesso; se solo, ahiLei, fosse stato possibile, e non era, e se solo Le fosse stato possibile avere diciannove anni, una cultura ancóra più stravagante irregolare eclettica composita di quella di cui disponeva, un passato in gran parte misterioso ma assai ricco di eventi, anche dolorosi, le radici in quell’altra parte del mondo, un’estrazione molto meridionale, subtropicale, assolata, un baracchino di barrette di sesamo, Coca cola, dolciumi di cocco, würstel – tanto un mestiere sostanzialmente disgraziato Le appariva affascinante, dato che affascinante era per Lei l’uomo che lo esercitava –, nessuna apparente ambizione, un sorriso lento ed enorme, abbagliante come un lampo tra nubi tempestose, uno sguardo come il fondo dell’inferno in un mare di latte, una voce di velluto bruno, mani di seta nera, e un’infinità di piccole attività collaterali a cui dedicarSi, un ordine sparso d’impegni, chiusure anticipate, tornosùbito, corse trafelate su un furgone scassato in direzioni mai troppo precise, interminabili riparazioni di motorette in un cortile squallido e fuori mano, e, spesso, un pajo di occhiaje profonde ad oscurare e a rendere, se possibile, ancóra più spirituel uno sguardo che era già l’esprit fatto sguardo: era, egli, un altro Lei, sì; ma Lei era infelice perché non era un altro Lui – non ancóra.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

747. 72.

18 Dic

72. Ciò non spiegava affatto se Olu avesse orecchie così nobilmente piccole allo scopo di raccogliere solamente le più elette armonie, tralasciando i suoni molesti, rimbombanti & grossolani; ma certamente aveva il potere di sollevarLe un gran peso dal cuore, e di consentirLe di passare a considerare altre parti del corpo di Olu, come per esempio le mani, le quali a loro volta contrastavano con la complessione generale per la loro graziosa enormità; graziosa, perché avevano le dita leggermente noderose, e affusolatissime, tanto da far pensare ai figuranti delle mani maschili, i granchi, sennonché non rosei o bianchi, ma bronzei, del più scuro pigmento che si riscontri su epidermide umana, non eburnei ma d’ebano, con ogni dito terminante in una spatoletta appuntita, di forma esattamente triangolare, come l’una terminazione della ganascia d’una pinza, e in apparenza altrettanto forte; ecco, anche le sue mani, del colore della notte, sul dorso, e lunghe, e larghe di ventaglio come le mani d’un’ombra della sera, incantevolmente rapide nell’afferrare pacchetti di bruscolini e perette di salse industriali, e nell’approntare panini, e nell’afferrare delicatamente cartamoneta o moneta, nel pescare dalla cassa per dare i resti, nel tracciare ideogrammi nell’aria, nello schematizzare un concetto, nel vergare righe di parole anch’esse affusolate e sottili agli estremi, come robuste di corpo, anche quelle mani, dicevo, erano della famiglia dei suoi occhî e della sua bocca, perché erano fatte per ricevere tutta una quantità di oggetti, e per restituire altrettanto, in cambio o semplicemente di conseguenza; e forse non è nemmeno di mestieri il dire che corrispondevano a quelle superiori anche le estremità inferiori, i piedi che macinavano con regolarità di passo chilometri di strade, e di parco, talvolta fuorviando, anche – s’è visto – con rischio di tutto quello che sopra essi si reggeva, e per i quali non potevano convenire tragitti men che eccezionalmente lunghi: come lunghi erano essi, 10 e ½ nella misura americana, 49 per la nostra europea, una base del tutto più che sufficiente, se non eccessivamente estesa e quasi sproporzionata, per uno sviluppo verticale di un metro e ottantacinque centimetri, sennonché, come mostravano nelle calure staterecce sandali e ciabatte, erano talmente sottili, allungati e gentili da non parere troppo grandi, e trovavano comunque con tutte le altre teoriche sproporzioni una finale armonia, conferendo slancio, grazia e un’eleganza tutta spirituelle alla sua complessione di lemure.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

746. 71.

18 Dic

71. Secundum Le aveva detto che si recava ad onore e vanto, semmai, l’essere utile all’amico, non solo con la conversazione virtuosa e con i frutti della propria deliberazione di tornare all’amico di quell’utilità senza cui l’amicizia non ha motivo alcuno di sussistere, bensì anche con gli stessi proprî comportamenti involontarî, e, tra questi, con le sue stesse colpe e defezioni; anche in questo caso per un in primis ed un secundum, quello essendo che si dimostrava in tal modo un’affinità elettiva tanto pronunciata che il buono non solo, ma anche il cattivo diventava buono; & questo essendo che in quel caso Lei, Quintiliano, aveva conferma della bontà dei sentimenti di Olu nei Suoi confronti, dato che anche con le sue mancanze questi La beneficava, mentre Olu poteva gioire all’idea che le proprie stesse men che buone azioni tornassero di vantaggio a chi gli era amico, sia perché voleva beneficare l’amico, sia perché il bene dell’amico rendeva in sé un bene, & inestimabile, il male commesso o non impedito; allo stesso modo, gioito come si conviene anche del bene che, per sé, aveva trovato Quintiliano in una cura di Sé che ne proteggeva e ne salvaguardava i giorni, Olu poteva rassicurarlo che l’idea che Quintiliano s’era fatto dell’amico come d’un altro sé stesso vanificava qualunque ipotesi di malafede da parte sua, & anzi quell’incidente, per quanto dalle conseguenze pecuniariamente così moleste, doveva considerarsi in tutto più che un bene, perché senza esso non ci sarebbe stata una così completa presa di coscienza da parte di Quintiliano che Olu era un altro sé stesso, ciò che prima poteva sentire solo in astratto e solo vagamente: tanto da poter inferire che tale eccesso i cautela, tanta iperbole di preoccupazione, tanto esorbitante ansia dovessero essere riferite all’impulso, nel proteggere i proprî giorni, anche di proteggere quelli dell’amico, di cui l’incidente aveva reso tanto patentemente la fragile soggezione alle avversità di questo genere, poiché non era possibile che Quintiliano vedesse Olu come un altro sé stesso senza vedere sé stesso come un altro Olu: e sapendo che Olu era passibile d’una morte sciagurata sulle strisce pedonali sbadatamente attraversate non poteva non sapere che Quintiliano era esposto al rischio d’una simile morte: e ispirato dall’affinità amicale, che di due fa uno solo, pur essendo uno solo, faceva attenzione per due; del che Olu grandemente gioiva, & si compiaceva.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

745. 70.

18 Dic

70. I danni che erano stati calcolati erano talmente ingenti che Olu sarebbe andato avanti a pagare vita naturaldurante; e Lei, che di tanto in tanto almeno credeva di ravvisare in Olu un altro Sé stesso, ma tra qualche anno, prestò da allora una cura rasentante la paranoja tutte le volte che attraversava una strada, per quanto Le dispiacesse, o La disgustasse, ritrovarSi ad imparare dagli errori altrui: ma nel caso di Olu, aveva riflettuto, essendo isto da Lei appunto come un altro Sé stesso tra qualche anno, era come imparare, molto più onestamente, dai Suoi proprî errori; per sgravio di coscienza ne aveva anche parlato ad Olu, dicendogli che da quando l’amico pativa le conseguenze dell’incidente Lei aveva sempre guardato a destra e a sinistra, anche quando il semaforo era verde, anche quando pareva che non ci fosse nessuno, anche quando nessun rombo appropinquantesi preannunziava il transito di qualunque mezzo, leggero o pesante, e nemmeno un discreto ronzio di raggî faceva supporre che una bicicletta potesse piombarLe addosso da un momento all’altro; che da quel momento, tutti gl’incrocî, i passaggî a livello, i camminamenti pedonali, i marciapiedi costeggiati da piste ciclabili, tutti i percorsi a circolazione mista erano diventati per Lei luoghi di apprensione, su cui aleggiava sinistra l’eventualità respingenda di un dispiacere, quantomeno, a mamma e papà, di spese insostenibili da sostenere, di danni ingenti da rifondere, di lamiere accartocciate, ciclisti agonizzanti, pozze di sangue, finestrini infranti, perdite di liquidi infiammabili, gemiti, rantoli, assicurazioni, polizia stradale, invalidità permanenti, stroppiature, morti sul colpo, processi, multe, sirene d’ambulanza, medici incapaci, ambulanzieri pazzi, spese ospedaliere faraoniche; e che queste visioni, che incoercibilmente La forzavano a prestare ogni cura, ogni attenzione nel lasciare isole di traffico e marciapiedi, da una parte risultandoLe utili perché riducevano ad una percentuale trascurabile la possibilità che Lei subisse o provocasse un incidente, dall’altra La facevano sentire uno stronzo, una carogna, una specie di vampiro di specie etico-comportamentale, che succhiasse dagli erarî della compromissione altrui l’oro della propria salvaguardia: poiché da sempre era convinto, e per l’esempio e per l’insegnamento dei Suoi genitori, e per nobiltà ingenita dell’animo che i fallimenti altrui, le altrui disattenzioni, gli altrui sbaglî sono eventualità da compatire o da disapprovare, non insegnamenti da far proprî; e su questo Si era anche parecchio diffuso, con l’amico, che in primis s’era rallegrato perché quella confessione lo confermava amico d’un giovane d’animo non dozzinalmente sensibile.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

744. 69.

18 Dic

69. Non che Si aspettasse chissà che ajuto da parte di Olu: Olu non era né un tipo diagnostico né un tipo analitico, né un tipo critico né un solutore di enigmi particolarmente raccomandabile: a quanto Ella stessa annota, con convinzione, il Suo amico recava nella fisionomia stessa i segni tangibili della Sua stessa malattia; vale a dire negli occhî, che erano enormi e voraci, e nella bocca, che pareva volersi portar via l’altra metà del volto: una facies quasi miserifica, tanto disperatamente rifletteva una bulimia di cose a riempire un vuoto incolmabile: in particolare gli occhî sembravano fatti per raccogliere quanto più poteva del circostante, e la bocca per buttar fuori per adeguata foce la fiamma prodotta dalla concozione di tutto quello che quel vuoto aveva cercato di riempire, in tal modo alimentandone costantemente l’assenza di pienezza, mentre il naso, piccolo e fine, aveva forse lo scopo di denotare che tanta voracità non implicava indiscriminatezza, che tanta avidità non voleva dire affatto assenza di gusto, ché anzi le due nari, così piccole, sembravano fatte apposta per raccogliere i più tenui profumi di tra gli odori grossolani, e le orecchie, anch’esse aristocraticamente piccole, e a punta, per captare le sonorità, le echi più vaghe e più segrete, escludendo probabilmente tutti i rumori e i suoni dalle vibrazioni indeterminate, troppo brutali, quali il frastuono del traffico, le urla della folla, lo strombazzare dei clackson – un’idea che L’aveva colpita dedicando qualche dolente considerazione ad un incidente che Olu aveva subìto un anno avanti, quando, mentre attraversava la XII durante l’ora di punta, era talmente assorbito nel tentativo di ricostruire mentalmente il quinto tableau di Quesnay che non aveva sentito né lo stridore dei freni d’una motoretta che per poco aveva evitato di centrarlo, né il clackson d’un’auto in corsa che per un pelo non l’aveva appiattito sulle strisce che il semaforo ancóra non consentiva di attraversare, né lo stridore dei freni, il clackson e e le urla attraverso il finestrino abbassato del dipendente d’una ditta di trasporti che, tamponando la macchina e agganciando la motoretta col parafango anteriore, mandò autista e motociclista all’ospedale, arrecando ingenti danni e all’uno e all’altro veicolo; motivo per cui la Polizia, già per conto suo sul luogo, si era fatta trovare da Olu direttamente dall’altro capo del marciapiede: tutta sua, ovviamente, era stata la colpa, benché di nulla si fosse reso conto finché gli agenti non gliel’avevano detto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

743. 68.

18 Dic

68. Ma di tutto questo Ella non Si dava alcun pensiero, mentre compiva di corsetta il tragitto che La separava dal baracchino di Olu: né pensava che un colloquio con lui su questi fatti, piccolezze che formavano la montagna che avrebbe partorito il ridiculus mus, qualora avesse portato a qualcosa in più che un rifiuto più o meno netto da parte dell’amico di metter lingua su un oggetto così vago, senza nemmeno quegli scarsissimi, insufficienti elementi di cui Lei disponeva, avrebbe potuto, nel caso, solo aggiungere confusione alla confusione, potendo Olu solamente porre sul tavolo conviviale altri oggetti, sceli in via puramente deduttiva od analogica, aumentando così la massa delle informazioni inverosimili ma forse vere, verosimili ma non necessariamente vere e né verosimili né vere: e dato il modo di procedere da parte di Olu nel ragionamento, data la sua stravagante erudizione, data la sua tendenza più a cogliere i particolari che a scegliere, in base ad un retto giudizio, quello che poteva occorrere ad illustrare un pensiero e non tremila dei più disparati e inconseguenti, se c’era qualcosa di verosimile nel Suo immediato futuro era proprio la prospettiva di trovarSi alle prese con una quantità soverchiante di dati incerti, speciosi, falsi, inservibili – e utili, semmai, a distruggere definitivamente ogni più remota possibilità di avvicinarSi, vuoi per bontà di metodo vuoi per serendipità avventurosa, a una ragionevole larva del vero; persino a conseguire e stringere un mazzetto di non troppe, e tutte scelte, possibilità; dirò di più: a perdere di vista lo stesso dato oggettivo, e cioè che quello spezzone di film era realmente singolare, persino inquietante (con quelle espressioni, che parlavano volumi, ma in lingua dell’Isola di Pasqua, almeno per ora, sulle facce di Josiah van Barnavelt ed Edgarda Cheevey), certamente definibile come strano, curioso, enigmatico, e in quanto tale effettivamente capace, salvo che nel caso di un visore distratto o con le terminazioni nervose bruciate da qualche psicoattività, di far sorgere interrogatìvi, provocare domande, ricercare risposte: il fascino arido delle casistiche avrebbe intrecciato la griglia su cui sarebbe stato posto a troppo prolungata cottura, fino alla totale carbonizzazione, il primo polposo esculento impulso di volontà conoscitiva; non avrebbe più riconosciuto in quel moncone di cosa già viva, ill killed, ill quartered & ill cooked, qualcosa di mai stato commestibile, e, non potendo non rifiutarne quanto il rogo aveva risputato, nemmeno avrebbe potuto sottrarsi al digiuno, rimanendo impranso dopo tanto creduta promessa di ricca imbandigione.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

742. 67.

18 Dic

67. Nel tragitto, meno di mezzo miglio, tra l’ingresso dell’LXXXVI e il baracchino di Olu avrà avuto sicuramente modo di ordinare le idee, e di organare i concetti in modo da riuscire a porre al Suo amico una domanda, o una ragionevole serie di domande, a cui fosse possibile dare una risposta, o una ragionevole serie di risposte, di cui fosse apprezzabile l’utilità: ma scommetto – è illazione mia, e non sia mai che Gliene attribuisca la responsabilità, nemmeno indiretta: ma il sospetto, tornando a scorrere queste Sue pagine di diario, s’è in me rafforzato, invece di dissiparsi, dalla prima lettura – che, per quanti sforzi eventualmente facesse, nulla di fatto Le riuscisse in questo senso: il Suo pensiero a proposito del contenitore di legno laccato aveva prodotto nella Sua mente una tale messe di false conseguenze che nemmeno cinque cervelli come il Suo avrebbe potuto rimettere ordine, quantomeno sceverando vero da falso: il Suo amico Olu, oltre ad essere molto intelligente (e destinato immancabilmente, perciò, ad essere Suo amico, come ogni bipede intelligente si aggirasse in Central Park per uno spazio di tempo sufficientemente lungo; come un’anziana ex-insegnante, Argiria Shaw, spesso rinvenibile col cane Wimpy, mezzo rattiere e mezzo yorkshire, nei pressi di uno dei laghetti a sud del Parco, dalle diciassette in poi tutti i pomeriggî dell’anno; o Reso Mancato, un vecchio emporista di Hell’s Kitchen, che parlava tanto calabrese quanto americano, e in questo semincomprensibile impasto L’aveva succintamente ma accuratamente introdotto ai filosofi della sua terra, e questa non è poca cosa, dati gli sviluppi che attendono di essere lumeggiati nelle prossime pagine), aveva anche qualche anno (cinque) più di Lei, e, forse, con una maggiore e più aspra esperienza del mondo, sarebbe stato in grado di darLe qualche informazione utile, o di suggerirLe qualche metodologia d’analisi più sennata, sol che si fosse trattato di un argomento meno intimo che non fosse quello: Olu conosceva Lei, non Edgarda Cheevey, e non aveva visto nemmeno un fotogramma di quel filmato; avrebbe tutt’al più potuto rilevare, e questo era vero, che Lei aveva una gran confusione in testa, e, posto che avesse avuto la pazienza di ascoltare l’intero resoconto, appesantito d’ogni ammennicolo, dell’intricato sistema deduttivo da Lei costruito sul quasi nulla di quelle immagini, Le avrebbe tutt’al più detto che non credeva nella validità delle Sue conseguenze, e nulla più; senza poterLa ajutare a risolvere alcun mistero.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

741. 66.

18 Dic

66. Quella mattina del 20 dicembre Ella, pur essendo entrato nel parco con l’idea di lasciarSi andare ad una corsa libera, vale a dire proprio una di quelle corse da cui venivano sempre fuori figurazioni inaspettate – poteva farlo grazie all’espediente di pensare, nel frattempo, a tutt’altro, o di ripassare la lezione per l’interrogazione del giorno dopo; quando si fermava Le appariva in immagine istantanea l’esatto tracciato, e a quel punto decideva se continuare, o se, nel caso di soggetti triviali, abbandonarlo -, dal momento che, nel corso del tempo, da quando quegli esperimenti di disegno e scrittura automatici si erano rivelati così significatìvi, aveva cominciato ad attribuirvi una valenza ambigua, tra la rivelazione del Sé profondo e il medianico-profetico, e in quel caso, avendo che fare con un mistero bello e buono, Le sarebbe stato prezioso avere un ‘indicazione, un segno, un suggerimento dondunque venuto che Le mostrasse una via qualunque – altri si sarebbe servito, se superstizioso o fin troppo razionalista, dei tarocchi, dei dadi, dello YiJing; Lei aveva quel mezzo Suo proprio ed esclusivo: ma è anche uno dei timidi accenni di apertura al sovrannaturale in questi primi vagiti della Sua vocazione; ho perciò caro farvi debito riferimento -, ma, a causa della tensione, molto probabilmente, che Le causava quell’arcano irrisolto, il non essere riuscito ancóra a cavare il ragno dal buco, il non poterlo fare prima dell’arrivo della nonna (con la quale non era in confidenza, motivo per cui avrebbe dovuto fare ricorso a tutta l’astuzia e a tutta la diplomazia di cui era capace), e soprattutto l’idea ricorrente di quel vecchio pirla semisepolto tra le coltri del suo fottuto letto a baldacchino, decise di non fare assolutamente nulla del genere: per oggi l’album di Central Park sarebbe rimasto chiuso, e Lei non avrebbe disegnato alcunché, né scritto epigrammi e citazioni: se la situazione era eccezionale, ogni tentativo di soluzione doveva essere adeguato: dunque si desse il bando ai mezzi tradizionali, e si trovasse un modo, uno qualunque, purché diverso dal solito, di cercare; pensando e ripensando, mentre saltellava nei pressi dell’accesso dall’LXXXVI senza poter ancóra decidere nulla, in una specie di corsa da fermo che impediva al freddo d’intirizzirLa ma non La portava, in tutti i sensi, da nessuna parte, ebbe per un attimo la tentazione di uscire addirittura dal parco e andare a fare un po’ di jogging nel West End, per quanto l’idea Le sorridesse poco, ma l’accantonò quasi sùbito; e infilato un viale, si diresse senz’altro verso uno dei Suoi punti preferiti, un ponticello giapponese presso cui il Suo amico Olu, oriundo nigeriano, teneva un baracchino di bruscolini e hot dogs.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

740. 65.

18 Dic

65. Tanta consuetudine col parco cittadino Le permetteva di sfogare, da ultimo, tutti gli accessi fantastici a cui poteva andare soggetto: sicché, lasciato lo studio delle mappe e la loro paziente integrazione, a punta di china, del tipo più sottile, ultimamente, nel varcare il limitare del parco, improvvisava lì per lì un’immagine o il verso d’un sonetto Suo parto, magari improvvisando anch’esso, e completandolo in quattordici giorni, e con tutte le rime al posto giusto (salvo non dimenticasse l’incipit, o la strofa precedente, nel frattempo, o smettessero di piacerLe), e disegnava e scriveva sulla grande superficie verde, grigia e blu (quando guadava, non visto, qualche fiumicello, dovendo seguire una linea retta nel tracciato – nelle giornate e nelle ore di punta aveva sempre cura di evitare disegni o lettere dell’alfabeto che cadessero proprio là dove non era consentito passare) quello che Le era venuto in mente; non senza il caso in cui, abbandonandosi all’apparente capriccio della corsa, si avvedesse a metà o alla fine del suo zigzagare che effettivamente aveva tracciato un volto, o ritratto un animale, o scritto una frase – poteva anche aver tracciato la silhouette di un’anziana signora appena intravista all’ingresso, o scritto un’affermazione particolarmente notevole, o per profondità o per idiozia, sentita per radio o da qualche compagno di scuola, la mattina: immagini e suoni che sul momento aveva registrato distrattamente, se non seminconsciamente, che poi riemergevano nelle Sue composizioni libere, rivelandoLesi per quello che erano solo a posteriori, o quasi: riusciva in quel caso a fotografare mentalmente la mappa, che recava incisa nelle ime profondità della memoria, e dapprima congiungendo punto a punto, e in séguito senza nemmeno bisogno di quello, a ricostruire l’immagine e le parole disegnata o scritte, che poteva vedere come una linea ininterrotta nera nel riquadro della mappa del parco, dove i particolari planimetrici erano in grigio, sfumati, come retrostanti, “sotto”: Central Park era un rettangolo verde e un foglio bianco, su cui Lei aveva imparato a scrivere, grazie ad un esercizio strenuo, apparentemente, ed ostinato, di fatto lasciandoSi andare ad un’ispirazione del tutto estemporanea, a forza di gambe: arrivò persino a chiederSi – secondo me non senza ragione – se la Sua inclinazione alle attività fisiche, un po’ vicaria, necessariamente, rispetto all’inclinazione alle lettere, non fosse stata in gran misura incoraggiata ed accresciuta dalla doppia possibilità e di stancare e di temprare il corpo, e di continuare in qualche modo la Sua attività intellettuale come se non Si fosse mai dipancato dal Suo tavolino.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

739. 64.

18 Dic

64. Forse nel Suo Diario di quegli anni è possibile trovare altri casi, altrettanto significatìvi di questo, in cui ebbe modo di verificare la capacità dell’artificio sia di distruggere, devitalizzando o impoverendo la natura, sia, utilizzandolo contro un altro e preesistente artificio, o in sovrapposizione ad esso, di recuperare uno degli attributi della natura, o del naturale, la mutevolezza continua, il continuo fluire, e il metamorfosarsi che è proprio dei viventi; ma il polmone verde, come suole definirlo, della Sua grande e assai edificata Città, oltre ad essere una delle Sue ossessioni, e una, tra le Sue ossessioni, delle più durevoli, era anche il luogo in cui artificio e natura, in proporzioni (come sempre avviene in questi casi) ìmpari e in rapporto profondamente ambiguo, mai totalmente definibile, si misuravano con la massima evidenza di scarto reciproco, abbracciandosi e guardandosi in parte con amorevolezza e in parte in cagnesco: in linea di principio sarebbe andata bene, come spunto di riflessioni omologhe, anche un’ajola, o un buco di terra da ficcarci una pianta in un viale alberato; ma in una zolla di terra erbosa o fiorita, in una porzione di terreno chiazzata di vegetazione stentata non era naturalmente (appunto) possibile perdersi, né, contemplando oggetti così limitati, sarebbe stato mai possibile, per mancanza di suggestione, innalzarsi fino agli universali, tra i quali aggirarsi con ispirato onduleggiare per lo spazio di qualche ora almeno, con il vantaggio indiscutibile di un abbondante afflusso di ossigeno al cervello, afflusso quale poteva essere garantito solo dal moto sostenuto delle gambe che pompavano sangue verso il cuore: le idee che potevano manifestarsi durante lo sforzo della corsa, in special modo dopo che la fase di riscaldamento era terminata e i muscoli, movendosi con sicura regolarità, erano ancóra lontani dall’essere invasi dall’acido lattico, erano immagini che si succedevano rapidamente, non di rado accavallandosi e confondendosi non senza armonizzare in qualche modo: solo ore più tardi, col corpo stanco e piacevolmente indolenzito di fresco ristorato dalla scozzese e con la lenta respirazione profonda, tornata scandita e regolare al lento battito del cuore, era possibile mettesi alla scrivania, accendere la lampada da tavolo mentre fuori imbruniva, dare uno sguardo ai dorsi dei libri sparsi sulla scrivania (allo studio in quel momento) e di quelli pigiati sugli scaffali alle pareti, e recuperare, dal magma luminoso, confuso, preverbale, delle immagini accumulate nel pomeriggio, la visione più nitida, durevole o ricorrente, e projettarne la luce sulla pagina, in forma di parole; come chiunque sia mai riuscito a qualcosa tra le Muse, Ella non ha mai trascorso intero un giorno a tavolino, ma solo alcune dense ore ogni volta.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

738. 63.

18 Dic

63. Col passar del tempo, quel parco che, a forza di percorrerne, nei primi anni, tutti i viali, scavalcandone tutti i fiumicelli tramite i ponti di legno, seguendone docilmente i tracciati, e poi studiandone la mappa, più di recente, segnandovi in più tutto quello che in una mappa non può capire, oramai conosceva perfettamente a memoria, anche nei più intimi recessi, anche nei più riposti particolari, come il numero delle panchine del tal segmento di viale, il numero di tornanti di un tracciato, il numero di dossi nei pressi del tal lago, e poi la lunghezza di tutti i viali, la profondità e la vegetazione di tutti i laghetti, la flora estiva del tale e del tal altro punto, i coleotteri e i lepidotteri tipici di ogni angolo, la data di costruzione di tutti i ponticelli, le indicazioni i divieti le esortazioni di tutti i cartelli segnaletici con relativa normativa citata, suscitava in Lei due sentimenti perfettamente espliciti e perfettamente contrapposti: da una parte ormai aveva deciso che lo odiava, con quella sua forma di rettangolo troppo perfettamente rettangolare, con la relativa scarsità di percorsi e la loro insufficiente tortuosità – la mano degli artefici si era piegata con sforzo evidente a seguire l’andamento primigenio di certe viuzze, ma in taluni casi l’ossessività romanizzante dello sviluppo a scacchi era prevalsa prepotentemente (per non parlare della forma così oltraggiosamente rotonda del laghetto centrale), e il tiralinee aveva avuto la meglio sulla naturalezza -, con la fauna umana che talora, a intervalli inesorabilmente regolari durante la settimana, nel corso dei mesi, nello scandirsi delle stagioni, in certi momenti dell’anno, ne riempiva fino a coprire totalmente il tappeto verde certe zone più d’altre popolari; dall’altra lo amava perché, pur con tutto l’esercizio che faceva, non era mai riuscito a coprirne gran parte della superficie di corsa, in un solo tratto, senza doversi fermare a riprender fiato su qualche panchina o accosciandosi a lato di qualche viale: perché il fatto che La soverchiasse implicava che in esso parco, magari con un po’ d’inventiva, era possibile anche perdersi, come nella sylva, e questa era una caratteristica che un luogo per tanti versi innaturale aveva in comune con la natura che non era riuscito, o molto semplicemente non aveva del tutto puntato, ad umiliare: ma su ogni altra considerazione e scoperta prevaleva, doveva prevalere, la considerazione che se nulla di quel luogo, come di qualunque altro luogo, consentiva di apprezzarne una naturalità intatta, perfettamente variata nel suo interno e inesplorabile nella sua totalità, il ricorso ad un artificio continuamente applicato poteva continuamente mutare la prospettiva dalla quale si guardava al luogo stesso, facendo sì che a sua volta esso luogo ne uscisse mutato.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

737. 62.

18 Dic

62. Lei, nell’andare e riandare a Central Park tante volte pur nel non lunghissimo spazio d’anni che aveva vissuto, diviso tra l’impulso a tenere in allenamento i muscoli e la necessità di vedersi intorno un panorama più confacente al Suo divorante horror vacui, aveva finito coll’inventare, questa volta per Sé solo, il seguente gioco, che si basava sul cambiamento continuo di prospettiva, nell’impossibilità di cambiare la realtà oggettiva delle cose: calcolando con cura le distanze, complice una mappa del parco in tutto analoga a quella poc’anzi da me alla breve consultata, ma complementata da una serie di indicazioni ed annotazioni di Sua mano – finché il reticolo largo dei vialetti bianchi sul fondo verde, e il profilo dei laghi blu, e i contorni stessi di tutta l’area interessata sfumarono sotto l’intrico delle scritte e dei simbolini e dei percorsi alternatìvi, nel frattempo tutti sperimentati, e più volte, e venutiLe a loro volta a noja una volta perfezionati oltre ogni dire; sicché passò ad un’altra mappa, e ad un’altra, e ad un’altra ancóra – , con fitti richiami ad oggetti presi come punti di riferimento, come la posizione del tale albero, del tale cartello di divieto, del tale masso, della tale panchina in riva al tale lago, giunse a inventarSi corse su sentieri virtuali che nella loro capricciosità eludevano i percorsi tracciati dai vialetti, e nella loro regolarità Le permettevano di disegnare, con la trajettoria del percorso compiuto, i profili di forme geometriche di crescente complessità, dal triangolo isoscele alla projezione ortogonale dell’icosaedro, poi il Suo nome, poi un verso di Shakespeare, o di Webster, o di Aubigné, e persino – precocemente sui Suoi successìvi studî, & è un anticipo commovente, che ha tutto il sentore di un presagio, dato quello che è – VENDO LA LIBERTA’, COMPRO IL DOLORE, di sghembo, con la V di VENDO in basso a sinistra, verso il confine con il West End, e la E di DOLORE in alto a destra, verso il confine con lo East: un verso fuor di contesto, colto nella nota a piè di pagina di uno scarno volumetto del ’42 di letteratura italiana, una di quelle letture che per ora si confondevano volentieri con altre curiosità, come la storia del Nepal o un trattato di mineralogia e gemmologia; uno di quei versi melodrammatici e artatamente rozzi tipici del secolo d’oro e di fango, verso del quale le era corso l’obbligo di verificare il significato di una sola parola che non era convinto di capire (COMPRO) su un vocabolario in biblioteca, per il resto risultandoLe chiaro e suggestivo, memorabilissimo, buono per far mazzo con UNE ROSE D’AUTOMNE EST PLUS QU’UNE AUTRE EXQUISE e poche altre esotiche sceltezze che Le risultassero abbastanza componibili con un canone quasi senza eccezioni di soli elisabettiani; perle tutte del Suo repertorio che da allora ornano invisibilmente il manto erboso del parco e intersecano i viali e costeggiano i laghetti di Central Park, per quanto nessuno, almeno che io sappia, ne sia mai venuto a conoscenza.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

736. 61.

18 Dic

61. Non c’era nulla che come quel divagare da un viale all’altro riuscisse a ristorarLa dal sovraccarico di pensieri,consentendoLe non tanto di distrarSi, perché è sempre stato incapace di ogni distrazione, quanto di distanziare da Sé le idee, metà delle quali erano di qualità altamente astratta, e pertanto, di tanto in tanto, da salutarmente rifuggire; esattamente al contrario rispetto alle cose concrete, a partire proprio dal Parco, che, una volta immersi tra i vialetti e i viali e i tornanti e i ponticelli, perdeva quell’apparenza di enorme vasca da bagno verde delimitata dalle sponde dei grattacieli bianchi tutt’intorno: tantopiù l’idealità dei Suoi pensieri richiedeva di essere posta a debita distanza quantopiù tutte le cose concrete che La circondavano richiedevano di essere affrontate immergendovisi, essendo intollerabili una volta considerate da una prospettiva sufficientemente comprensiva, in un colpo d’occhio totale: erano gli anni in cui proprio l’intensificarsi della Sua attività fisica a livelli prima irraggiunti La portava a sempre più vivo, feroce contatto con la materialità, e la finitudine, del Suo proprio corpo, che faticava, provava freddo, caldo, sudava, si sviluppava muscolarmente, conosceva e superava limiti; ma anche con la materia del suolo su cui camminava o correva o si fermava a fare esercizî, asfalto terriccio erba; con i luoghi, parimente, spoglî e – non l’avrebbe mai detto, non ancóra; si può dire che avrebbe pensato di non pensarci, a quest’altezza – squallidi in cui si recava per svolgere simili attività, un mondo che, bello o brutto, Le appariva finalmente enorme, non dominabile e da cui non essere dominàti, da conoscere, di cui incuriosirsi continuamente, magari con un po’ di sforzo se i fenomeni esperibili in varî luoghi non erano sufficientemente tra loro difformi, ma da cui, anche, difendersi: non tanto per i brutti incontri che si preventivano in uno spazio grande, sovraffollato e attraversato da tanta attività, per gl’inciampi, le buche che crivellano qualunque terreno molto battuto, non – dunque – per quello che riservava in effetto, ma per quello di cui, con Sua immensa inammissibile infelicità, pareva voler mancare a tutti i costi, per quello che in tutto ciò faceva sentire la propria assenza, per quello che tutto ciò crudelmente negava: ed ecco, dunque, il movimento, il procedere indiretto e girovagante, la tortuosità con la quale Le era possibile creare anfratti in una regolarità altrimenti ininterrotta, ossia volumi e spazî nel vuoto di una continuità senza soluzione: senza poter sapere donde Le venisse, prima ancóra – anzi – di aver identificato con esattezza la qualità e la consistenza della Sua stravagante malattia, prima ancóra di averla nominata, anche col meno esatto dei nomi, Lei istintivamente cercava un rimedio, venendo a patti tutti i giorni con l’eziologia del male e, insieme, cautamente, tentando di eliminarne ogni volta una piccola parte, almeno dall’immagine che di esso male Ella aveva dentro Sé.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

735. 60.

18 Dic

60. Ad una rapida consultazione della mappa di Central Park, che trovo su una pubblicazione turistica qualunque (ma non è una contraddizione, se non formale, con quanto Le dissi più sopra: laddove proprio non capisco sono in pratica costretto a ricorrere a qualche supporto che ovvî alle deficienze della mia istruzione: in questo caso Ella si riferiva ad un luogo per Lei risaputissimo, accennando al quale non si conveniva più d’un’indicazione brachilogica), ricostruisco che Ella, partendo da una traversa di v. Amsterdam girò, poche decine di sgambate, due volte l’angolo, a sinistra, e che immessosi nell’LXXXVI Strada entrò nel grande parco; dove, seguendo la consuetudine, aveva preventivato che sarebbe venuto a perderSi, correndo ad andatura abbastanza sostenuta come sempre nei momenti d’ansia o nervosismo, tra viali e vialetti: questo interessante perdersi in un luogo che si conosce come le proprie tasche è uno degli espedienti più graziosi che una mente sensibile possa escogitare per sollevarsi dal padule di un momento critico, o dalla congestione derivata da una troppo intensa concentrazione; come il lettore dimentica continuamente il contenuto dei libri che rilegge più di frequente per tornare ogni volta alla sorpresa della prima lettura, così io m’immagino Ella abbia fatto per anni, tutte le volte che si perdeva in tal modo in Central Park: luogo in cui, per inciso, odiava recarsi la domenica e in genere durante la bella stagione, a causa dell’enorme afflusso di pubblico, ma di cui nemmeno apprezzava e apprezza gli endroits troppo aprichi, le sponde perfettamente compassate dei laghi, i viali più ampî, gli spiazzi: come non ha mai apprezzato la quadratura postromana della zona in cui si trovava, o, in genere, della città: non fa naturalmente stupore che uno dei primi (se non il primo) forti segni di alienazione dal Suo medesimo mondo Le fosse cagionato dall’assetto urbanistico, perché il più patente, il più vistoso aspetto di esso mondo – bastava uscire di casa per una commissione qualunque, o per andare a scuola, o guardare un panorama, o anche solo sporgersi dalla finestra; anche questo rifiuto dello sviluppo a nastro o a rasojo, insomma del piano viario tracciato dal tiralinee disumanamente rettificante dei Suoi presunti antenati era alla base del Suo lasciarsi perdere laddove è praticamente impossibile non tornare al punto di partenza qualunque direzione si prenda; segno ce Central Park era sì uno dei Suoi amori cittadini, ma anche, e al contempo, uno dei Suoi odî; per non parlare dei rientri a casa, quando cominciava a sentirSi nelle gambe il rammollimento dell’acido lattico: quando era capace, nonostante appunto la stanchezza, o forse proprio a causa di quella, di prendere la via di casa dal fondo del parco, risalendo v. Amsterdam con il più irregolare dei percorsi, zigzagando per le traverse, una sì e due no, tre sì e quattro no, per arrivare regolarmente tardi per cena; o facendo addirittura il giro lungo la costa del West End, infilando la via di casa da molto alla larga, e rientrando a casa quando Norma van Barnavelt aveva già praticamente mezzo deciso di chiamare la morgue – e questo perché la costa era un limite naturale, in quanto naturale discrimine tra la terra e il mare, e quindi, specialmente nei momenti di maggior scoramento o malumore, l’unico percorso accettabile, come parte dell’ingens sylva.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

734. 59.

18 Dic

59. Il Suo caso, insomma, non si differenzia da ogni altro caso, per quanto riguarda la testimonianza video: se è eccezionale, è perché, nella Sua fattispecie, la verità secondo me oggettiva della tendenziale mancanza di valore della testimonianza video in assenza di una responsabilità assai precisamente, individuatamente e circoscrittamente ravvisanda, diviene mancanza di valore non tendenziale soltanto ma assoluta; e Le risparmio, perché altro ci mancherebbe ed altro abbiamo da eviscerare in queste pagine, quanto anche nel caso del video come prova – senza, spero, scivolare nel tout comprendre est tout justifier – continui a nutrire i miei forti dubbî – ma, fortuna mia e dei miei non-assistiti, non sono avvocato, bensì notajo, e il mio ufficio, più prevedibile e tranquillo, non implica confronti altrettanto drammatici con le insidie del reale; quelle insidie dalle quali, ora che abbiamo sgombrato il campo da questo piccolo inciampo, possiamo difenderci, io direi, meglio e con maggior impegno dalle molte bellette e dai molti trabocchetti che attendono il passaggio dello storico sul sentiero di ogni sua piccola o grande impresa; e mi scuso nuovamente, e le cento, e le mille volte, se mi sono preso il lusso di una così lunga ed arida parentetica, ma era mio dovere scongiurare il rischio che Ella, che spero abbia tutta la pazienza necessaria a seguirmi in questo mio ragionamento e oltre, ben oltre, fino alla fine, trattandosi di cosa di tale importanza per Lei innanzitutto (e per altre persone in secondo luogo, ma se ne parlerà a suo tempo), Si limitasse a considerare questo mio peculiare taglio storico non frutto di una dossologia accurata – poi, magari, fallimentare negli esiti, ma non conseguente ad inconsapevolezza –, ma limite dovuto ad un’incapacità mera di venire a patti con le nuove tecnologie, o ad una mia umanistica insensibilità o sclerotica diffidenza nei confronti del figurativo, ciò che non è: tutto il mi sproloquio non ha avuto altro scopo che quello di confermarLe, in tutta semplicità no, ma spesso abbastanza chiaramente, come quest’operazione mia potrà apparire incondita, in tempi come i nostri, solo ad una lettura parzialissima e superficialissima; e che, dato l’assunto e il fine dell’opera, essa non doveva essere compiuta in modo diverso da com’è stato fatto – col che non intendo affatto dar voce ad eventuale sospetto che Ella abbia ceduto a false ideologie di moda, o altre corbellerie da vecchio bisbetico (altrimenti non perderei e non farei perdere tempo).

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

733. 58.

18 Dic

58. Ma – mi obietta il mio cattivo genio, l’avvocato del diavolo – non hanno significato nemmeno le immagini che riferiscono brani di conversazione, incontri, discussioni?, domanda a cui è semplicissimo per me rispondere, precisato doverosamente che mi riferisco, in questa fattispecie, essenzialmente al Suo solo ed unico caso, dunque fuor d’ogni universalità, con un No senza ripensamenti: e qui mi conforta non solo la qualità intrinsecamente infida delle immagini, ma anche e soprattutto la qualità della Sua indole rara, del Suo genio del Suo talento; il quale non è tanto selvatico, già l’abbiamo detto e (forse) non lo ripeteremo, da indurLa al sequestro dalle genti, ma non è nemmeno sufficientemente espansivo da consentirLe mai di esplicare in pieno pensieri e sentimenti e intenzioni, nel corso di conversazioni o di scambî comunque diretti: è indole, dirò di più, ma non solo: è anche, caro Amico, consuetudine con la penna, e questo fatto è causa efficiente, per il principio di necessità che nega totale equipollenza a due fenomeni producentisi all’interno dello stesso sistema, che Ella possa trovarsi, esclusivamente non dico, in generale, perché sarebbe assurdo, ma per la parte importante ed essenziale questo sì, e lo dico, e lo ribadisco, innanzitutto in quello che di sé ha lasciato per iscritto; laddove la prefata consuetudine, ed ossessione, quasi, non si fosse manifestata, o si fosse manifestata con minor, o molto minor intensità, confinandosi modestamente nei limiti della subsecività e non ambendo ad alcun maggior campo d’espressione, esplicandosi in poche righe laddove Lei, ragazzo mio, s’è spiegato su un’Amazzonia di pasta di legno e cellulosa, bene, in quel caso non avrei esitato a conferire importanza allo stralcio di conversazione che nel 1997 La tenne impegnata con quella Minona Flakes o Farkes (?, se ben scrivo, non me ne ricordo bene e non ho le pezze d’appoggio sotto mano), o al video allucinante (altra registrazione di servizio) con la megarissa presso il locale Vulture, testimone del torbido 1999, iniziata con il camionista fino a coinvolgere la totalità degli altri presenti, o ad altri testimoni, teoricamente più animati e interessanti, ricchi d’informazione e succosi dei Suoi opacissimi esordî in video, ma di fatto in nulla più significatìvi o pregnanti o istruttìvi; Lei essendo scrittore da capo a piè, per quanto conversatore, non dico di no, dotato di una sua brusca piacevolezza, e dunque non essendo il vero Lei rinvenibile in quello che ha detto o fatto o manifestato in circostanze le più comunali e meno significative (ci pervenne, in plico anonimo, una registrazione che s’annunziava come quella del Suo coito con un giovane mate universitario; ma non Si preoccupi, l’abbiamo distrutto senza visionarlo).

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

732. 57.

18 Dic

57. Ma, a parte il piacere di ammirare il nostro bamboccione americano in mise diportiva, proprio non si scorgeva in quelle immagini nessun impiego men che edonistico: una conferma alle mie convinzioni, insomma, ma che mi colse – non so come dire – in parte impreparato, o che mi sorprese; ingenerando in me una sensazione inaspettata, mi mise definitivamente di fronte alla consapevolezza che non era questione di contenuto delle immagini, quanto delle immagini per se, del fatto che la mia generale sufficienza nel considerare il materiale visivo in mio possesso non era affatto dettata – o sì, poteva anche essere, ma non era questo il punto vero e proprio – da una mia maggior dimestichezza, per abitudine formazione indole, con lo scritto o con le parole in genere, ma da un limite delle immagini, di tutte quante le immagini prodotte producibili riproducibili in sé: in un mondo in cui una delle principalissime manifestazioni dell’assoluto Male è il divorzio, tragico, irrimediabile, tra intenzione e atto, le immagini, ovvero ciò che si vede, mai e poi mai potranno superare – e dico questo in proposito di qualsiasi immagine, di tutte le immagini – il loro limite e la loro ambiguità fondamentale, quella che rende quasi ogni processo, a suo modo, essendo fondato su un’evidenza fattuale che nella quasi totalità dei asi è fondata a sua volta su una verifica de visu del fatto o dei fatti, un’ingiustizia forse no, ma certamente una forzatura – credo sempre, in fondo, eccedente il tollerabile – del reale; e, a parte il fatto che a noi non interessava affatto istruire processi nei Suoi confronti, né stabilire Sue responsabilità – tolta la ricerca e l’attribuzione delle responsabilità, qualunque dato visivo sbiadisce, come documento, toltone chiaramente il caso di uno spettacolo, che non deve e non può dimostrare altro che la bontà di una regìa, le capacità di attori e cantanti, e danzatori la bellezza dei costumi e delle scene e quant’altro –, quanto ci è reso visibile della sua vita, oltre ad essere di per sé una parte infinitesimale della sua vita dal punto di vista meramente ottico, e nemmeno la più presuntamente significativa, essendo dovuta al suo trovarsi a passare per un luogo piuttosto che per un altro, per I motivi più banali, non ha avuto il potere di comunicarci nulla di essenziale sul Suo conto, perché mai avrebbe potuto: una volta stabilito, sulla base almeno delle immagini in nostro possesso, che in tre casi di rapina a mano armata che La videro coinvolto Ella non fu mai attore, tutto quello per noi diviene materiale muto, inerte, di scarto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

731. 56.

18 Dic



56. Mi pervenne una decina d’anni fa; e io, già scarsamente convinto per motivi che a taluno potranno apparire leggermente ideologici, a questo punto, ma, a questo o a quel punto, io non so proprio che farci – non visionai sùbito quel materiale, e, per quanto ne ricavai alcuni mesi più tardi, quando mi decisi, nel corso di una breve vacanza estiva in una mia casetta a Saluzzo, dove c’era l’unico videoregistratore in mio possesso, a visionarle, devo aver l’onestà di riconoscere a me stesso che avevo avuto tutte le ragioni a non voler raccogliere nulla del genere, e a non aver mai concentrato le mie ricerche in quella insulsa direzione: certo, la Mariella – lei in queste cose deve sempre ajutarmi, io non ci son buono – ha avuto la pazienza di cercare le immagini giuste, fermando le cassette nei punti in cui compariva Lei, o prendendo nota del minutaggio delle Sue apparizioni (quando appariva più volte nel giro di una bobina), in modo da consentirmi di spettare a una sorta di blob – già nojoso in sé, quindi figuriamoci che cosa s’era subìta la povera donna – con le Sue entrate e le Sue uscite; e la Mariella ha visto con me le immagini, abbiamo esclamato a una voce – perdoni, La prego – oh che bel ragazzo!, tutti inorgogliti quasi fosse un nipotino, che ne so, e oh com’è già cresciuto, apprezzando il tutto anche a prescindere dal fatto che L’avevamo vista in altre immagini, anche molto recenti, che Lei aveva ormai già diecianni più di quella gazzella maschio dalle membra guizzanti, dalla zazzerina vaporosa, dall’incarnato di rosa, dallo sguardo tragico, e che quel kouros dai movimenti fluidi aveva lasciato campo da gran pezza a quel monumento alla virilità che era Lei a quell’altezza cronologica, a quello schianto, a quello splendore, a quel maschione sontuoso, per non dire del dì d’oggi; dopodiché la Mariella ha affidato tutto il materiale – tre grossi scatoloni, prego notare – a suo cugino Emilio, già tecnico della RAI (Radiotelevisione Italiana, in caso non sapesse), che ha ritagliato fuori da quella montagna di materiale perfettamente inutile le sole immagini che la riguardavano, estraendone una cassetta di forse dieci minuti, in cui La si vede, mentre la luminosità ambiente cambia all’impronta ogni pochi secondi, entrare ed uscire dal parco, in un continuo, un po’ penoso, saltabeccare avanti e indietro, indietro e avanti, ora in tuta, ora in brache corte, ora con la maglietta scura, ora con la maglietta chiara, ora pettinato, ora spettinato, ora con k-way, ora senza: un mazzetto d’immagini perfettamente inservibili che ho chiaramente trasmesso a quelle persone alle quali di tanto in tanto faccio riferimento, in modo che le avessero come souvenir: so che ne fecero fare due copie, per prudenza, e che rividero quelle immagini molte volte – ad altro non servirono: so bene che Le ho proposto un caso limite, ma crede sinceramente che altre immagini, a dispetto delle apparenze, siano state più significative (ma lo vedremo via via più avanti, semmai)?

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

730. 55.

18 Dic

(55). Ma non essendo la sede né per parlare di Nietzsche né per parlare delle mie abitudini intime, tralascio tutto questo discorso, troppo flaccido di subsecività  per potersi gabbare per semplice preliminare, e passo al punto; quello — cioè — della telecamera che ebbe l’indubbio onore di immortalarLa per prima tra tutte le telecamere pubbliche, vale a dire quella che da alcuni mesi, e ancòra per pochi mesi soltanto, fu incaricata di sorvegliare quell’angolo dell’LXXXVI che Ella quel giorno svoltò per introdursi in Central Park: l’installazione della stessa, in quell’epoca assai costosa rispetto a questi tempi evoluti, era stata decisa per motivi inerenti allo spaccio distupefacenti, piaga vecchia della zona, e negli ultimi tempi addirittura incrementato, e che l’opera della Polizia valeva men che mediocremente a contrastare; e come quella che La inquadrò ce n’erano altre, non molte, sparse per il parco e agli imbocchi dei punti più critici: tutti espedienti che alla lunga — ed è un problema che si verifica, se è per quello, ancor oggi, causa manutenzione, trattamento dati e quant’altro;tutte cose che implicano il ricorso ad un numero di stipendiati sorprendentemente alto — si rivelarono, almeno per il momento, non tanto efficaci quanto ci si sarebbe aspettati, e soprattutto controproducentemente dispendiosi, ragion per cui, dopo esser rimaste inattive quanto tempo bastava a cadere in obsolescenza, le telecamere furono a un dato momento rimosse e sostituite da altre, più efficienti e meno costose — ma soprattutto in grado di prelevare immagini e di inviarle a monitor senza doverle necessariamente registrare su qualche supporto, ciò che solo potevano fare quelle loro antenate: ed è questo il motivo per cui tracce dei suoi passaggj — quasi quotidiani, quell’inverno — fu serbata; di più: vuoi per la mancanza, ancòra, di un volume di materiale che desse problemi logistici — anche se i supporti di allora erano molto più voluminosi di quelli attuali — o la gestione, vuoi per i costi abbastanza proibitìvi, che rendevano tutta quell’archeologia videosorvegliativa in qualche modo geloso, o non distruggibile a cuor leggero, i chilometri di nastro che se ne cavarono rimangono a tutt’oggi a sbriciolarsi in un archivio dimenticato, che, se manca di qualcosa, è solo delle cassette, tutte quante, che riguardano i Suoi ingressi a Central Park, una quantità di materiale eccedente che una facente parte della deplorevole commissione incaricata di visionare l’intero materiale in cerca d’immagini d’interesse criminale, conoscendomi e sapendo di Lei, decise di far oggetto d’esproprio, indi inviandomelo per posta.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

729. 54.

18 Dic

(54). Chi Le scrive, Le scrive, forse non per nulla, dalla città in cui secondo i dettàmi della scienza, o dell’ignoranza, d’allora perse il ben dell’intelletto colui che abbracciò il cavallo: atto tutt’altro che privato, perché l’affettuoso amplesso non ebbe naturalmente teatro la sala necessaria ma la pubblica via, dove in molti videro compiere quest’atto innocente, e in molti, purtroppo, lo deprecarono o male intesero; ma non ci si dimentichi che una delle prove più decisive del manifestarsi della follia fu raccolta dal suo medico spiando dal buco della serratura del bagno: laddove Nietzsche, in quel momento nudo, ballava seguendo il ritmo di una musica da lui solo intesa, senza sapere di star dando spettacolo: con l’abbondanza di telecamere che oggi ci fa ricchi una cosa del genere non sarebbe mai potuta capitargli, perché sarebbe dimostrabile, con poco sforzo, tutta una quantità di casi del tutto affini: la telecamera democratizza a tal punto una condizione un tempo ritenuta appannaggio di pochi privilegiati, anche per la scomodità che comportava un tempo lo spionaggio di celebrità in atti indecorosi — pensi Lei se tutti gli psicoterapeuti del mondo dovessero prendersi la briga di controllare quello che fanno i loro pazienti al cesso, spiando dal buco della serratura! –, che in primis, oggi come oggi, non ci appare più così lesiva della nostra intimità, anche perché il materiale trato da tutto questo filmare è talmente soverchiante da essere quasi inutilizzabile, se non per gli scopi mirati della polizia; ragion per cui, al termine di un lungo periodo di suicidj per vergogna e di autoinduzioni alla prostituzione in séguito alla diffusione di materiali compromettenti specialmente in Rete, fatto il callo all’idea che certe cose possono succedere, probabilmente senza nemmeno rendercene troppo conto, come avviene per tutti i cambiamenti, in fondo, davvero epocali, tutta una serie di strategie preventive, che ci fanno esercitare un’assoluta economia di gesti, sincopizzando sui movimenti fino all’anodinità, anche mentre sciogliamo i visceri sulla coppa, senza confabulare con noi stessi, e nemmeno canticchiando, per tema di passare per schizofrenici qualora non si riuscisse a distinguere parlato da cantato per qualche motivo tecnico; ed è un gran peccato, secondo me, poiché questo dà un contributo di rilevanza pressoché incalcolabile alla nostra progressiva spersonalizzazione, o alienazione, da una parte, costringendoci sempre a tener presente che qualcuno può star guardando — ammenoché non si ricorra regolarmente al cesso di casa propria, cosa che a me, per esempio, non è sempre possibile, perché spesso sono in giro e devo far riferimento al Roma, o al Bar Blu, locali che lei non conosce, non sono lontani dallo studio, ma non posso rientrare tutte le volte appositamente, ho le gambe affaticate e non posso permettermi, per motivi d’età, indugj fatali al mio decoro — è più forte di me, non mi fido più di fare la ginnastica facciale allo specchio, e mi manca molto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

728. 53.

18 Dic

(53). In questo MMIX anno dal principio dell’Era Volgare siamo oramai perfettamente assuefatti alla presenza di telecamere, visibili per il passante oppure no, praticamente in ogni angolo di spazio pubblico o messo a disposizione del pubblico, ivi compresi, oltre a banche, ufficj postali, musei, cinematografi e biblioteche, anche i cessi dei caffè e dei ristoranti e degli alberghi; Le faccio grazia di tutto il dibattito che in questo Paese si fece a metà degli anni Novanta circa i pericoli che l’autorizzazione concessa ad ogni bottegajo o bettoliere di mettere quest’occhiuta tutrice dell’ordine praticamente in ogni angolo, specie nei posticini reconditi, avrebbe rappresentato per la privatezza dei cittadini: Gliene faccio grazia perché tutto questo dibattito è cominciato prima ancòra, ovviamente, nel Suo Paese, dove è sicuramente stato dibattuto più approfonditamente e seriamente che qui, pertanto in merito potrebbe esser Lei a dar lezioni a me, e non l’inverso: ciò che più conta, qui, è ricordare che vent’anni e qualche giorno fa, quando la telefonia mobile era pressoché un miraggio all’orizzonte, la Rete era inaccessa alla quasi totalità delle persone e la trasmissione d’immagini doveva avvenire con mezzi molto meno agili e sofisticati  degli attuali, sicché le fotografie si facevano con macchine apposite e le videoregistrazioni pure, immagini ne circolavano molte meno, mentre in quest’ultimi tempi tutti i centri città, almeno delle città importanti, sono costantemente tenuti d’occhio da centinaja e migliaja di questi occhj silenziosi, non tutti e non sempre per verità funzionanti, mentre il satellite penetra ovunque spiando, e quasi chiunque può fotografare e filmare chi o quello che vuole quando vuole; ragion per cui ci siamo totalmente abituati all’idea di qualcuno che ci osserva o può osservarci, almeno a lunghi tratti, ogniqualvolta facciamo capolino fuori la soglia di casa. ciò che, verosimilmente, ha condizionato anche i nostri comportamenti, sicché chi era solito muovere due passi di danza tutte le volte che andava in bagno, prima o dopo essersi liberato dai pesi del ventre (ci sono, o c’erano, due scuole di pensiero in proposito), o mentre si lavava le mani, o chi era solito raccontarsi cose, o storielle, o barzellette, durante le sedute, ed era solito far tanto indifferentemente nella propria domestica o nell’altrui, privata o pubblica, ritirata, adesso ha dovuto darsi una ridimensionata, e dar prova di riserbo anche in quei posti, almeno fuori casa (posto che sia sufficiente): non sempre, dissi, quegli occhj sono aperti e vigili, ma non è mai detto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

727. 52.

18 Dic

(52). Le dico questo perché più volte, nel corso degli anni, mentre andavo raccogliendo dati, mi sono trovato nelle condizioni non rifiutare, ci mancherebbe, o tantomeno distruggere materiale audiovisivo Lei riguardante, ché anzi tutte le volte che ci è pervenuto l’abbiamo visto, e anche rivisto, ove ne valesse la pena; ma ho ricevuto, da qualcuno dei nostri informatori, la proposta di assumere materiale di questo tipo, laddove, dall’altra parte, c’era con la massima evidenza la convinzione erronea che a noi occorressero le prove provate, i documenti incontrovertibili certissimi schiaccianti che sono indispensabili a corroborare le verità delle aule di giustizia; per parte nostra, pur non rifiutando — come dissi — nulla di quanto ci era inviato in più rispetto al richiesto, non abbiamo mai fatto nessun conto di quest’in più qualora fosse affidato ai media prefati proprio perché la verità che ci proponevamo di raggiungere e/o tener presente nel suo esplicarsi non era tale da poter essere né confermata né smentita da pseudoprove visive: poiché la verità che ci stava in cuore, più esplicitamente ancòra, non è una verità che si veda — molte cose, e non qualcosa soltanto, mi dicono che è quasi perfettamente inutile scendere in questa sorta di precisazioni, o, meglio, che sarebbe inutile scendere in questa sorta di precisazioni quando si trattasse, da parte mia, di notazioni finalizzate a farLe comprendere la bontà del ragionamento sotteso, ma forse non è altrettanto inutile confermarLe — poiché questo è il mio scopo nel dirLe tanto — che questo è stato il mio e il nostro modo di procedere e d’impostare la questione: non è inutile appunto perché non ci conosciamo, non ancòra, e Lei non può avere nozione né certa né pallida di quali siano i nostri scopi, non sapendo chi siamo, nonsapendo qual siasi la nostra estrazione, come qualmente e per quale motivo noi ci si sia costituiti in società, e molte altre cose, tutte da sapersi per Lei, sulle quali farò luce in queste pagine, e di persona quando — spero (tanto) prestissimo — Lei verrà a Torino per la lettura del etstamento che La benefica, e per sapere che cosa fare del resto della Sua vita; nell’attesa, mi perdoni se a guardia di chiarezza mi permetto una digressioncella, non mica lunga, sulla faccenda delle immagini, che qui, per quanto una digressione possa, cade proprio a fagiuolo, essendo che il più antico documento video registrato che La riguarda risale esattamente a questa data del 18 dicembre da cui la nostra narrazione comincia, e, più precisamente, si rifà proprio a quel preciso istante, le 15.21, in cui Ella, entrando dall’LXXXVI Strada, varcava il limitare del Parco, e adesso Le dico come vennero in possesso nostro quelle immagini, e che idea potetti farmene.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

726. 51.

18 Dic

(51). La mia missiva non ha nessun valore di biografia, nello stretto significato del termine: essa non vuol dare, di Lei, una sorta di ritratto, né in piedi, né seduto, né en silhouette, né in altro modo proprio al genere, se non in quanto torni utile a definire il nostro livello di conoscenza per quanto riguarda la Sua persona; di là da questo, una Sua biografia sarebbe stata per me impossibile da scrivere, col tipo di materiale di cui dispongo, almeno quando avessi voluto fare un lavoro rigoroso; inoltre Le sarebbe stato perfettamente inutile, perché suppongo Lei sia perfettamente a giorno degli eventi della Sua propria vita, anche se il retroscena Le è totalmente ignoto. scopo del mio lavoro non è riportare annaloisticamente la successione dei fatti suoi, infatti (anche se dalla somma delle mie annotazioni potrà sicuramente ricavare anche un’idea “storica” di Sé, ma appunto, di là dall’esercizio di reminiscenza, Lei è l’ultimo ad averne bisogno), un ricostruire, molto più specificatamente, l’insorgere di una vocazione; il suo confuso manifestarsi; il definirsi via via; inoltre, enucleare quei molti punti oscuri, e riguardo alla Sua vocazione, e riguardo al Suo destino, che è giunta ormai l’ora d’illuminare pienamente: tutte cose che avrei potuto naturalmente, volendo — chi me lo impediva? –, corredare di belle foto, ma le immagini avrebbero potuto solo illustrare a Lei che è stato un bel bambino, e poi un bel ragazzo, e poi quel bell’uomo che abbiamo detto, con un po’ di barba e gli occhj profondi, e anche un po’ pesti — scusi la petulanza, ma non resisto: faccia di tutto, ragazzo mio, per riguardarSi –, ma a parte il fatto che, almeno limitatamente al presente, allo scopo Le basta lo specchio, a chi Le scrive l’aspetto fisico Suo, come quello delle persone che frequentato in vita Sua, come anche il visibile dei luoghi che ha frequentato e delle case in cui ha abitato e degli spazj che ha attraversato appajono totalmente secondarj rispetto all’assunto; e anche quanto di descrittivo si rinverrà in queste pagine, o vi è entrato per necessità assoluta di cose, o deriva da quello che Ella stesso ha scritto o descritto, e serve a rievocare la Sua percezione delle cose nelle varie fattispecie. la mia, essendo una disamina ostinatamente intenzionale della Sua vita, riguardando, negl’intenti, i Suoi stessi intenti, e l’esplicarsi, non ancòra compiuto e di soccorso esterno necessitoso, della gran Questione della Sua vita, dalle immagini e dalla loro analisi poteva solamente derivare dispersione, e una diffusione decupla rispetto quella, già insostenibile, onde minaccia rimaner gravata: col che, naturalmente, s’intende che nessuna ricerca di illusione di realtà o di realismo isterico ispirerà queste stesse pagine, rendendone — me ne rendo conto; e infatti ho detto dispiacermene — la lettura affaticata da passi ora troppo ragionatìvi, ora troppo dialogati, ora troppo in particolare interpretati.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

725. 50.

18 Dic

(50). Immediatamente chiuso il rubinetto delle lagrimosità a cui la precedente clausola avrebbe voluto dare la stura, mi permetto di continuare ad importunarLa sempre su quest’argomento, perché rimane una questione da eviscerare pienamente, e che nonostante la mia prolissità ancòra non è stata lumeggiata a dovere: vale a dire quella della qualità — come medium, per intenderci — della documentazione in mio possesso, e, dunque, di conseguenza, sul taglio della narrazione; e Le dico, o ricordo — dato che più sù ho fornito qualche parziale indicazione in merito –, che la totalità dell’informazione di cui faccio tesoro in queste pagine consiste in materiale scritto: avendo Lei lasciato traccia di Sé specialmente per iscritto, in rade e in fondo secondarie occasioni ricorrendo all’audiovisivo, o al figurato, per esprimere o per comunicare, questo è in fondo ovvio; ma il fatto che, almeno per quanto posso, credo piuttosto lecitamente, inferire io, il materiale scritto che in qualche modo parla di Lei sia la schiacciante maggioranza del materiale disponibile sul Suo conto non implica affatto che non ci sia stato dell’altro: oltre al materiale da Lei filmato, e che La coinvolge, esiste in effetti, soprattutto dal ’95, mettiamo, in poi una quantità piuttosto nutrita che scarsa di videoregistrazioni, quelle di servizio nei luoghi pubblici e nei pubblici esercizj, che La riguardano; esistono alcuni filmati girati da Suo padre, a Lei come a tutto il resto della famiglia, del tipo dei video di Sua nonna Edgarda sopra descritti, e sussiste moltissimo materiale fotografico, quello dovuto alla sollecitudine di Suo padre ad immortalare ogni occasione di primaria, secondaria & infima importanza con i suoi tre apparecchj digitali, un cumulo di svariate migliaja d’istantanee che rendono esatto e folto conto della Sua crescita e dei Suoi più bei (?) momenti  dagli 0 ai 19 anni d’età; dopodiché il materiale fotografico si fa meno corposo, o semplicemente più sparso e disperso, eccettuati alcuni periodi, come per l’anno 1999, in cui Norman Smullyan  L’ebbe come soggetto quasi esclusivo per una serie praticamente interminabile di pose; taccio del rimanente materiale visivo, che in totale non è poco; e passo a precisare, a riguardo del materiale visivo tutto, che nulla di esso, mai, è stato da me richiesto (salvo quei fortunosi frammenti dai suoi ultimissimi ed isolati esperimenti teatrali, che chiaramente m’interessavano e m’interessano non perché ritenga sia loro attribuibile un valore documentario), pochissimo è pervenuto in mano mia e nulla mai è stato impiegato da me a scopo conoscitivo: questo per tutta una serie di ragioni che poi si riconducono sostanzialmente ad una, che è il motivo di questa mia.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

724. 49.

18 Dic

(49). Quanto poi al dato — come dire — contestual-atmosferico, quando non sia, per necessità o scelta del notista di turno, incluso nel narrato, io non sono mai intervenuto a completare e complementare con pezze di materiali ultronei, del tipo più sopra specificatoLe: arroge che non sono mai riuscito a scozzonarmi con il moderno elaboratore, benché sia in uso oramai da decennj praticamente ovunque (è sempre la signorina Baudracco il genio del computer in questo ufficio), e che, in special modo a causa dei severi impegni a cui mi obbliga la mia spesso ingrata e alienante professione, intravedo, per televisione, i soli anticipi dei telegiornali, e che non vado più al cinema da vent’anni (non che prima fossi assiduo), e non leggo riviste d’attualità, e che mi càpita di sfogliare in genere pochissimo materiale illustrato, e avrà la misura della mia totale incapacità, di fronte alle non poche carte bianche che ancòra aspettano d’essere vergate, di richiamare alla mente un’idea anche volgare, anche finta, cinematografica?, da cartolina della Città in cui ha vissuto la grandissima parte degli anni della Sua esistenza; vivo da eremita, semiaffogato tra gli stracciumi legali e le carte bollate, dai quali stracciafoglj dipendono tuttavia le sorti di tante persone, e talvolta anche su quelli m’è accaduto di léggere il nome di quella Città, eppure (anche se è la città capitale del mondo) non so, e mai saprei, renderne un’idea, anche la più ingenua, anche la più sbagliata, anche la più stolta e deformata, ma coerente, almeno, e distinta — io divago, Lei dovrebbe ormai aver capìto come, lontano dalle aride compilazioni delle ufficialità, io tenda a rifarmi di tanta polvere respirata una volta salito in Pindo, e qui ricompensarmi di tanto tempo perduto dietro alle proprietà e alle cause e alle successioni altrui ora annusando un fiore, ora riposando il decrepito fianco — vecchierel canuto, mi sfibro facilissimamente — nei pressi d’un ruscello, ora spingendomi lento in una deliziosa inghirlandata di flore aromatose, ora rimanendo incantato ad osservare, con censurabile compiacimento, questo scorcio o quel gioco di damme sul declivio: divago, sì, ma non troppo, perché a chi Le scrive, e questo credo sia comprensibile, premerà anche di sapere, pur nei limiti di una generale impressione e non nella diffusione infinita della disamina particolareggiata, se a torto o a ragione, pur non vedendoLa se non in qualche rara e non ricercata fotografia, ha pensato per tutto lo spazio di questi anni di conoscerLa, d’esserLe vicino; e questo non per eccesso d’immaginazione.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

723. 48.

18 Dic

(48). Ma un po’ mi dispiace, sa, non poter ricreare in qualche modo le esatte condizioni contestuali, senza di cui mi sento in effetti di procedere un poco alla cieca, in fondo non sapendo esattamente di che cosa sto parlando e limitandomi, benché la mia irrefrenabile garrulità possa a tratti apparire un diaframma sufficientemente omogeneizzante, a riferire voci accolte e documenti sparsi: l’atto del narrare, Lei m’insegna, è scegliere, fior da fiore, di volta in volta l’oggetto di cui parlare e, insomma, ridurre le tre, le trecento, le tremila dimensioni del reale, il regno assoluto della simultaneità dei fenomeni a due sole dimensioni: per quanto mi riguarda, narrare, in questo stravagante caso, è l’operazione esattamente inversa, vale a dire che consiste nel partire da un filo, peraltro per lunghi tratti spezzato, commetterlo con rozza annodatura ad altri segmenti, di difforme colore, spessore e materiale, e per ingegnarmi a trarne un’idea del contesto — meglio ancòra, dando voce a quell’illusoria cassa di risonanza, per così dire, he la mia sfrenata fantasia, o una simpateticità cementata dagli anni coi Suoi casi, ha creato intorno a quel sottile filo: tanto che, scrivendo, devo spesso reprimere l’ansia di correre avanti ai fatti di fosse pure una sola misura, ciò che mi porterebbe a fare come Lei nel caso della storia del buffo vecchino, sforzandomi di mantenermi del tutto entro i limiti del verosimile, se non del vero, e ben attaccato alla lettera testuale dei documenti che a mano a mano sono riuscito ad avere in poter mio; ma, badi, questa mia operazione rischiosa  è pure necessaria, in primo luogo perché non posso darLe contezza di quanto ho letto di Lei e su Lei riproducendoLe crudamente materiali che potrei benissimo non aver letto, o malamente, o malamente interpretato; in secondo luogo perché questo racconto è in fondo la storia della Sua ricezione da questa sponda dell’Oceano; e questa ricezioneassume per Lei tanto maggiore importanza quanto più si avvicina il momento, per Lei, di conoscerci — cioè (sì, ha letto bene), conoscere noi, il gruppo, o se vuole associazione, che in qualche modo tramite me Le scrive, proprio come mio tramite ha avuto notizie di Lei, sparse ed occasionali fino al dì d’oggi, più nel particolare e per esteso ora che è giunto il momento dei consuntivi, poiché io, inviandoLe questa troppo lunga missiva, ne mando copia anche, per conoscenza, agli altri: così io, e in gran parte noi tutti, L’abbiamo conosciuta, questo è il Quintiliano che ci aspettiamo di ri-conoscere quando verrà a conoscer noi, senza nulla togliere di potenziale illuminazione alla sterminata massa d’informazione che non è in poter nostro, e senza escludere a priori che della Sua — un tantino complessa, mi permetta! — persona e vicenda esistenziale io, e quindi noi, non si sia capìto un bel nulla.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie scrivere

722. 47.

18 Dic

(47). Ribadisco: avessi dovuto descrivere questi fatti a chiunque a parte Lei, a quest’ora già mi vedrei sommerso tra stradarj, atlanti, planimetrie, volumi fotografici, romanzi particolarmente realistici ambientati in Nuova York, a seguire col ditino il fitto reticolo di vie quasi sempre senza nome, quasi tutte numerate, ad immaginarmi come dovesse essere la giornata — ed eccomi alle prese con i bollettini meteorologici dei vostri quotidiani d’allora, procuratimi dalla paziente insostituibile Mariella, ad osservare eventualmente le fotografie d’accompagnamento agli articoli riguardanti la situazione delle strade, e a compilare liste dei femori e delle anche rotte a causa del permanere della neve sulle strade, la viabilità, i guardrail scassati dalle automobili e dalle camionette uscite di controllo, le carrozzerie accartocciate, i tamponamenti a catena –, spremendomi le meningi per capire non se, ma quanto fosse coperto il cielo quel pomeriggio del 18 dicembre 1988, ingegnandomi a ricostruire il profilo delle case, la disposizione dei bidoni della spazzatura, le condizioni del cordolo del marciapiedi, i semafori, le automobili parcate nei pressi — se cigolasse il cancello, quando lo aperse, se avesse molto freddo ma intendesse comunque uscire, se ci fosse neve a scricchiolare sotto i Suoi piedi o se fosse stato tutto spalato via, se non si accorgesse nemmeno del freddo pungente e della condensa che formava nuvolette di vapore intorno alla Sua bocca (con decenza parlando), se incontrasse la comparrocchiana miss Hepzibah Stone o il compagno di scuola Lotario Smith o Meo Abbracciavacca sul Suo cammino, e fosse magari talmente assorto nei Suoi pensieri da non avvedersi nemmeno che, effettivamente, stavano sguindolando disperatamente le braccia nella Sua direzione, salutandoLa, annunciandoLe lo scoppio del Terzo conflitto mondiale, urlandoLe di fare attenzione al crepaccio o al camion della monnezza che stava per arrotarLa, se la via fosse stata alberata di sequoje e su ognuna ci fosse una famiglia di gufi che ripeteva il suo lamento, se nell’attraversare l’incrocio passasse fuggevolmente nella sesta dimensione, o incontrasse la sua immagine riflessa nel didietro di un’auto medica, o incespicasse in un cucciolo di manticora, o rimanesse brevemente in forse se tornare a casa, andare avanti, prendere un’altra direzione, girare in tondo, star fermo, guardare in sù, guardare in giù: io queste cose non posso ovviamente saperle perché non mi sono mai state comunicate in un modo o nell’altro, e quello che non so non posso riferire: soprattutto io non c’ero, Lei sì, e Lei, posto che — chiaramente — sia esatto, per quanto infiocchettato appulcrato colorito, quanto vado ricostruendo, non dovrà far altro che ricorrere agli archivj della Sua memoria per riavere la scena dinnanzi.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

721. 46.

18 Dic

(46). Non fatìco affatto (si parva licet) a adre la stura a mia volta all’immaginazione, e a vedermeLa mentre, alla scrivania, cincischia, lo sguardo perso dietro le sue riflessioni, gli angoli già abbondantemente torturati del suo libro di letteratura o di storia, tamburellando con le dita sul ripiano in cerca di una soluzione che per mancanza di elementi non può ottenere; avrà pasticciato su un foglietto pupazzetti, frammenti di frase e un abbozzo di schema — una sconciatura, perché non poté non rendersi conto, per quanto traviato, della patente assurdità d’inquadrare formalisticamente un episodio imperfettamente noto riguardante una persona che, per quanto parente, Ella conosceva solamente di vista; dopodiché si sarà alzato, sarà andato alla finestra a guardare la strada dai margini invasi di cumuli di neve e il traffico di metà pomeriggio; poi, senza nessuna intenzione peraltro di distrarSi dalla Sua riflessione (e come avrebbe potuto?), avrà acceso il televisore, senza trovare, a quell’ora, nulla di interessante (o magari, per un caso fortuito, anche a dispetto dell’ora, c’era; ma Lei non avrebbe mai avuto modo di renderSene conto, perché la Sua testa era altrove); l’avrà spenta; avrà fatto due passi per la camera, senza avere la più pallida idea di come venire a capo dell’enigma; si sarà accostato al tavolo da lavoro, che correva lungo tutto la parete alla destra del riguardante che postergasse la porta, quella parete cui ho tralasciato di riferirmi, il tavolo su cui c’erano i Suoi strumenti, al momento perfettamente inutili a chiarire uno qualunque dei Suoi dubbj, quindi — almeno nella fattispecie — a loro volta poco interessanti; avrà fischiettato e sbuffato, le mani in tasca, girellando intorno nella camera: ma al terzo cerchio tracciato coi passi avrà cominciato a sentirsi poco intelligente; sarà forse andato nuovamente alla finestra, l’avrà aperta; avrà aspirato due o tre boccate d’aria, decidendo che non faceva troppo freddo per una sortita; si sarà spogliato dei vestìti soliti, si sarà messo i pantaloncini, un maglione leggero, le scarpe da corsa, una k-way col cappuccio, e poi sarà uscito dalla camera; incontrando Sua madre in corridojo avrà bofonchiato un succinto I’m leaving di mera prammatica, Sua madre avrà aggiunto qualche raccomandazione sull’ora di cena al See you later, nulla comunque che Le pervenisse all’udito, dopodiché avrà sceso le scale di corsetta, raggiungendo il vestibolo; aperta la porta bianca infissa nel legno bianco, avrà superato il pronao, avrà sceso i sette gradini, avrà percorso il vialetto diritto fino al cancello, avrà aperto il cancello, e toccato il marciapiede avrà preso macchinalmente la sinistra, cominciando a correre, senza renderSi conto dell’andatura già un poco più sostenuta del consigliato; e tutto questo sempre rigirandoSi per la mente quell’interrogativo frustrato: Ma chi può essere, quel vecchietto scemo?

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

720. 45.

18 Dic

(45). Giunto nella Sua camera (che comprendeva un letto ad una piazza e mezza contro la parete di sinistra, per il resto tappezzata di libri, una scrivania sotto la finestra, che si apriva di fronte, una poltrona con un tavolino davanti, di faccia alla parete che separava quella contro cui era spinto il letto e quella in cui s’apriva la finestra; parete a sua volta tappezzata di libri eccettuato un televisore che si poteva guardare comodamente seduti in poltrona) doveva riprendere a studiare qualcosa a proposito di Edmund Wilson e Franklin Delano Roosevelt, sennonché, com’era in fondo perfettamente previsto, con tutto quello che Le turbinava in testa era praticamente impossibile: né è da sottovalutare la straordinaria suggestione costituita dalla scoperta di qualche mistero riguardante una figura così poco suggestiva, in fondo, per non dire scialba, come la nonna; per esempio, la zia — di cui non esisteva nessuna traccia né audio né video, in poter di Josiah van Barnavelt, per cui Ella doveva affidarSi esclusivamente a ricordi, tuttora molto vividi nel caso della zia Alinda, benché potessero rifarsi solo ad un’occasione, quella dell’unica visita della parente, due anni avanti, in quella stessa casa — sarebbe stata teoricamente molto più indicata a coprire qualche mistero, ma era proprio la sua apparenza anticonvenzionale, stravagante e capricciosa — con quella fisionomia leggermente adunca, i capelli a caschetto sempre in movimento a causa degli scarti a destra e a sinistra del collo (niente cervicale, a quanto pareva, a dispetto dell’età e dei fazzoletti versicolori che portava sempre intorno alla gola, evidentemente perché le piacevano i fazzoletti da collo), gli occhj sempre semichiusi, a fessura, con lo sguardo puntuto da rettile, il naso lungo ed aguzzo, la bocca priva di labbra sempre pronta a scoccare la citazione giusta, la battuta cinica, talora anche il gros mot; con quelle mani affilate e tozze insieme, coll’indice e il medio della destra macchiati dal bruno nicotinico della perenne sigaretta; con quei ciondoli al collo, pochi e sceltissimi, ma di forma curiosa, molto diversa da quello che ci si aspetta da un giojello, una piccola tejera d’argento, una testina di gatto di rame, due inservibili coltellini di metallo vile, e altro, che faceva pensare allo strumentario di qualche ritualità oscura, o a talismani; con quelle mises sempre leggermente lunghe e svolazzanti, trasandate e/o sofisticate, perlopiù sete stampate scure, che le creavano intorno un’aura sciatto-coloniale molto tipicamente sua, sofisticata e volgare in parti eguali — che rendeva il mistero a tal punto pacifico, scontato, da vanificarne ogni aura, e da far pensare che non nascondesse nulla: la nonna, invece, sua sorella, con la sua ordinarietà, era un’occultatrice di misteri, tutto sommato, molto più convincente.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

719. 44.

18 Dic

(44). Cosicché altro non Le rimase che tornare in camera Sua, teoricamente a terminare un còmpito d’inglese, in pratica a pensare al Suo imbecille vecchino, e dunque, alzatosi dalla seggiola di fòrmica da sempre parte della suppellettile dell’autorimessa e rimessala a posto, rimuginando tra sé sul terzo filmato, mentre papà estraeva la pizza dal projettore e sbaraccava schermo e macchina, Si avviò a passo tardo e lento sù per i quindici gradini tramite cui si raggiungeva il vestibolo della casa; giuntovi, socchiudendo gli occhj per il candore accecante della neve illuminata dal sole, che riverberava di luce cruda in tutto l’ambiente incendiando i finestroni sul pronao, fece i tre passi che La separavano dalla prima rampa della scala recante ai piani superiori, e postergando l’ingresso invaso dalla luce salì altri nove più nove gradini, raggiungendo il primo piano, e poi altri nove più nove, raggiungendo il secondo, laddove, in fondo al corridojo in penombra, a destra, si trovava la porta della Sua stanza: e verso quella, un po’ strascicando i piedi sulla moquette, Si diresse, senza che il Suo pensiero riuscisse a staccarsi dalle immagini viste per ultime, ma, anche, senza riuscire a far appello a quel tanto di discernimento sufficiente a renderLe manifesto che era proprio in quel continuo riandare e reminiscere la causa prima della deformazione di un ricordo, secondo l’arcinoto meccanismo autosuggestivo per cui un evento insignificante, ma che mancano i presupposti per spiegare, o un trauma di modestissima entità iperfetavano nella mente non padrona di sé dell’uomo naturale storie di fantasmi e possessioni, apparizioni demoniache e sabba di streghe, animali fantastici e popolazioni antipodiche, flore ignote alla botanica e terre australi inconditamente sorte dagli abissi d’un mondo d’ignoranza e d’inconsce pulsioni; ma c’era ben da scusarneLa, poiché se l’indefesso studio anche d’aride astratte impervie materie L’avevano condotta per molti versi ad una finezza di giudizio quasi senile, per il rimanente Ella era pur sempre un ragazzo di quattordici anni, se non per scarezza d’ingegno e di letture, per esperienza diretta delle cose, e dunque tuttora prossimo al piccolo uomo selvaggio che l’educazione e la consuetudine col mondo s’incaricano a mano a mano di dirozzare: quindi se le belle qualità del Suo genio in questo caso non seppero rettamente indirizzarLa, e soccombettero all’enfasi immaginatrice dell’adolescente, credo sia perfettamente condonabile, ma non solo: le conseguenze del Suo ostinato speculare (so che non è dignitoso farsi beffe dell’inesperienza, ma la mia intenzione non è quella!) furono in quel caso così — come dire? — gustose che val la pena d’inseguirne, di ricostruirne, tutte le anfrattuosità, tutti i torti errori.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

718. 43.

18 Dic

(43). Ma, benedetto ragazzo, a quel punto il misterioso destinatario delle immagini girate da Josiah van Barnavelt sarebbe potuto essere indifferentemente anche Guy Fawkes, Maria Stuarda, Nixon, Mistinguett, il Sor Pampurio o Indiana Jones, e io mi chiedo, in effetti, come mai non Le sia venuto in mente, così allegramente cavato il tappo alla spumante botte dei devanei, di passare in rassegna anche altri personaggj, vuoi storici, vuoi di Sua o altrui invenzione, scapricciandosi nell’invenzione colorita e variata di tutta una galleria di facce prima contratte dall’ansia, poi compiaciute e soddisfatte, una sequela multiforme di ceffi grotteschi ingrugnati nella concentrazione spastica dapprima, poi orridamente distesi nel sorriso, esaltati financo, od ispirati, od entusiastici, od esicastici, od invasati — pensi la faccia da mascherone di Uriah Heep spalancarsi, come, nel beato riso del trionfo vedendo Edgarda Cheevey tornare fortunata possessora di una scatoletta, o i vecchiaccj dello Zanetti danzare tra orridi scrocchj d’ossa e squacqueri d’emozione per il felice prospero conseguimento, o il culo grande comunicatore di Ronald Reagan sganciare lunghe loffe di contentezza! O Eliogabalo sacrificare cento leoni in segno di contentezza, scoprendo la gambetta a coorti di militi inzibettati, che so io, o Nerone imbracciare la lira –, ma qualcosa, suppongo il Suo cattivo genio, non volle prestare al Suo sciocco traviamento, che non poteva portare a nulla di sensato né di fruttuoso, almeno le attrattive un esercizio che, se non costituiva un impiego utile del Suo tempo, poteva, col ricorso ai belletti, ai crespi, ai bisantini d’una varietà speciosa, risultare un modo non men d’altri divertente di sciupinarlo: macché, l’idea di quello sciapo vecchietto arravugliato nelle sue coperte, che batteva le manine, saltando sù tutte le volte nell’atto istesso, come il più cretino dei misirizzi, come il più spelacchiato dei cucù, aveva sedotto la Sua fantasia proprio, paradossalmente, con quella modalità contorta che hanno le visualizzazioni dotate di grande vividezza, ma in sé nulla proprio attraenti, che seducono gl’intelletti sovreccitati a ritenerle come mandate da fuori, e pertanto segni e visioni di qualche realtà concreta, a causa della distanza, del tempo non esperibile in via diretta ma resa in immagine & larva attingibile grazie ad alcunché di personale, come il fluido dei cerretani, ovvero a qualche volontà preternaturale inesplicamente operante proprio in quella fattispecie, su quella persona, in quel momento: tutto e il contrario di tutto può darsi, in effetti, o così Le avevano insegnato troppe letture su fenomeni specialmente ondulatorj, perfettamente naturali, che si verificano in contemporanea anche in luoghi lontanissimi tra loro, che in Lei si confondevano con spettacolarità classiche come fulmine che cadendo e facendo cagliare come formaggio il vino nelle botti impennacchia il colmo della sua nube d’un fuoco rosso di riscontro, e lo spettro del Brocken che specchia nelle foschie le sembianze del riguardante, e la luce delle stelle morte, che ce le mostra nel loro splendore di decine di millennj fa, e il tempo che può fermarsi, o svanire, o piegarsi come una barra di metallo incandescente sotto il maglio di un fabbro inveduto: la deriva del ragionamento, quando è peraltro confinato entro un troppo angusto àmbito, e subisce le graziette del gioco analogico, genera mostri.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

717. 42.

18 Dic

(42). Chissà perché Se lo raffigurava come un vecchietto grinzoso, tremuto, con la papalina in testa, semiaffondato tra le coltri e i piumoni di un letto a baldacchino, mentre con gli occhj a palla, spauriti in un musetto da mustelide secolare, seguiva spasmodicamente la cerimonia della consegna su un decrepito Telefunken a quindici canali per ottanta pollici, in bianco e nero; come la mano robusta, cosparsa sul dorso di peluria rossa che sullo schermo appariva, era giocoforza, grigio chiara, depositava la cassetta tra le mani fragili, sottilissime e appuntite, diafane, della nonna, il povero vecchino deficiente balzava, o quasi, a sedere sul suo iperbolico letto a baldacchino, ed eccitandosi tutto, anfanando e sbavando, batteva pateticamente le manine simili alle granfe di una pojana centenaria, mentre gli occhioni ossessi si facevano lucidi come lampioni in una notte d’inverno; dopodiché afferrava un telecomando dalle dimensioni di una scatola di scarpe, e armeggiando, abbastanza penosamente (che fosse un povero vecchio mentecatto era ormai abbondantemente assodato, e poi era visibile, anzi vistoso), coi labbruzzi semischiusi e le palpebre strizzate si dava a pestare sui tasti finché lo schermo si oscurava e un suono di turbina segnalava il riavvolgimento del nastro: dopo pochissimi secondi un tonfo secco, annunciando il completo riavvolgimento, faceva oscillare un vaso pieno di mortelle posto sopra il televisore, dopodiché il vecchio scemo, intento, farfugliando come una beghina alla messa, pigiava l’avvio, e la breve scena ripartiva da capo, dipanandosi davanti agli occhj infinitamente preoccupati del disturbato nonnino, che, probabilmente dimentico del fatto che quelle immagini ormai potevano solo deteriorarsi, non cambiare, seguiva ogni movimento, ogni momento, con la stessa ansiosa partecipazione della primissima volta, tornando a battere le scheletriche manine, lagrimando di gioja e sbavando dalla contentezza, quando si vedeva Edgarda Cheevey prendere la cassetta nera; e così via, per un bel po’ di volte, finché o le immagini sbiadivano, o il nastro si grippava, o il videoregistratore faceva cortocircuito, o si fulminava il tubo catodico, o sopravveniva un black out, o tagliavano la luce per morosità, o il vaso delle mortelle esplodeva tirando giù l’intera ala della casa, o il vecchietto moriva nell’incendio fortuito del suo fottuto letto a baldacchino: un minus habens, quel vecchio, un povero rincoglionito, che allietava in quel modo pietoso alcuni dei disperati istanti che gli restavano prima di esalare l’ultimo respiro.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

716. 41.

18 Dic

(41). Si era detto che quel video doveva mostrare a terzi che il cofanetto era finalmente giunto tra le mani della nonna, segno questo che, dato che la Terza Persona aveva biosogno di essere rassicurata in merito, laddove si era trovato fino a quel momento non era al sicuro: ma esso cofanetto, fino a quel momento, era rimasto tra mano di non altri che Suo padre; a parte il fatto che l’idea stessa che Suo padre potesse rappresentare un custode poco affidabile nella migliore delle ipotesi, o un potenziale danno per l’integrità dell’altrui proprietà privata nella peggiore, Le pareva decisamente offensiva, e La tentava ad abbandonare, già come procurans odium motu proprio, quel percorso d’ipotesi, considerata anche solo un po’ più emunctae naris quella possibilità Le pareva scarsamente convincente: difficile, o difficilissimo, dire a quel punto come mai, ma non Le pareva possibile che un oggetto potesse finire proprio tra le mani della persona nelle cui mani non doveva arrivare, tutto qui: e Si risolse optando per un’altra possibilità, più verosimile se non altro perché non implicava nessuna valutazione poco piacere circa l’affidabilità o, peggio, l’onestà di Suo padre, un uomo altamente stimato e responsabile, per quanto a tratti un po’ distratto: quella che prevedeva, molto semplicemente, che la cassetta dovese pervenire alle mani di Sua nonna perché da lei la Terza Persona doveva riceverla, punto e stop — salvo darsi immediatamente dopo del cretino, sapendo che fisolosifamente non è accettabile sostenere che una cosa è quella cosa perché è quella cosa e non altro, “punto & stop”: ma, insomma, anche a costo di dover darsi del cretino di bel nuovo, ormai la decisione era presa, ed era mille volte preferibile accogliere una tesi che non spiegava nulla al dover accoglierne una che tentava una spiegazione, in effetto, ma gettava una luce sgradevole sulla figura di Suo padre; piuttosto che sostenere che Suo padre potesse essere passato per poco fidato o poco onesto agli occhj di qualcuno (ma di chi? un imbecille, di sicuro), preferì fare qualche illazione sulla Terza Persona, che non essendoLe nota e non essendo sicuramente uno dei Suoi diretti parenti, rappresentava campo neutro, e poteva essere tranquillamente, soprattutto a livello così intimo e privato come nel teatro della Sua fantasia, calunniata e presa a pesci in faccia a volontà: stabilito questo, decise di non badare a spese, e si divertì per qualche quarto d’ora a costruirsi mentalmente questa figura così antipatica, certamente un mentecatto pieno d’ansie di tic, degno più di misericordia che di disprezzo.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

715. 40.

18 Dic

(40). Ma arrivato a questo punto doveva ammettere a Sé stesso che il gioco delle probabilità, spunto oltre, Le avrebbe portato più confusione che illuminazione, perché per procedere avrebbe dovuto sforzarsi di divinare il contenuto di quei fantomatici foglj: e qui, per quanto Si scervellasse, non poteva appigliarSi a nessun indizio minimamente suffragante, poiché il filmato non Le forniva altro che le immagini della nonna che prendeva un cofanetto nero dalle mani di papà, e nient’altro: né intendeva infrangere il tacito accordo, stretto non sapeva nemmeno Lei esattamente come, ma stretto, con Suo padre di non tornare sull’argomento con domande che avrebbero solo potuto irritare il domandato e far ottenere a Lei un nettissimo rifiuto laddove aveva avuto solo un’occhiata d’intelligenza, e non Le avrebbe fatto fare nessunissimo progresso nella conoscenza dei contenuti eventuali di quel cofanetto: a meno di non inferire soluzioni assurde, quali l’anagrammare tra loro i titoli più leggibili sui dorsi dei libri a scaffale alle spalle della nonna, o chiudere gli occhj e aspettare che nel bujo crivellato dai fosfeni apparisse una parola in grado di guidarLa, o di ricorrere a qualche gioco combinatorio, non vedeva modo di pervenire a una risposta, fosse giusta o sbagliata, ai suoi interrogatìvi: comunque tentasse di affrontare la questione, non trovava modo di portare avanti il procedimento, o il gioco, deduttivo in nessuna direzione possibile; le uniche cose che Le apparivano certe erano quelle a cui era approdato, ossia che il filmato documentava a pro di una terza persona il fatto che Edgarda Cheevey era tornata in possesso della cassetta — tutto qui; ma qualcosa Le impedì di abbandonare il ragionamento portato tanto innanzi, Le pareva una sciocchezza buttar via così all’impronto tutto un così bel castello deduttivo; era come uno spingersi quasi alla meta, dopo che non s’era preventivato di riuscire a muovere anche solo qualche passo, per tornare indietro, o prendere tutt’altra direzione, o spararsi una bomba nello scafo in modo da affondare in porto, rinunciando all’oggetto dell’inchiesta: e Lie non sapeva come qualmente, ma sapeva che la soluzione non era affatto lontana, tutt’altro: era lì a portata di mano, solo che Lei la mano ancòra non l’aveva avanzata, o, se l’aveva avanzata, stava ancora armeggiando alla cieca; era lì, a un tiro di schioppo, solo che Lei lo schioppo non l’aveva ancòra imbracciato, e, se pure l’aveva imbracciato, non l’aveva ancòra caricato a pallettoni; era lì, a un passo, solo che Lei ancòra non aveva avanzato il piede — una cosa sola Le pareva certa in quell’istante: qualunque indizio, o segno, o prova aspettasse ancora di essere rinvenuto da Lei, esso non si sarebbe trovato in quello che ricordava del filmato, ma altrove (dove?): anche se un dubbio, un dubbio solo, sussisteva circa le immagini poc’anzi viste.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

714. 39.

18 Dic

(39). Ma dato che il gioco delle ipotesi era cominciato, tanto valeva portarlo avanti: e dato che era deciso che Edgarda Cheevey non aveva potuto aprire il cofanetto, e che questo era dovuto al fatto che non ne aveva la chiave o non poteva azionare nessun meccanismo che l’aprisse, si schiudeva tutta una serie di possibilità per cui la nonna non poteva aprirlo, questo cofanetto; ma quello che Lei era tentato di pensare era solo questo: il cofanetto doveva essere reso alla nonna, e il momento in cui ne veniva in possesso doveva essere immortalato al fine di di far sapere a terze persone che adesso era in poter suo; ma pareva altamente probabile che il cofanetto non fosse destinato a Lei: non era suo — esso era importante, come si era stabilito, per il suo contenuto, ma quello che conteneva non era destinato a lei: doveva passare per le sue mani ed essere da lei custodito, probabilmente, fino a quando giungesse il momento di consegnarlo al proprietario, o comunque alla persona nelle cui mani avrebbe trovato l’ultima destinazione — a meno di non ipotizzare una staffetta, come dire, un continuo se non infinito, almeno idealmente, passaggio di consegne; per cui il cofanetto dovesse passare da una mano all’altra, come nella catena di s. Antonio, o qualunque scambio gli somiglj — ma il cofanetto poteva apparire jellato, o dotato di qualche misterioso potere, solo a persone d’infima estrazione, incolta e dalla psiche dominata dal pensiero magico per i più riprovevoli motivi: queste erano fantasie del tutto sconvenienti a una gentildonna come Edgarda Cheevey, e ad un uomo di scienza come Josiah van Barnavelt: l’ideache potesse trattarsi di un gioco così cialtrone era del tutto escluso, non foss’altro per l’ansietà che traspariva dal volto di Edgarda Cheevey durante la consegna, e dalla tensione evidente nella fisionomia di Josiah van Barnavelt — si trattava certamente di una cosa seriissima, dunque, e la cosa più seria a cui riuscisse a pensare, più seria ancòra di un oggetto o d’un insieme d’oggetti di alto valore venale, era qualche specie di documento importante, come ufficialità comprovanti un possesso o un diritto, o qualche verità gelosa: non giojelli, dunque, non oro e gemme, ma qualche incartamento, foglj di protocollo bollati, ingialliti e consunti, dagli angoli sbriciolati, recanti date assai arretrate nel tempo, stilati pazientemente in calligrafia dalle majuscole slanciate, dai tratti inclinati, dai segni ascendenti sfoggiati, dalle paraffe svettanti.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

713. 38.

18 Dic

 (38). Assodato oltre ogni ombra di dubbio questo fatto, risaltava ancòra maggioremente la stranezza costituita dal non aver né la nonna né Suo padre aperto il contenitore, appunto: in questo caso, ossia per valutare come mai, Le falliva purtroppo una qualità sufficientemente definita delle immagini: sarebbe stato infatti prezioso capiure come funzionasse l’apertura della scatola — anche se, come già dissi, non Le era passato totalmente inosservato qualcosa, sul lato della stessa, che era naturale identificare con una cerniera, benché non fosse mai detto e dato per certo –, se ci fosse la toppa di una chiavetta o il pulsante di un meccanismo a scatto da qualche parte, comunque fosse funzionante, che fosse segreto o visibile impossibile a dire e per il momento non rilevante; l’unico altro indizio utile a formulare qualche ipotesi non sulla scatola ma sul suo contenuto erano le sue dimensioni: non era minuscola, potevano essere venticinque per quindici centimetri, una capacità sufficiente (l’altezza poteva essere di sette od otto centimetri) a contenere una quantità notevole di gemme ed oro, meno facilmente qualche scritto o diploma (Le sarebbe piaciuta una mappa del tesoro, o un segreto soprannaturale), anche se una piccola pergamena arrotolata poteva anche starci; ma anche in questo caso altri fattori dovevano essere chiamati in gioco, oltre alle dimensioni del contenitore: segnatamente il modo di Josiah van Barnavelt di porgerla ad Edgarda Cheevey e il modo che quest’ultima aveva di stringersela al petto: non poteva mancare di significato il fatto che il papà usasse le due mani, e che la nonna facesse altrettanto, ciò che tuttavia poteva in sé e per sé dipendere dalle sole dimensioni della scatola, appunto non minuscola; ma sembrava di poter inferire che essa avesse un peso sensibile, superiore per intenderci a quello di un foglio di carta, per via del fatto che sia la nonna, sia, soprattutto, il papà, più forte, per reggerla tenessero una mano sotto la scatola, al centro, senza afferrarla, poniamo, ai lati più corti, come sarebbe stato naturale fare per un oggetto molto leggero: la possibilità della pergamena con la mappa del tesoro o col suo agghiacciante segreto non era totalmente esclusa, accludendo un sigillo metallico abbastanza pesante e grosso; ma, per quanto avesse deciso di essere indulgente con sé stesso, per una volta tanto, data soprattutto la pochezza degli elementi a disposizione, questo era veramente un troppo ardito ipotizzare.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

712. 37.

18 Dic

(37). Qui il ragionamento cominciava a farsi rischioso, poiché molte e non molto resistibili erano le ragioni e le possibili cause di una deriva dalla realtà dei fatti; ma, dato che si trattava semplicemente di formulare ipotesi, e dato che ancòra non scorgeva all’orizzonte un modo per comproverane in concreto l’esattezza o la fallacità, tanto valeva andare avanti; e stabilito che tra le altre cose perplettenti c’era anche il fatto che Edgarda Cheevey non avesse dato uno sguardo che uno al contenuto della cassettina, Ella postulava due possibilità: o la cassettina aveva valore in sé, nel qual caso poteva anche essere vuota; oppure la nonna non vi aveva guardato dentro per il semplicissimo motivo che non poteva aprirla; inutile dire, o quasi, che Ella propendeva per la prima piuttosto che per la seconda ipotesi, dal momento che in sé e per sé la cassettina, per quanto poco fosse visibile nelle immagini viste poc’anzi scorrere, proprio non mostrava nulla che potesse renderla preziosa in alcun modo, né il materiale, quasi certamente legno laccato, né la particolare vetustà — la scatiletta poteva avere dieci, venti, trent’anni al massimo (e in quest’ultimo caso pareva ben conservata), non recava vistosi segni d’uso di logoramento, almeno non abbastanza vistosi da essere captati dalla telecamera, né c’era segno tangibile che potesse essere un raro manufatto d’altri tempi (avrebbe potuto giurare che era liscia, integra, lucida, e che aveva tutta l’apparenza di essere un prodotto di serie piuttosto che un pezzo d’artigianato); in secondo luogo, non le tornava che potesse essere la scatola in sé l’oggetto di tante attenzioni, non perché in sé impossibile — di fatto, per quanto ne sapeva, tutto era possibile, in sé — ma perché Si era proposito di mantenersi entro le guide del verosimile, l’unico modo possibile di tener lontano qualunque rischio di deriva nell’irrazione o nel fantastico, e in termini di mera verosimiglianza Le pareva più plausibile che un contenitore, qual è una scatola, riscotesse attenzioni per il proprio contenuto che in sé per sé; inoltre la nonna, nel video, non mostrava di usare, nel maneggiarla, quelle cautele che si mettono in opera per non esporre a rischj oggetti di gran pregio: semmai i suoi gesti potevano essere definiti sorvegliati, si poteva dire che facesse semmai attenzione a non scuotere la cassetta, ma la presa sia di Josiah van Barnavelt, sia di Edgarda Cheevey sull’oggetto era piuttosto franca e sicura; pareva proprio che la scatola valesse per quello che conteneva.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

711. 36.

18 Dic

(36). Della nonna esistevano pochissime immagini in video, anche perché nel corso degli anni si era vista molto poco spesso, e quando Josiah van Barnavelt aveva voluto fare le cose all’americana, o semplicemente trovare un’occasione per rivedere immagini che altrimenti sarebbero rimaste a sbiadire nella pizza nascosta in qualche scatola (perché girare filmini se non per rivederli o infliggerli a qualcun altro), si era accorto di quanto misero fosse il materiale a disposizione: soli due filmati — più le pochissime immagini del filmato scartato, inutilizzate finora perché inutili allo scopo per cui erano state girate, ma pur sempre immagini della nonna, e dunque riproponibili a mero scopo familiar-documentaristico, anche e soprattutto per fare, per quanto possibile, un po’ massa con gli altri due; per questo Josiah van Barnavelt doveva averle recuperate e incollate in fondo ai due primi spezzoni: dopodiché, il disastro: Lei aveva visto quelle immagini, non aveva avuto la spiegazione che Si aspettava quando le stesse avevano suscitato in Lei quelle perplessità, indi aveva cominciato a costruire la sua macchina illatoria, una cosa ben diversa e dalle conseguenze ben più allarmanti rispetto al semplice porsi domande quali, per esempio: “A chi era destinato il video?”, “Perché lo studio di papà era stato messo in ordine, compreso il Merck’s Index?”, “Che cosa c’entrava la nonna con la cassetta?”, “Che cosa conteneva, o contiene, la cassetta?”, “E’ stata girata un’altra versione del video?” — ma soprattutto: “Perché la nonna non ha fatto la cosa più intelligente, più intelligente ancòra che mostrare il coperchio della scatola alla telecamera, e cioè non ha aperto la scatola, mostrandone molto sensatamente il contenuto alla telecamera e rassicurando la Terza Persona circa il fatto che non solo la scatola era quella che doveva essere, ma che il contenuto stesso era quello che era necessario che fosse?” — poiché, anche se la scatola era la scatola, il contenuto, finché la scatola rimaneva chiusa, poteva essere qualunque cosa: se era previsto che dovesse contenere un pajo di guanti, finché rimaneva chiusa poteva contenere anche un pitale, una Bibbia delle missioni, o una putrella; se era necessario che contenesse uno smeraldo montato nel platino, finché non era aperta poteva custodire, per quel che ne sapeva, un animale morto, una maniglia da finestra, o una ciabatta; e anche qui i casi erano due: o la nonna non ci aveva pensato, o papà non ci aveva pensato, e questo pareva piuttosto strano; oppure, molto semplicemente, la nonna non poteva aprire la cassetta — per quale motivo ancòra non sapeva.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

710. 35.

18 Dic

(35). Suo padre a parte, e valutazioni mimiche a parte, aveva già fatto un bel po’ di passi in avanti, col ragionamento — sul video, non sull’espressione di Suo padre –; a questo punto, per quanto fosse sveglio e per quanto il Suo cervello fosse capace di lunghi sforzi deduttivi, si sarà fermato a prendere respiro, non senza un po’ di compiacimento per sé stesso; il video imperfetto, riepilogò, non poteva essere prodotto come dimostrazione d’alcunché, proprio per colpa della sua imperfezione; sicché — pensò di conseguenza — non può essere stato spedito, o dato ad alcuno, per qual era, perché quell’alcuno nulla se ne sarebbe potuto fare; sicché i casi a questo punto erano due: o la terza persona era rimasta senza video, senza dimostrazione, senza prove; oppure, come pareva molto più verosimile, Josiah van Barnavelt, rivedendo a breve o lunga distanza di tempo le immagini del filmato, doveva aver ragionevolmente deciso che non servivano allo scopo, che il filmato non poteva essere sottoposto alla terza persona, e che doveva esserne girato un altro: a questo punto, com’è logico, dovette chiedere nuovamente a Edgarda Cheevey di fargli da attrice, e girare un secondo filmato, o quanti filmati fossero necessarj per arrivare ad ottenere immagini in cui la cassetta si vedesse distintamente e in tutti i particolari: la versione meglio riuscita, fosse la seconda o la dugentesima non aveva per il momento nessuna importanza stabilire, era stata quindi inviata alla terza persona, che aveva potuto constatare che, sì, in quelle immagini lo scatolino era proprio quello scatolino, e che il disegno sul coperchio, la parte più probante dell’intero oggetto, si distingueva nitidamente — non più di questo Ella poteva attentarSi a dire in sul momento; poteva, tutt’al più, immaginare che in quella miglior versione Edgarda Cheevey, consigliata o no da Josiah van Barnavelt, poteva aver avuto il buonsenso, invece di stringersi abbastanza ottusamente l’oggetto al seno, magari senza perdere quel suo sorriso leggermente smarrito, ansioso e fisso, di portare avanti le mani con lo scatolino sù e mostrarlo per bene alla telecamera, dimodoché l’obiettivo potesse cogliere dettagliatamente il coperchio e il suo disegno: il gesto più semplice, e in fondo il solo, che si possa fare per mostrare alcunché (in effetti, anche le signorine dall’aria conformista dei vecchj spot rimanevano in posa minuti interi mostrando alla telecamera l’oggetto pubblicizzato, quasi ficcandolo sù per l’obiettivo, in modo che si vedessero anche le molecole), sicché, anche se quell’altro filmato Lei forse non l’avrebbe visto mai, poteva dirSi abbastanza sicuro che le cose fossero andate esattamente così.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

709. 34.

18 Dic

(34). Una soluzione, del tutto presuntiva, la irritava, e l’altra la sgomentava per l’ampiezza delle possibilità che apriva: da una parte a far da ostacolo tra Lei e la soluzione del mistero c’era una piccola, anzi meschina, ragione, che non poteva aggirare; dall’altra una serie incalcolabile di ragioni sconosciute, che non poteva conoscere: a questo punto non poteva far altro che tentare di capire, appunto, qualcosa in base alle immagini viste: ma era arduo, arduo veramente, perché (ricapitolando) aveva solo l’espressione tesa della nonna nerovestita, che guardava con apprensione qualcosa fuori campo, alla sua destra, e poi il qualcosa entrava nell’inquadratura sotto forma di mano destra di suo padre, supportata dalla mano sinistra, e di scatoletta nera non troppo ben visibile; aggiungivi, volendo, l’espressione sempre lievemente appanicata della nonna che riceveva tra le proprie mani la scatola suddetta, e tenendola al seno guardava in macchina, sorridendo fissamente, con una specie di compiacenza infelice (la nonna, però, non aveva sempre quell’espressione vagamente lacrimosa? Dovevano essere, si supponeva, i numerosi acciacchi che affliggevano, senza trasparire troppo se non appunto dal volto, in specie a tratti, quella sorta di airone bianco dalle ali ripiegate, assottigliato dai decennj — a Lei, allora, sessantotto anni parevano un cumulo di lustri del tutto favoloso, solo una rupe, una sequoja, una cattedrale potevano esservi paragonati), e si vedeva anche il sorriso tirato di papà, che entrava e usciva con la testa dall’inquadratura, dopodiché la nonna tornava protagonista assoluta, faceva il suo muto monologo con la macchina, e infine le immagini cessavano, e c’erano alcuni fotogrammi neri, ballonzolanti e sparsi di fosfeni bianchi seguìti da alcuni fotogrammi bianchi costellati di fosfeni neri, e poi si udiva il borbottio soffocato del projettore che continuava ottusamente a sparare il suo cannone di luce, e si sentiva la pellicola che, fuoruscendo dalla pizza per via di un piccolo guasto o del projettore o della pizza, papà l’aveva detto, ma chi se ne ricordava, avrebbe dovuto controllare (no, no: questo non c’entrava, col suo mistero, non accolto agli atti), frustava l’aria per qualche giro prima che Josiah van Barnavelt la fermasse col dito — dopodiché aveva spento il projettore, aveva estratto la pizza, ed estraendo la pizza aveva ascoltato quella famosa domanda, e, estratta la pizza, aveva risposto con quella stringatezza da non-voglio-altre-domande, accompagnata da quell’espressione definitiva e non contestabile: tutto qui.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

708. 33.

18 Dic

(33). Suo padre non era mai stato, in quindici anni, né duro né pretensioso né scostante né troppo impegnato per potersi prender cura di Lei come si conveniva ad un padre nei confronti di un figlio: per cui, tutte le volte che quell’espressione compariva sulla sua faccia, e non vi compariva spesso, Lei doveva sapere di non chiedere: e si trattava, di norma, di cose della massima delicatezza, come — poteva ricordarsene distintamente, perché, appunto, quell’espressione non faceva mai la sua comparsa per nulla — il malore che la mamma aveva avuto due anni prima, a proposito del quale i Suoi non avevano voluto dirLe nulla (doveva aver colpito Norma Cheevey in qualche luogo delicato, come suppose già al momento, tanto da renderne sconveniente, per Lei che aveva solo tredici anni, anche solo il saperne), o quando, ormai cinque anni prima, erano dovuti tornare di corsa da Long Island dove avrebbero dovuto passare qualche tempo (in realtà papà si era dimenticato qualcosa di fondamentale a casa, e non voleva che Lei, con la petulanza propria dei bambini, si credesse autorizzato a mettere in discussione l’infallibilità paterna per così poco), ragion per cui non poté impedirSi di pensare che quelle immagini si riferissero a qualcosa di importante insieme e di delicato, da non trattare devant les enfants — fu questa l’espressione che Le venne al momento, e, nonostante Suo padre non si fosse nemmeno sognato di dirLe alcunché del genere, e men che meno di usare quell’espressione, ugualmente Le venne fatto di sentirSi leggermente offeso: Lei non era più un bambino, e ormai da parecchio tempo, sicché, se certe questioni, di maggiore o minore importanza, dovevano esserLe tenute nascoste, tutti i motivi si potevano ritenere validi e giustificabili, ma non certo quello: benché, da un punto di vista meramente speculativo, il fatto che il silenzio fatto calare da Josiah van Barnavelt sul significato della sua breve videoregistrazione dipendesse esclusivamente dall’incapacità di crederLa grandicello abbastanza da poter reggere il colpo dell’eventuale rivelazione fosse piuttosto comodo: se infatti non era quello il motivo (come dovette pur ammettere che potesse essere, dopo un istante di lucido ragionamento: Suo padre non Le aveva affatto detto: Non te lo dico perché sei troppo piccolo per certe cose) si apriva tutta una serie di possibilità, per non dire che si apriva una serie incommensurabile se non infinita di possibilità, di spiegazione: la questione rimaneva con ogni probabilità della massima importanza, e con ogni verosimiglianza assai delicata, ma era assolutamente impossibile, a quel livello, stabilire in che termini, perché, inquantoché riguardante quali altre persone a parte la nonna e papà, e tutta una serie di altre cose che, allo stato attuale delle Sue conoscenze, non sapeva assolutamente, e avrebbe dovuto assolutamente sapere per arrivare a qualche risultato.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

707. 32.

18 Dic

(32). Ma proprio nel rispondere alla Sua domanda Josiah van Barnavelt aveva avuto quell’espressione che hanno i padri quando intendono non plus ultra, e i figlj devono capire anche in assenza di quella spiegazione che comunque non capirebbero, e si ritrovano, come appunto Lei in questa occasione, di fronte la sola via praticabile dell’illazione, una via da Lei battuta e ribattuta ogniqualvolta un ostacolo alla Sua comprensione o una deficienza di sapere La ponevano di fronte all’ignoto: era questo il caso in cui, sommerso tra le tenebre dell’ignoranza del Suo personale secolo bujo, passava qualche preziosa ora a fabbricare, e di rado a smontare successivamente, ipotesi: esattamente come un Isidoro di Siviglia, poniamo, aveva avuto la ventura, senza sapere fattivamente quando né perché, d’imbroccare qualche esile lampo di verità tra immense caligini d’errori, così anche a Lei occorse, talora, quando il gioco dei possibili non si faceva troppo gratuitamente e capricciosamente in sé e per sé gradevole, qualche buona intuizione, purtroppo per Lei ancòra indistinguibile dalle moltissime cattive: fu questo uno di quei rari casi, si dette il caso, in cui riuscì ad escogitare un insieme di cause e concause molto prossimo alla realtà, fino a un certo punto almeno, ovverossia pensò che quel brevissimo filmato, a differenza dei precedenti due, non fosse affatto stato girato allo scopo di essere rivisto come affettuoso documento familiare; che esso fosse originariamente stato destinato ad una terza persona, o a terze persone, facenti o non facenti parte della famiglia, a cui premeva particolarmente che Edgarda Cheevey tornasse o venisse in possesso dello scrigno nero, e che di conseguenza conveniva fossero informate dell’avvenuta restituzione, quando appunto fosse avvenuta, nel più incontrovertibile dei modi; che il filmato fosse dunque destinato a queste terze persone, o a questa terza persona — mentre, con un po’ di sforzo, era possibile dedurre come mai, allora, pur non essendo destinato ad essere veduto da altri che da questa terza persona, il filmato fosse stato incluso a formare un magro terzetto con le altre due serie d’immagini della nonna: una soluzione altamente plausibile, se non l’unica immaginabile, se non l’unica possibile, era nel fatto che quel filmato, per svolgere il suo scopo, doveva dimostrare che quello scrigno, e nessun altro oggetto al mondo, era passato dalle mani di Josiah van Barnavelt a quelle di Edgarda Cheevey in quel giorno e a quell’ora (come facevano fede le coordinate cronologiche in sovrimpressione accanto allo scorrere dei secondi e dei decimi di secondo, in alto a destra), scopo che il filmato in questione non aveva tuttavia raggiunto, perché, appunto, in esso lo scrigno si vedeva poco e male.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

706. 31.

18 Dic

(31). Da questo Le pareva di poter dedurre, con l’ajuto di un po’ d’immaginazione — ma, in fondo, che cos’altro avrebbe potuto o dovuto pensare? –, e dopo numerosi passaggj, che la stanza fosse stata messa in ordine in previsione della visita della nonna, la quale doveva tornare in possesso della sua scatoletta, questo Le pareva evidente, lì e non altrove al fine d’essere al riparo da sguardi indiscreti (sguardi di chi? I Suoi, forse? Quelli di Norma Cheevey? O di tutti e due — ma quartum non dabatur); lì Josiah van Barnavelt aveva disposto la telecamera, e l’aveva accesa, dopo aver invitato la nonna a mettersi in posa davanti alla stessa: qui le aveva dato, o reso, la scatoletta, o scrigno, o cofanetto, in modo tale che si vedesse che colui che la consegnava era proprio lui, e non altri, e per asseverare che il latore era lui e non altri e per fugare ogni sospetto sull’identità del consegnatore della scatoletta aveva voltato la faccia verso la telecamera, facendosi inquadrare per bene qualche istante, mentre la nonna, il cui sorriso in quelle immagini aveva alcunché di fisso, di stereotipato — ma traspariva qualcosa, dal suo sguardo, che a projezione ultimata Lei non poté non identificare come apprensione, ansia, anche se ben dissimulata –, rimasta sola nell’inquadratura, stringeva al petto la scatoletta: parole come vistoso, o recitato, a proposito di quel ritratto della riservatezza che era Sua nonna, sarebbero state indiscutibilmente fuori luogo, ma in questo caso nell’atteggiamento della sig.ra Cheevey, nel suo afferrare delicatamente la scatola dopo avervi tenuto fisso sù lo sguardo un poco imbambolato per tutto il tempo che occorreva a Suo padre per farle compiere il tragitto dalle proprie alle mani della suocera, che non alzava gli occhj alla telecamera se non quando aveva la scatoletta saldamente in mano, c’era qualcosa di simile al comportamento di un’assistente, non incapace ma ancòra alle prime armi, che ajutasse il professore nell’esperimento, o, più ancòra, quell’imbastitura, quell’appretto vagamente funerarj, rarefatti, dei più vecchj spot televisivi, in cui magre signorine dall’aspetto affidabile e spaesato mostravano all’occhio di una telecamera miope una scatola di cibo per gatti, o di lucido per le scarpe, o un copritejera in tessuto non tessuto: reggendo l’oggetto per pubblicizzato — anche se avevano l’audio che la nonna, qui, non aveva –, dopo aver proferito tre frasi del tutto anodine nel tempo necessario a scolpirle su una lapide, quelle signorine di norma tacevano a lungo, o a lunghissimo, con un interminabile sorriso fisso ed ebete stampato sulle facce cavalline, evidentemente perché a quel tempo ancòra non ci si rendeva ben conto che c’era qualcuno, dall’altro capo del tubo catodico, che vedeva e si rompeva maestosamente l’anima.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

705. 30.

18 Dic

(30). Né l’assenza di una qualsiasi spiega introduttiva, né il silenzio di Josiah van Barnavelt adesso che sullo schermo — uno di quegli schermi di plastica che si srotolano — scorrevano solo fotogrammi fatti di luce macchiata di nero –, interrotto da un assorto «That’s all folks», sottovoce, facevano per la verità supporre che Suo padre avrebbe risposto men che evasivamente, men che meno si può dire invitassero a fare domande, ma in fondo chiedendo non faceva nulla di male, e infatti lo chiese, che cosa fosse quella scatoletta nera in mano alla nonna; ma la risposta (che si trattava di una cosa appartenente alla nonna, che in quell’occasione le era stata
restituita) non fu soddisfacente, perché non diceva nulla che spiegasse la singolarità, se non la stranezza, della scena in sé e per sé: passata una breve sequenza di schermo nero, la nonna appariva d’improvviso, il bel volto di ex-danzatrice che spiccava bianco, e sormontato dalla bianca crocchia voluminosa dei capelli, sopra il velluto nero del vestito severo, e contro la parete dello studio di papà, una parete interamente tappezzata di libri, disposti in modo, diverso rispetto al momento attuale, e sicuramente non tutti gli stessi (cadendo via via in obsolescenza) che adesso facevano mostra di sé sulla parete della casa che entro la fine dell’inverno corrente avreste lasciato: Le parve che la stanza, che di norma era nel caos, e che non era una delle stanze che i Suoi avrebbero mai pensato di far visitare un ospite, fosse pure un intimo, fosse stata messa in ordine (e in fondo Le pareva di poter ricordare una cosa del genere) in via del tutto eccezionale, non perché il filmato comprendesse altre immagini della stanza — di fatto la telecamera era stata fissata su un treppiede, e guardava solo la nonna davanti alla libreria, e nient’altro salvo appunto papà quando entrava nell’inquadratura, prima colla mano, poi col braccio, indi colla faccia, per porgere alla nonna quel nero oggetto non identificato –, ma perché il dorso del Merck’s Index, che di regola non lasciava mai la scrivania, s’intravedeva in alto, a destra, poco sopra la testa della nonna, e la parete di dorsi multicolori si mostrava compattamente senza buchi, quando, che Lei ricordasse, quella stessa parete era di norma crivellata da assenze, e decine di volumi di svariatissimo formato erano stabilmente fuori posto, sparsi per la stanza, spesso aperti ovvero con biette, blocchi d’appunti, riviste e volumi più sottili posti tra le pagine a far da segnalibro.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

704. 29.

18 Dic

(29). Le immagini, come le precedenti non accompagnate da audio, erano, ho detto, incomparabilmente più ferme e meglio definite di quelle degli altri due, ma appunto la cassetta che la nonna prendeva tra le mani, nero su nero, eccettuato il bianco delle nervose dita, leggermente deformate, della nonna, non si vedeva affatto bene; e a Lei, che era rimasto un po’ tediato — benché non lo desse a vedere, ci sarebbe mancato — dalle immagini finora viste scorrere, che salvo i soggetti, non si differenziavano minimamente da qualunque altro filmato casereccio mai girato a quello scopo di souvenir e di tortura domestica, sarebbe piaciuto vedere meglio proprio quell’oggetto, quel portagioje, o scrigno, o scatolino, o qualunque fossesi altro tipo di contenitore, in primo luogo perché, ed era una cosa assai curiosa, era coprotagonista accanto alla nonna di queste immagini, una videoregistrazione di non più di un minuto; in secondo luogo, perché la scatoletta, che poi pareva uno di quegli astuccj cinesi chiuso uno dentro l’altro dal più grande al più piccolo, non nella forma forse quanto nel materiale, quasi patentemente legno laccato, nero e lucido, recava sul coperchio, che forse aveva una chiusura a scatto (Le pareva che nel passaggio alle mani di Josiah van Barnavelt a quelle di Edgarda Cheevey [lento quel tanto che bastava a far capire che gli attori erano consapevoli di dover muoversi in favor di telecamera, con Josiah van Barnavelt che nel lasciare lo scrigno alle mani della suocera si voltava verso l’obiettivo e sorrideva, ma anche quell’espressione aveva qualcosa di strano, di tirato, se non di falso] si fosse intravista una cerniera, sul lato), alcunché di figurato, vuoi un’immagine dipinta, vuoi uno stemma, o un simbolo, o una greca o motivo ornamentale: non si capiva, non si scorgeva altro se non una macchia di colore, nelle immagini in movimento nella penombra dell’autorimessa, dove papà aveva attenuato la luce esterna abbassando quasi interamente la serranda a ghigliottina, sicché adesso l’Encyclopaedia Harmonica era confusa in un biancore indistinto e l’in via di preparazione ultima casetta per l’albero era una macchia scura non identificabile in un angolo, ma a differenza degli oggetti circostanti non c’era modo di illuminarla meglio, quell’immagine, e di vederla più nel particolare — non sarebbe mai stato tanto rozzo da dichiarare che la nonna Le interessava molto meno della cassetta che la stessa reggeva tra le mani in quei pochi fotogrammi, nemmeno a Sé stesso (anche se avrebbe potuto giustificarSi, attenuando la brutalità dell’affermazione col dire che tra breve la nonna sarebbe stata lì, in carne & ossa), ma la nonna non destava in Lei alcuna curiosità, ovviamente, mentre mentre la misteriosa cassettina sì; e, in generale, il fatto che Suo padre avesse voluto dedicare un filmato, per quanto breve, a quell’informale e insieme, a modo suo, solenne cerimonia della consegna.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

703. 28.

18 Dic

(28). Lei aveva visto forse quattro volte e l’una e l’altra, in tutta la sua vita, finora; dalle ultime volte che le aveva viste, non se le sarebbe pi ricordate tanto bene se non ci fossero stati alcuni filmati girati da Josiah van Barnavelt in quelle precedenti occasioni, a rinfrescarLe la memoria: papà, appunto, aveva voluto projettarli due giorni prima dell’arrivo della nonna, e forse della zia (posto che riuscisse, perché al momento era impiccata, era reduce dall’Estremo oriente e aveva gli uomini in casa, dovevano finire di rifare un impiantito e un parquet a lisca di pesce, avevano fatto un lavoro, riferisco, di stramerda ed erano indietro da maledetto), proprio per prepararLa al nuovo incontro, in specie con la nonna – la nonna non era solo in genere più disponibile, e quindi anche a farsi filmare, ma era anche considerata più importante della zia, che era strana e rompiscatole, motivo per cui i tre filmati che papà Le projettò avevano la sola nonna come protagonista; il primo, il più vecchio, girato nel 1975, mostrava l’immagine sfarfallante e mossa di Edgarda Cheevey, ancòra bella donna (e molto visibilmente più giovane, come avrebbe constatato vedendola), mentre La teneva delicatamente in braccio, nell’appartamento newyorkese in cui la Sua famiglia aveva abitato in precedenza, una sequenza piuttosto nojosa, lunga una decina di minuti, alla quale un Suo imprevisto caccone conferiva una modesta capacità di divertimento, con tutte le smorfie che faceva la signora Cheevey che non sapeva se continuare a tenerLa in braccio, appoggiarLa da qualche parte o mollarLa direttamente a pavimento; il secondo filmato si rifaceva ad un’epoca in cui Lei aveva già qualche ricordo, una vacanza alla casetta di Malibu, un posto che Ella già allora non poteva soffrire per una serie di confusi motivi, vacanza durante la quale la nonna, già sfidando qualche acciacco (si era al 1978) e fors’anche un po’ sofferente, aveva affrontato un lungo viaggio in aereo per venire a scaldarsi al sole della California – il viaggio l’aveva però talmente affaticata che qualunque vantaggio si ripromettesse era già sostanzialmente compromesso in partenza, ma fu olimpicamente serena, bianca e affabile, il più delle volte seduta sulla sedia di vimini della veranda a causa delle gambe gonfie, per tutto il tempo: la gran parte delle immagini la mostrava infatti, col suo sorriso dolce e gentile, appunto su quella sedia, altrimenti mentre camminava lentamente sulla spiaggia, riparata da un gigantesco cappello di lino bianco e col supporto di una canna dal manico argentato, sennò a tavola, mentre conversava coi parenti, sempre sorridente, e sotto sotto sottilmente infelice; il terzo spezzone filmato, dalla definizione incomparabilmente migliore dei due precedenti, risaliva al 1980, quando Lei aveva sei anni, e mostrava la nonna, diafana ed elegantissima, avvolta nel velluto nero, nella casa che la Sua famiglia attualmente occupava, mentre riceveva dalle mani di Josiah van Barnavelt una cassettina il cui colore nero facilmente si confondeva con quello del vestito della nonna nel momento in cui quest’ultima, afferratala delicatamente, la traeva a sé e quasi, sì, pareva stringerla al seno, come una cosa gelosa.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

702. 27.

18 Dic

(27). Nell’inverno del 1988 a casa Sua furono ospiti due anziane parenti, la nonna, Edgarda Cheevey, madre di Sua madre Norma, e la di lei sorella, la prozia Alinda: due parenti che Lei, per varj motivi soprattutto inerenti alle difficoltà di spostamento della prima – malata alle gambe da ormai molti anni – e ai continui viaggj a cui la seconda, più in gamba di salute anche se non più giovane, non aveva tuttora la minima intenzione di rinunciare; notazioni, queste, insufficienti a lumeggiare, certo, le personalità dell’una e dell’altra come si converrebbe, ma bastanti a rilevarne le reciproche differenze di carattere: nonna Edgarda pareva infatti il ritratto in vecchio di mamma van Barnavelt, era una signora – cioè – alta, ossuta, dal carattere dolce solo occasionalmente soggetto a qualche tratto imperioso, la zia Alinda invece era piuttosto bassa che alta di statura, aveva tratti somatici singolarmente marcati e aguzzi per essere della famiglia, ed era detentrice irredenta di un carattere discretamente pestilenziale: ironica, sarcastica, a tratti sferzante, piena di curiosità e di molte letture, non aveva mai trovato un uomo all’altezza, e dopo una serie di convivenze sciagurate s’era ritrovata sola, senza figlj, e più felice d’esser sola e senza figlj che sposata per la vita a uno stronzo (definizione che, a rigor di termini, non si attagliava a nessuno dei suoi ex-compagni, ma Lei ricorderà quale speciale connotazione desse zia Alinda a questa parola), e con figlj magari somiglianti a lui; l’una, insomma, donna anticonformista, intelligente e capace ma in genere, anche esulando dai rapporti con l’altro sesso, poco propensa ai rapporti umani approfonditi, piuttosto schiva, solitaria e distante anche coi parenti; l’altra una brava madre di famiglia, ex-brava moglie (il marito, gen. Cheevey, dell’Esercito americano, nell’ ’88 era morto da vent’anni, e Lei non aveva fatto in tempo a conoscerlo), una brava (ex-, anche, volendo, ora che Norma e Philip erano più che cresciuti), una brava parente, una brava vicina di casa, un a brava parrocchiana, a suo tempo una brava figlia e una brava fidanzata; una brava cittadina, una brava persone, verosimilmente una brava nonna, sol che avesse modo di dimostrarlo (inviava sempre dolci e regali, per natale e le altre feste occasioni di scambj di dolci e regali; la zia Alinda invece [testualmente] non mandava mai un cazzo), ma, tirando le fila, di quelle persone, perlopiù donne, che di per sé non sono sostanzialmente niente, e non sussistono e non consistono (eccetto che nei meri termini della legge d’incompenetrabilità dei solidi) se non in funzione di qualcun altro, e di qualcos’altro.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

701. 26.

18 Dic

(26). E io mi chiedo se non sarebbe stato meglio, in effetti, così: posto difatti che ne avesse l’ambizione, la capacità di attingere risultati non per tutti conseguibili non mancavano; non mancava nemmeno la solidità psicologica, il metodo, la disciplina, come non mancava il sostegno, indispensabile specialmente in una fase iniziale, della famiglia, ossia di un padre e di una madre affettuosi, solidi, bennati e ancor giovani; sarebbe stato un tradizionalista dalle vedute aperte, e forse le Sue attuali escursioni in campi non direttamente attinenti alle materie scolastiche Le avrebbero garantito la conversazione affascinante di qualche erudito un po’ strambo e nulla più — posto che non fossero ampliamenti & approfondimenti di qualcosa che c’entrava, per quanto latamente, con la scuola, nel qual caso avrebbe dato semplicemente più filo da torcere ai Suoi competitori, e null’altro: e i Suoi genitori, augurandosi che così stessero le cose, comunque paghi del fatto che le Sue applicazioni extra-vaganti non fossero d’intralcio alle Sue normali doverose attività, furono ben contenti di non dover interferire con qualche correzione o mezzo dissuasorio qualunque fossesi; sicché, quando tutta questa sotterranea tellurie, questo sobbollire inquieto d’implicazioni eterodosse, con tutto il loro portato di devianza, uscirono come di latenza, poiché la pressione interna era evidentemente arrivata oltre il livello di guardia, quando insomma si produsse la grande esplosione –immagine che non rende molto l’idea, perché nel Suo caso tutto ciò si produsse in modo abbastanza graduale; ma poiché i primi effetti passarono inosservati, o furono semplicemente male interpretati o sottovalutati, sicché l’impressione che s’ingenerò fu quella appunto di un impazzimento del tutto intempestivo, subitaneo, non annunciato: manifestandosi quindi in diverse forme, tutte inconciliabili con il carattere della Sua formazione, e, per Sua stessa dichiarazione, con le persone che fino a quel momento Le erano state accanto, e Le avevano voluto e Le volevano e Le avevano dimostrato e Le dimostravano affetto: ma a questo momento drammatico di distacco e come di ripudio di tutto quello che era stato, a quest’altezza cronologica, mancano ancòra diversi anni — anni cruciali, segnati dall’impressionante crescendo del Suo sfaglio dalla norma, e dal tradimento sostanziale di tutta la Sua vita precedente.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

700. 25.

18 Dic

(25). C’erano delle stravaganze, insomma: ma nulla di moralmente riprovevole, nulla d’irregolare o spiacevole alla vista, all’udito, o all’odorato; non erano note tendenze omoerotiche, nulla faceva supporre inclinazioni feticiste, sadomasochiste, pedofile, zoofile, necrofile; non aveva nessun interesse collezionistico inquietante (ossa, strumenti di tortura sessuale, reliquie del Terzo Reich, animali imbalsamati), non mostrava segni di degenerazione ideologico-politica, non predicava la superiorità della razza ariana, non propugnava il libero amore, non sembrava marxista, non era cattolico, non era all’evidenza un anarchico; Si lavava regolarmente e con altrettanta regolarità Si cambiava i vestìti; era seguìto da un dentista da cui andava una volta ogni quattro mesi a fare la pulizia dei denti, e non aveva carie; non aveva malattie della pelle, il Suo equilibrio ormonale era notevolmente stabile per l’età, la Sua traspirazione adattissima a un giovane gentiluomo; il primo accenno di acne era stato stroncato grazie all’intervento del medico; non si mangiava le unghie, non si grattava il cavo delle ascelle, non sembrava altro che un ragazzo normale e in ottima salute, difficile da mettere in imbarazzo, riservato più che chiuso, mai visto arrossire, dall’aria seria e gentile, non troppo sollecito e non inerte: si percepiva una cert’ansia di arrivare da qualche parte, questo è vero, ma solo da parte di chi La conosceva veramente bene, a partire dai Suoi genitori innanzitutto, ma quella era naturale impulso a farsi valere in qualche modo, e Lei era in grado di farSi valere, senza dover abbassarsi a sgomitare, semplicemente proseguendo per la propria strada: era un ragazzo virtuoso, da cui ci si poteva aspettare qualche scapataggine ma nessun colpo di testa, nessuna deviazione sostanziale da un percorso del tutto prevedibile, che dall’istruzione superiore a suo tempo L’avrebbe portata ad una carriera di soddisfazioni proporzionali all’impegno profuso, a un matrimonio condecente, ad avere figlj e a compiere ogni legittimo voto dei Suoi genitori, che non Le avevano fatto mai mancare nulla, e sarebbero stati ripagati con gl’interessi dal Suo successo; avrebbe educato i Suoi figlj e avrebbe amato Sua moglie; sarebbe ivecchiato, bene e il più tardi possibile, e avrebbe raggiunto i gradi più alti della Sua professione, qualche Presidenza, qualche Dirigenza; avrebbe potuto aspirare anche al primo nel campo scelto, sol che ne avesse avuto l’ambizione, e avrebbe costituito un grande esempio per i Suoi figlj, per i sottoposti, per i competitori.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

699. 24.

18 Dic

(24). C’erano, & è vero, delle stravaganze; ma Ella le teneva per sé, in primis, senza nasconderle e senza farne pompa, ma, come concetti e nozioni che non hanno luogo nella normale conversazione, senza forzare la mano affinché trasparissero in alcun modo; alla fine dei conti nessuno era in grado di valutare la natura, la vastità e la profondità dei Suoi interessi, essendo che nessuno nel Suo ambiente ne coltivava di simili: ciò da una parte Le consentiva di progseguire indisturbato nei Suoi studj a latere di quelli regolari e di dovere, ma avrebbe potuto destare, e forse in qualche caso destò, perplessità il fatto che, benché Le mancassero completamente scambj con chiunque in merito, il Suo interesse per queste complesse e torbide materie non diminuisse, stando almeno al continuo accumularsi di volumi dalle intitolazioni peregrine, delle dispense polverose e degli ammennicoli dall’incerto impiego, beute, sestanti, boccette dal contenuto imprecisabile anche per le assai più pratiche competenze di Josiah van Barnavelt, tavole con sopravi disegni simili a pentacoli, strumenti identificabili come misuratori (ma chi avrebbe potuto dire di che cosa, tra Suo padre e Sua madre?), panoplia di discipline remote dagli scaffali più frequentati della biblioteca delle scienze, di per sé suggestiva e un po’ inquietante, ma priva almeno di quei pezzi da collezione che, magari unitamente all’adesione a qualche moda vagamente necrofila, avrebbero saputo identificare le Sue passioni come romantiche cialtronerie, se non come accessi morbosi e perversi: quando, naturalmente, tra i componenti al paragone tutto sommato anodini, e fino a prova contraria del tutto scientifici, del Suo composito strumentario avessero fatto capolino ghigliottine in miniatura, mani-di-gloria, zampe di scimmia, scheletri, portapenne in forma di sarcofago, paralumi in forma di teschio, olisbi chiodati, videocassette con snuff-movies, armi da taglio, pornografia s/m, cylum, polveri aromatiche e dagli effetti riprovevoli, fruste & cilizj, bottiglie di alcoolici, preservatìvi, album di gruppi dark, non sussiste dubbio che i signori van Barnavelt avrebbero saputo ricondurLa con ferma sollecitudine ed amorevole rigore alla ragione, a costo di sbattere ogni cosa nell’inceneritore; ma non ce n’era motivo, perché la sua stanza conteneva, è vero, molto di più di quanto normalmente ci si aspetta di trovare nella cameretta di un adolescente, ma quell’in più non comprendeva nulla di malsano, maleodorante, illegale o pericoloso; e, nei limiti del possibile per un adolescente normale, la stanza era pure ordinata.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

698. 23.

18 Dic

(23). C’erano, è vero, delle stravaganze; ma non era nulla di sconveniente per sé, tanto per cominciare, quali sarebbero potute essere, poniamo, anomalie fisiche, cioncature, sproporzioni, spariglj di spalle o di gambe, o anche solo sgraziatezze e disarmonie, come la bocca troppo grossa, il naso eccessivamente saliente, gli occhj a palla, le sopracciglia folte, spettinate e saldate insieme, o i capelli impettinabili; anzi, per quanto riguarda il fenotipico, Ella appariva come il risultato anche un po’ prevedibile di una selezione genetica assennata e conformista, come i Suoi modi in genere e il Suo generale tenore di vita: senza eccessi, anche in questo, né quell’apparenza o languida o macilenta o vagamente ascetica facilmente ricscontrabile nei giovani troppo dotati in qualcosa molto spesso a scapito di tutto il resto; non pallido, non smunto, non gracile, dal gestire privo di quegli sgradevoli ticchj maniacali sovente osservabili nei ragazzi cerebrali, quali lo strabuzzamento degli occhj, la torsione compulsiva del collo, gli scatti ossessivi delle giunture, le mani e i piedi in perpetuo movimento; e nemmeno quegl’inconvenienti fisici che si accompagnano a un’attività troppo specializzatamente intellettuale, quali gonfiezza di stomaco, gravezza di capo, pigrizia intestinale, fiacchezza delle membra, dolori di schiena; nulla di tutto questo La toccava, dato che la Sua attività non si restringeva ad un campo solo ma si estendeva a tutte le discipline alle quali volgono la sollecitudine dei più anziani e il dovere: non sembrava che la biologia molecolare o l’acustica Le levassero i sonni al punto di trasformarLa in un fantasma farfugliante formule e tabelle; come non era tanto assorbito dall’esercizio fisico che l’esercizio della mente ne fosse ostacolato, così la Sua inclinazione verso le più astruse materie, anche se a vederLa mentre volgeva pagine zeppe di cifre e parole incomprensibili pareva di scorgerLe sempre in volto una scontentezza così profonda da far temere sempre d’essere sul punto d’alienarsi completamente, non sembrava alla fin dei conti rubarLe il tempo indispensabile alla coltivazione delle amicizie, ai normali divertimenti della sua età, agli amoretti senza impegno e senza conseguenze — e una certa tepidezza nei Suoi rapporti col mondo, nonché l’assenza di qualunque volontà di apparire, unitamente ai caratteri di quella che si definisce una personalità completa, non dando appiglio per poterLa definire più in un senso che in un altro, facevano di Lei un perfetto piccolo ometto senza qualità.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

697. 22.

18 Dic

(22). C’era, è vero, delle stravaganze; come per esempio quella specie di codice Dewey che occupava invariantemente, nonostante le tante variabili, praticamente il 90% delle pareti dell’autorimessa, senza che si fosse ancòra potuto indurre Quintiliano a toglierne almeno le parti più logore; c’erano le sue manie linguistiche, indubbio segno di vivacità intellettuale e presagio di un futuro in quel campo o contigui, ma di per sé inquietanti; c’erano i libri che leggeva normalmente, trattati tediosissimi, alcuni in lingue straniere, cose di livello universitario nei migliori dei casi, o stranezze da anfiteatro delle scienze morte, incomprensibili sin dai titoli, Acrotismus si annunciava uno, Progymnasmi un altro, e poi Metametrica, Grammatica transcendentalis, una grammatica evidentemente di tipo più che superiore, quasi sempre in latino, perché il ragazzo leggeva il latino nel testo e poteva accedere ai polverosissimi scaffali delle parti più trasandate dello scibile, e poi testi di scienze varie, e matematica, anch’essa “superiore”, che davano da pensare che tra grammatica, fisica, biologia, studj sulla densità della terra, microbiologia, acustica, linguistica storia, informatica e quant’altro, il ragazzo stesse mordendo infelicemente il freno per crescere a tutti i costi oltre i limiti imposti dalla sua età e dal numero d’informazioni che secondo ragione poteva aver assorbito fino a quel momento, per quanto brillante e mentalmente ricettivo; nel caso in cui quella mania, per il momento innocua, di pervenire a gradi di conoscenza proibitìvi avesse dato i minimi segni di squilibramento e disarmonizzazione di un’organatura finora rivelatasi tanto ben proporzionata, efficiente e completa, i coniugi van Barnavelt avrebbero saputo sicuramente intervenire con dolce fermezza, distraendolo da occupazioni a quel punto della crescita perniciose, all’occorrenza sottraendogli  i volumi e inchiavardandoli in cantina: ma per quanto forte paresse l’attaccamento di Quintiliano appena tredicenne a quelle scritture, e per quanto esse apparissero — qualunque cosa fossero, di qualunque cosa trattassero — inadatte ad un ragazzo di quell’età, Quintiliano non dava alcun segno di esserne in qualunque modo o misura turbato o stravolto: la sua vita proseguiva tranquilla, sennata, conformista, serena, senza sbalzi né lacune: nel ragazzo la melancolia era evidentemente ingenita, ma non irta e spiacevole, era abbastanza popolare e molto rispettato per i risultati scolastici e diportivi.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

696. 21.

18 Dic

(21). Correva dunque il 1987; Ella in quel periodo (aveva, ricordiamo, 13 anni), lasciate le scuole primarie frequentava il primo anno del liceo: il riconoscimento dei docenti alle Sue belle capacità si concretava in bei voti, a cui facevano riscontro i risultati non meno esaltanti nelle attività ginniche e diportive che, specialmente ora, praticava con tanta apparente passione e con proporzionali esiti anche in senso agonistico: e i Suoi genitori, sig.ri van Barnavelt, non potevano non considerarsi fortunati avendo un figliolo che, senza necessità di troppi incoraggiamenti, coercizioni non se ne parli nemmeno, si dimostrava capace non solo di snocciolare senza impaperarsi tutti gli articoli della Costituzione, tutta la teoria dei Presidenti degli Stati Uniti, tutta la sequenza degl’Imperatori romani, ma anche di portare a casa da trionfatore la coppa di tolla dorata spettante alla squadra I classificata nel torneo di pallanuoto (la vittoria era stata quasi tutta merito Suo), e la medaglia per il I arrivato all’annuale Corsa su Terreni Argillosi; un ragazzo esemplare, per il cui sapere i registri scolastici si smascellavano in A stuporosi, che frequentava ogni tre mesi una brava ragazzina diversa; un ragazzo normale, che di tanto in tanto usciva con pochi ma fidàti amici, aveva messo via saviamente i risparmj per comprarsi le Adidas, riconosceva senza sforzo le canzoni di Madonna e degli U2 quanto le passavano per radio, e, ciò ch’era più importante, senza scambiarli gli uni per l’altra o viceversa, e all’ultima recita scolastica aveva declamato la parte del padre, con tanto di barba bianca, in She Stoops to Conquer con accento chiaro e scandito; un ragazzo leale e cavalleresco, che difendendo una ragazza importunata da un bullo s’era buscato uno sganassone in un occhio ma ne aveva mollti tre, stendendo il competitore a pavimento; un ragazzo coscienzioso, che alla faccia della superficialità ormai dilagante, insensibile ai richiami illecebrosi e alle bellette infide di una società edonista, brilluccicante e pervertita, non aveva negato una firma di sostegno ad un Comitato antirazzista della sua classe (sciolto l’anno seguente per sopravvenuta mancanza di coloured da difendere) e aveva acconsentito a sostituire per ben due turni alla casa di riposo Petunia’s l’amico infortunato Jerrold Fletcher, molto impegnato nel volontariato a livello di parrocchia; un ragazzo sagace, che aveva riconosciuto dei truffatori in due fantomatici addetti al controllo del contatore gas, sgominandoli con la semplice minaccia di una denuncia alla società; un ragazzo giudizioso, maturo, responsabile, cortese, affidabile, dalle maniere inappuntabili e dalle frequentazioni irreprensibili: un ragazzo di che andare orgogliosi.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

695. 20.

18 Dic

(20). Notavo quanto sia peculiare il Suo rapporto con la poesia, o furibonda pratica versificatoria, proprio perché, quasi ilaremente, stavo poc’anzi chiedendomi quale sarebbe l’effetto che la lettura di queste pagine potrebbe avere sull’ingenuo lettore, una persona che non conoscesse né me né Lei e si trovasse di fronte a tante promesse di soluzione circa basilari questioni identitario-esistenziali (ma si potrà dir così? L’obsolescenza delle espressioni per me più congeniali mi pone sovente di fronte a scelte nomenclatorie stridenti, e probabilmente anche gosse, data la mia pronunciata ignoranza in merito a qualunque terminologia esuli dal consueto formulario legale) mescolate a tante osservazioni in materia di poetica, & specialmente in merito alla Sua propria poetica: per quell’ingenuo lettore — ed è scaramanzia, da parte mia, poiché auspico anzi che queste gelose privatissime carte non siano sottoposte ad alcun occhio estraneo; & a questo proposito è certamente inutile che io Le faccia presente che quanto qui Le scrivo deve rimanere tra me e Lei, ed essere calato appena letto nella muta tomba della Sua riservatezza — dovrei indugiare in spieghe, e precisare la natura, rarissima o unica, del nostro caso: e specificare che in questo, cioè il Suo, Quintiliano, la vocazione è stata segno dell’insorgere di un’altra recondita inclinazione; che la Sua produzione di versi, questa selva foltissima di letterati componimenti, quest’Africa lussureggiante di metriche fioriture, quest’Asia molle di ritmi complicàti, questo mondo intricato di prosodiche prodezze, oltre al valore intriseco, che Le amicherà certamente gl’intendenti, che per speciale crudeltà dei tempi sono oggimai sventuratamente pochi, furono per lei in realtà il vagito di continenti e mondi nuovi, l’incubazione, lenta ma inarrestabile, di un’altra inclinazione, alla quale fa ultimo s’è tuttavia accompagnata, compenetrandosene e compenetrandola, e creando un’unione stravagante, forse più bella di quanto sarebbe stato quando la Sua natura fosse stata sin dall’inizio libera di esprimersi, sicuramente bizzarra e difficile da portare con sé in mezzo agli uomini (un caso al Suo abbastanza simile, ma per altre cause, che riguardano il triste andamento delle cose da questa sponda dell’Oceano, mi è noto, ma non ci riguarda direttamente, e dunque non ne parlerò), causa evidente del suo crescente isolamento — lo stesso isolamento che questa mia, ora, si proporrebbe alla fine di spezzare.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

694. 19.

18 Dic

(19).All’assenza di Suoi scritti s’è aggiunta anche la Sua crescente selvatichezza,m che almeno per il corso degli ultimi tre anni L’havisto praticamente sequestrato dalle genti, peraltro a menar vita privba di eventi di rilievo esteriore — anche se il dubbio che a dare questa impressione sia stata più la Sua solerzia a non lasciar tracce di Sé, piuttosto che un tenore di vita molto lontano dagli eccessi della Sua irrequietissima gioventù, sussiste sempre; posto che veramente da ultimo nella Sua vita non sia successo nulla di che, ciò che quantomeno implica una notevole riduzione dei rischj, questo lungo silenzio, interrotto da poche e non esaurienti notizie di quando in quando, ha ingenerato in quelle due Persone quanto in me personalmente uno stato, non dirò di preallarme, ma di costante apprensione, passando noi anche un anno senza sapere quale fosse la Sua esatta ubicazione, in quale di due o tre abitazioni Ella passasse la maggioranza del tempo, se non si poteva, e non si può, dire che abitasse, se fosse in viaggio, se abbia trascorso periodi di malattia — quanto lunghi periodi e quanto grave malattia era impossibile per noi, & è impossibile per me, a sapersi, nel caso, né se con Lei vi fosse alcuno in grado di sovvenirLa o di vegliare su Lei; non sapevamo sostanzialmente più nulla, né delle Sue abitudini, né della Sua situazione lavorativa — con il Suo stravagante curriculum poteva essere andato, per quanto potevamo saperne noi, tanto a spaccar pietre in una cava quanto a dirigere la Gazzetta di Sonoma County –, né se avesse trovato finalmente una compagnia fissa (vede bene che, molto discretamente, ho posto una “i” tra la u e la a), dopo tanto peregrinare, peritarsi e periclitare, se abbia data (e mi permetta, dato che, almeno a mio paragone, è ancòra giovinotto, che Le dica che sarebbe anche ora), insomma, una qualche, una qualunque, direzione alla Sua tanto tormentata vita: mi duole anzi farGliene menzione proprio qui, e così inopinatamente, ma Glielo dico così come mi vien dal cuore: le due Persone per conto delle quali sono stato per tanti anni sulle Sue tracce sono venute a mancare — in circostanze peraltro piuttosto dolorose — senza sapere se e in quale porto la Sua nave si fosse finalmente decisa ad attraccare; ma, come l’ho detto, ritiro tutto, perché a questo punto Lei non sa ancòra nulla delle molte cose che serviranno a capire che cosa implichi questa perdita, questa mancanza, e non per lei solo! — e ripromettendomi di tornare sul fatto a suo tempo, riprendo il nostro consuntivo degli anni scorsi, gli anni su cui più copiosa e certa è la mia informazione sul Suo conto.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

693. 18.

18 Dic

(18). Non mi è noto, o almeno non ricordo, altri, se non qualche personaggio, e non certo dei più oscuri, di un remoto passato, in cui una spiccata inclinazione a lasciare orma profonda del proprio passaggio in Pindo fosse tanto strettamente legata alle vicende che sogliono definirsi esistenziali, ma non nel senso comune — senso nel quale sono invece molte le personalità, anche delle meno illustri e memorande, che si possono recare ad esempio — della poesia che prende dalla vita, ossia dalle occasioni in sé e non da alcun simbolo che da tante occasioni si possa elaborare e trarre; ma nel senso inverso, tale per cui è la poesia che dà senso alla vita, illuminandola o quantomeno portando vicino ad una verità; in fondo è un erroire di prospettiva, perché di fatto anche in Lei la poesia conseguiva, com’è solo verificabile, alla vita, ma non a quella vita che si ritrovava a vivere, quanto a quella vita che avrebbe dovuto vivere se qualcosa non fosse intervenuto a spezzare il legame tra la Sua condizione e il Suo destino: comunque fosse, già solo questo ripetuto tentativo di crescita in una direzione apparentemente diversa rispetto a quella normalmente prevedibile sarebbe bastato come motivo d’interesse per più d’uno, se non di curiosità, e anche del tipo più deprecabile, solo che Lei, essendo ben calato nei Suoi proprj panni in primis, secundumque essendo come già detto intelligente, lo sapeva bene, tanto che da un certo momento in poi, se non pensò mai veramente a diradare fino al totale abbandono l’esercizio della penna, tralasciò decisamente qualunque velleità di pubblicazione, ciò che, stando alle apparenze, non dovette costarLe poi molto sforzo, ma soprattutto cominciò a prestare attenzione particolarissima a non lasciare traccia di Sé da nessuna parte — proprio Lei, che fino a non molti anni fa abbandonava senz’alcun rimpianto fino a migliaja di quaderni, quinterni, cartucce, stracciafoglj, scartocchiature e scartafaccj nervosamente compilati praticamente in qualunque luogo si ritrovasse ad occupare per un periodo di tempo superiore alla settimana; sicché, oltre al dispiacere di poterLa leggere molto meno e, anche in quei casi, alla disperata fatìca di decifrazione dei Suoi sempre meno comprensibili geroglifici, per quanto riguarda gli ultimi anni è stato lamentabile anche un certo vuoto d’informazione, che qualche scarso relitto rimasto a galleggiare sulle acque morte d’un oceano d’oblivione non poteva certo bastare a colmare.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

692. 17.

18 Dic

(17). Se mi mostro, e mi mostrerò, così incline a dar voce ai Suoi pensieri, e quasi a riportarli divinandoli, non è né folle profetismo al contrario, né vezzo manieroso, né amore del teatro: gli è che chi Le scrive, sapendo per certo quello che per Lei è solo l’ombra, per quanto lunga persistente oscura, di un semplice sospetto, e cioè che avendo la piena e dimostrabile nozione che sì, effettivamente tutta la Sua vita è trascorso finora nel segno d’una fatale menzogna, e che quella falsatura originaria l’ha tutta svisata, in modo più o meno avvertibile, chi Le scrive — dico — sa, esattamente e quasi fosse stato materialmente spettatore e testimone di vista, quali fossero i Suoi sentimenti in special modo in quei momenti di angoscia acuta, insopportabile, in cui una forza misteriosa, una lama di luce chissà donde projettata veniva a portarLa il più vicino possibile alla verità dei fatti: la testimonianza di qualche persona presente, che a distanza di tempo ha acconsentito a darmi ragguaglio dell’accaduto, le tracce talora eloquenti, nonostante in genere un sì chiuso operare, da Lei lasciate in qualche scritto proveniente (in modo spesso faticoso, talora fortunoso), da ultimo la mia stessa immaginazione mi hanno come creato dinanzi agli occhj la scena, dandomi l’illusione dell’esperienza diretta, e forse inducendomi — ma anzi, perché no?, di sicuro! — a qualche appulcramento; sicché tutto qwuanto di Lei Le dirò, e a dimostrazione della mia conoscenza dei fatti che La riguardano, e allo scopo di verificare la fondatezza dei Suoi stessi sospetti, sarà come un ripercorrere la Sua stessa vita per quadri successìvi, tanto vividi quanto, lo metto in preventivo, falsi nelle tinte: cosicché Ella Si vedrà rivelata col falso una verità; e la verità dei fatti, una volta da me falsata, svelerà al fondo la propria falsità, e un’altra e finora non veduta verità (così, qualche volta, il falso serve al vero, specialmente quando il vero si rivela di fatto falso): resti al Suo discernimento, e alla Sua memoria, il còmpito di grattare la superficie adulterata delle tinte appulcrative, di levare quel tanto di teatrale e iperfetato che la mia versione presenterà dei fatti, per vizio inevitabile, e, scorzato tutto il falso — un falso tutto dovuto ad un quasi eccesso di buona fede, ad uno sforzo estremo di sollecitudine e protezione nei Suoi riguardi stessi! –, collazionare vero con vero, stabilendo con certi fondàti criterj l’editio princeps del libro della sua vita: come chi sfrondando un romanzo ne traesse soda storiografia — coll’auspicio che le pagine più importanti rimarranno ancòra da scrivere, in un volume secondo.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

691. 16.

18 Dic

(16). Tutto, a suo tempo, sarà spiegato; se Le faccio scontare tutti gl’inconvenienti d’un’esposizione lenta ed esitante, è sia perché la questione è assai complessa, e richiede tutto il ricorso al Suo non scarso comprendonio, che vuol essere pertanto dolcemente sollecitato piuttosto che tutt’in una volta sovraccaricato di notizie, e sia perché so che la veritàm complessa, difficile, implausibile nella sua apparenza, La ripagherà con ricca usura di questi momenti, per quanto lunghi, di contrarietà e sconcerto; non per altri motivi che questi due mi permetto di farLa così lungamente aspettare, pregandoLa di reprimere la premura, di soffocare la fretta, di porre il morso all’impazienza, e di seguire con molta attenzione e calma assaissimo quanto questo vecchio sconosciuto Le verrà a mano a mano svelando: spavento, rabbia, sospetto, tutte queste Furie, cfhe fanno un inferno dell’intelletto in cui s’insediano, siano scacciate dal Teseo coraggioso del Suo bel discernimento, dunque; per parte mia farò ogni violenza alla mia stessa fretta di dir tutto, dopo tanti anni che mi porto questo peso sul cuore, e procurerò di seguire con ogni metodo ogni ordine ogni rigore il mio racconto, proponendomi sin d’ora di seguire una traccia razionale, semplice e piana per quanto si può, nell’esporLe quanto Le compete: poiché sapere, ormai, è Suo pieno diritto, e mio dovere dirLe tutto, anche con ambagi purché senza approssimazioni: partendo proprio dal punto fondamentale, ossia quei tanti momenti della Sua vita in cui Le è parso chiaro che qualche misterioso evento avesse condizionato la Sua esistenza fin dalla nascita, che nulla di quanto Le perteneva fino a quel momento le appartenesse veramente, che il Paese in cui abitava in realtà non fosse il Suo, che le persone che identificava con un padre ed una madre non fossero realmente quelle che sarebbero dovute essere, che la Sua casa non fosse il luogo in cui era stato destinato a vivere, che la lingua che parlava non fosse in realtà quella che avrebbe dovuto parlare, che tutto quanto Le s’andava insegnando non fosse in realtà quello che avrebbe dovuto sapere, che tutto quello che Si vedeva intorno non fosse il luogo al quale avrebbe dovuto appartenere, che alla base, insomma, di tutto quello che era costretto a considerare come il Suo Sé, o il Suo ambiente, il Suo mondo, ci fosse qualche non ancòra scoperta menzogna.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

690. 15.

18 Dic

(15). In ogni caso,io so che Ella è perfettamente in grado d’intendermi, e di seguirmi, anche, nelle involuzioni e nella anfrattuosità più irremeabili: e non perché Ella sia particolarmente paziente, ché, anzi, e questa è la mille e unesima cosa che so di Lei, paziente Lei non è affatto, nonostante sia tanto portato, in apparenza, ad applicarsi a lunghe fatìche mentali e sia sempre stato abile e meticoloso costruttore di macchinismi; ma perché ha un possesso di questo idioma, tanto più povero e semplice del Suo nativo, che la totalità degli stranieri che se ne incapricciano, di quanti a mia conoscenza almeno, troverebbero invidiabile [e anche per questa sua conoscenza c’è un perché; & ci arriveremo], e inoltre è intelligente, molto; d’un’intelligenza portata alla contorsione e alle macchinosità, all’elaborazione e alla complicazione: ciò ch’è strano, in concomitanza con una rara franchezza e un’indomita volontà di arrivare al punto — doti, che sono sia pregj e sia difetti, di rado o mai riscontrabili nella stessa persona senza schizofrenica contraddizione; contraddizioni difficilmente osservabili in una sola indole; contrasto infrequentemente verificabile in una sola anima; è vero: ma, anche, schizofrenia, contraddizione, contrasto, antitesi feconde di conseguenze tanto interessanti e originali!, tanto che mi trovo costretto a confessarLe , probabilmente confermandoLe quello che il Suo cor già s’annunziava, che la mia costante vigilanza sulle Sue vicende degli ultimi sette lustri, nonché dovuta a preciso incarico e debito amicale nei confronti di quelle due per ora a Lei ignote persone cui alludevo qualche riga più sù, è stata dovuta, a mano a mano, anche alla mia personale curiosità, una curiosità che — badi bene, perché tutto sopporterò che Ella metta in dubbio e discussione di chi Le scrive, ma non questo, che esigo che Ella accolga come la più pura delle verità — non era in sé manifestazione morbosa, né mero gusto d’indiscrezione: una vigilanza sollecita, partecipata, oserei dire — quando non temessi in ciò d’offenderLa — affettuosa, poiché il legame tra me e quelle due Persone, e lo ribadisco, era d’amicizia, & affetto, amicizia & affetto che fatalmente dovevano ridondare sulla di Lei figura: quando l’emergere, nella Sua personalità, di caratteri impreveduti, di inclinazioni non credute doversi manifestare mai, destò preoccupazione in quelle due persone, quella preoccupazione divenne anche la mia, e la volontà di dare soddisfazione al loro giusto desiderio di sapere divenne la mia stessa volontà di sapere; volontà che ho tuttora che quelle due persone non sono più — e poi, sa, io non ho figlj.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

689. 14.

18 Dic

(14). Ma giunti a questo punto, io già m’immagino a quale disappunto, se non collero, sarà Ella preso, leggendo tanto particolareggiate, presuntuose ricostruzioni di Suoi pregressi stati d’animo, e vedendoSi scoperta in modo tanto marchiano e indiscreto, e forse del tutto surretizio, la qualità intima dei Suoi pensieri, dei Suoi intenti, dei Suoi dubbj, delle Sue frustrazioni: finora la Sua è infatti una storia di difficoltà non ancòra risolte (e che tali sono rimaste fino al momento di scriverLe, mi permetto di aggiungere già ora), di ostacoli non superati, di nodi non sciolti; ma, non fosse questo, fosse pure una storia di certezze e di trionfi, quale non sarebbe, ugualmente e in ogni caso, la Sua rabbia, nel vederSi notomizzare la sostanza stessa dell’anima, con andamento così fastidiosamente, funerariamente annalistico, e senza nemmeno il bene d’un fatto — essendo che lo spirito e il significato dei fatti conseguono ai fatti e non sono nei fatti stessi — che corrobori e comprovi quanto si va con tanto sprezzata disinvoltura sottoponendoLe, e da parte, e questo con ogni verosimiglianza Le parrà il colmo dell’invadenza, di una persona che Le scrive inopinatamente, da un altro Paese, da un altro Continente, senza né conoscerla né esser da Lei conosciuto: una persona che finora per Lei consiste solo in un nome mai per l’innanzi inteso, seguìto dall’indirizzo in una città che Lei nemmeno conosce se non — forse, ma nemmeno è detto — di nome; una persona che La costringe a ripercorrere questa privata storia d’un’anima fatta d’illazioni e deduzioni in parti uguali, forse forzando il significato d’un’intera esistenza — che a me che sono vecchione pare ancòra brebve, ma che a Lei, forse con più ragione, parrà semplicemente quella d’un uomo fatto, che ha tutto il diritto di starsene per gli affaraccj sua — in questa mia oratio soluta dall’andamento bizzarramente strofico, prolissa e bitorzoluta, diffusa e divagante, senza nerbo né calore, senza franchezza né vigore, inabile a rappresentare in pochi tratti la soda sostanza, procedente per accumulo di parole, in gran parte sicuramente inutili ad aggiungere alcunché alle Sue conoscenze, involuta nelle sue ipotassi fronzute, faticosa nelle sue paratassi ribattute, fiorita e nemmeno troppo precisa, simile a un vetro smerigliato e colorato che un buontempone, o un cretino, si ostinasse a pararLe davanti agli occhj, impedendoLe di veder chiaramente quello che deve vedere: me ne dispiaccio io per primo, mi creda, ma anche per questo mio curioso modo d’espressione c’è un motivo, e Glielo spiegherò volentieri a suo tempo.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

688. 13.

18 Dic

(13). Sopraggiunse come in un lampo il 1986, le nuove applicazioni in campo ginnico implicarono per Lei, com’era ovvio e in fondo previsto, frequentazioni volgarissime, con le quali sarebbe stato totalmente impossibile, quando pure ce ne fosse stata la tentazione, intavolare qualunque discussione in materia di metametrica, quasar o dubbj esistenziali: a Lei non occorreva, assolutamente, trovare interlocutori all’altezza: perché sapeva che cosa ne sarebbe venuto fuori, e sarebbe stata una jattura sentirsi ripetere la descrizione dell’incubo che Le sembrava di vivere, poiché Le avrebbe confermato che non d’incubo si trattava ma di realtà; e Lei voleva, fin dove poteva e quanto più a luingo possibile, conservare l’illusione che le verità che era giunto tanto anzitempo a toccare fossero una bizzarria della Sua mente, o il risultato di un punto di vista del tutto singolare, scentrato rispoetto alla visuale che di norma hanno le persone: il concetto dell’esistenza che era andato maturando, ne era praticamente sicuro, e sicuro voleva essere, era quello che poteva ricavare dall’essersi scelto una specola di tipo tutt’affatto particolare, una scelta di cui non aveva potuto valutare tempestivamente come una superfluità, un lusso, una di quelle subsecività alle quali non conviene mai applicarsi con troppo fervore, in primo luogo per lo scarso momento di cui sono, in secondo luogo perché inducono ad una visione distorta della realtà, proprio nel loro essere parziali: la distorsione, ecco la verità che Le veniva manifestandosi ultimamente, coincideva con la parzialità, l’incompiutezza: tutto quello che aveva determinato la Sua visione tetra e soffocata del mondo Le proveniva non dal mondo in sé, beninteso, ma dall’aver voluto forzare entro una visione limitatissima tutto il conoscibile: è una deformità, avrà pensato un giorno, un mondo in un guscio di noce perché in mondo, in un guscio di noce, può stare solo in epitome; è un mondo nano, e soprattutto non è il vero mondo; solo un sistema rigoroso e veramente aperto avrebbe potuto contenere, via via, il mondo, ma in qualunque caso, anche in quest’opera perennemente definitoria, sempre di una copia sdi sarebbe trattato, e infinitamente più piccola — a quale scopo dovrei procedere a quest’opera, quando pure fosse possibile?, si sarà chiesto; che cosa me ne dovrei fare, di un mondo impercorribile, inabitabile, finto, la cui funzione sarebbe solo quella di distrarmi dalla conoscenza e dalla vita del mondo vero, quando avessi l’infinita idiozia di applicarmici?

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

687. 12.

18 Dic

(12). Fino al 1985, quando tanto rigore, tanta precisione, tanta fatalità di esiti Le venne molto fatalmente a nausea; S’era ormai accorto che la scienza, importando le difformità rapinose del mondo naturale nelle stitiche forme della sua poesia geometrizzante, non aveva affatto vivacizzato il gioco, ma l’aveva stabilmente mantenuto entro i suoi ferrei limiti, e che per quanto riguardava il Generatore nel suo complesso non si stava più trattando di una macchina che supportava la creazione poetica, ma di Lei che era entrato a quasi pieno servizio di una macchina, una condizione che proprio non Le andava, una funzione alla quale proprio non riusciva a piegarSi; quanti più progressi faceva, sia pure occasionali, & quasi saltuarj, nella scoperta delle potenzialità insospettate della Sua macchina, tanto più inaspettate e sorprendenti quanto più rudimentale, in fondo, & elementare era il principio combinatorio, tanto più un senso di schiavitù, limitatezza, alienazione e disperazione le invadeva la mente: l’umor nero, o atrabile, quella che oggi in certi casi si chiama depressione & è in fondo l’unica reazione sensata alla consapevolezza dell’inanità di qualunque proprio sforzo, era un esercito in armi in attesa sotto le mura non più così ben munite del Suo spirito; un colpo di mano, un assedio appena prolungato sarebbero stati sufficienti a far crollare la ròcca: e fu allora — ricordo nuovamente che correva il 1985 — che molto saggiamente decise di ritrarSi e distrarSi, prima che il ragionamento giungesse a conclusioni troppo radicali, costringendoLa a mettere in discussione certezze indispensabili e continuamente a rischio di andare in frantumi, quali il libero arbitrio, il concetto di personalità e di unità della mente, la nozione di merito e di virtù e di responsabilità, e si diede alla scrittura (galeotto qualcuno dei peggiori numeri di Weird Tales, che con la loro torva scemenza La salvarono, si può dire, dalla più cupa follia) di novelle di fantascienza, nei ritaglj di tempo dalla scuola e dai diporti, opericciole alla fin dei conti tutt’altro che disimpegnate, con alcuni tours de force vertiginosi, che ebbero il dubbio onore, anche, di essere ospitati sulle pagine di qualche rivista specialistica, vale a dire sulle pagine di qualcuno di quei giornali ciclostilati di diffusione rionale che forse riuscirono a garantirLe una decina di lettori, ma non certo, nonché l’immortalità, qualcosa di simile a una passabile durevolezza, dato che, con poche fortunose eccezioni, quasi nulla di quella produzione, proporzionalmente, è sopravvissuta fino al dì d’oggi — peccato, perché anche questo esercizio venendole spaventevolmente a noja, rimase limitato a questo solo breve periodo, lasciando quindi pieno spazio alle attività diportive, in specie la corsa campestre, la pallavolo, la pallacanestro, la pallanuoto, la palla incatenata o che altro, lo sci, il nuoto, &c.: attività, non nego, corroborantissime, apportanti preziosi quantitativi d’ossigeno al cervello ed ai tessuti tutti del corpo, responsabili di una copiosa traspirazione nemica del ristagno di umori cattivi, altrimenti detti tossine, segnatamente di qualunque eccesso di umor nero; permanendo in Lei purtuttavia – non voglio trasandarlo – quel tanto di umore peccante che tutto l’esercizio delle membra al mondo mai e poi mai avrebbe potuto eliminare.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

686. 11.

18 Dic

(11). Fin qui nulla ancòra di strano: il 1983 era trascorso, correva ormai il 1984, & Ella, notevolmente sorpassando tutti i coetanei che conosceva nell’apprendimento, non dava però segno alcuno di volersi distinguere da loro per qualche virtù rara, sconosciuta ai più o particolarmente curiosa; per tutto l’anno procedette nell’assorbimento di nozioni di natura fisica, svolgendo anche qualche esperimento in un angolo della sua spaziosa taverna americana: ma lo spazio maggiore, in quello spazio per il resto ingombro di utensìli da giardino, gomme di ricambio, una Chrysler – quella del babbo, Josiah van Barnavelt -, due motorette (tra cui una vera Lambretta), attrezzi per riparazione,  una cassetta da idraulico e il ciarpame che secondo consuetudine ingombra le taverne, americane e no, era e rimaneva e sempre rimase occupato dalla grande Tabula synoptica dell’Encyclopaedia Harmonica; nel corso dell’anno due foglj di cartoncino soprascritti a caratteri molto incisi con le parole Harmonia Universalis ed Encyclopaedia Sapientialis Harmonico-Poetica in Omnem Modum Versificationis Congesta, Opus Totale, per la verità, erano sopraggiunti a mascherarne la faccia, ma la sostanza rimaneva la stessa, e bencé in Lei si fosse ormai fatta strada la disperazione di mai riuscire a compiere veramente l’enorme impresa, per quanto tempo di vita mortale e per quanta buona volontà Le fosse possibile ottenere dalla sorte e da Sé stesso, per tutto quel tempo, senza peraltro più seguire un ruolino di marcia impossibile a seguirsi, aveva di fatto affastellato diversi componimenti, a cui aveva conferito qualche originalità in più qualche curiosità scientifica o naturalistica di fresco assorbita da pubblicazioni di carattere ed importanza le più disparate; stavolta seguendo l’ispirazione del momento, ed aggiungendo variabili allo schema e bandine trasparenti a scorrimento alle fittissime colonne del Generatore: rimanendo stuito, piacevolmente ben s’intende, dall’evenienza sempre più facile a verificarsi che il semplice comporsi delle variabili portasse ad un obbligato, anzi fatale, poeticamente ineluttabile disporsi in versi, numerosi e limpidi per giunta, in cui anche le rime avevano un modo destinato di cadere e ribattersi a distanze misurate: una poesia che, insomma, era una sorta di miracolo della tecnica compositiva, a volerla mettere in questi termini — in fondo, Si diceva Lei, non è forse il correlativo oggettivo l’unica espressione poetica esatta di una determinata condizione sentimentale; e non lodiamo noi nei poeti proprio il corrispondere delle parti tra loro, e di ciascuna al fatto; non lodiamo – cioè – la precisione lirica, l’aderire dell’espressione ad un’evidenza fattuale?

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

685. 10.

18 Dic

 (10). Correva il 1983, ed Ella aveva uno sviluppo apparentemente equilibrato ed armonioso; ma ben altra Harmonia occupava i Suoi pensieri, e un tarlo segreto Le rendeva impossibile l’allegria spensierata dei coetanei, che frequentava, tuttavia, senza troppi problemi: la spensieratezza, in un novenne così scontata, in Lei cedeva il passo ad una sorta di humour nero, una certa acrimoniosità temperata di melancolia, che La faceva apparire mentalmente più grandicello della Sua età, e che manifestava un’intelligenza spiccata, la quale aveva modo peraltro di mettersi in evidenza anche concretamente in giochi di notevole ingegnosità, ai quali, annojato dai soliti diporti, faceva partecipare gli amichetti: e proprio in questo ’83 della Sua scoperta dell’avalorialità delle lingue, parallelamente all’insorgere di un nuovo interesse nei confronti della Natura, e del suo studio, interesse che Le faceva macinare nella solitudine dei Suoi pomeriggj pensosi opere del tipo “Meraviglie della natura” come volumetti divulgatìvi sullo zero assoluto, sulla barriera del suono, sulla formazione dei banchi coralliferi, sulla vita delle api, sull’origine della vita, sulla nascita delle stelle, sul Big Bang, sulle stelle a neutroni, sul buco nero, sulla flora di Yellowstone, sulle zolle tettoniche, sui mutamenti del clima, sul comportamento sociale delle oloturie, sulla gastrulazione dei cefalocordati, sulla strettura dei nodi marinari, sulla formazione delle nuvole, sul funzionamento dell’accensione piezometrica, sulla glaciazione e sulla scomparsa dei dinosauri, sulla ripartizione dell’anno in giorni, del giorno in ore, delle ore in minuti — ma anche in trattati in 4, in 8, in 16, in 256 volumi di analisi matematica e calcolo differenziale, poliorcetica e strategia, ingegneria civile e idraulica, termodinamica ed elettronica, di cui non fa mestieri dire che non capiva praticamente nulla (ma faceva incetta di terminologia) — parallelamente, dicevo, a questo nuovo interesse, Ella diventava presumibilmente il miglior costruttore di capanne sull’albero dello Stato, elaborava un avvincente nuovo modello di gioco dell’oca, s’impratichiva con gli scacchi, con la dama, con il ramino, con le minchiate, studiava tavole probabilistiche e, nascostamente dai genitori, che ovviamente non Gliel’avrebbero perdonato, tentava anche le riffe con certi suoi sistemoni non privi di efficacia, non di rado vincendo di bei gruzzoli, che investiva naturalmente in libri, che poi doveva léggere o compulsare sempre nascostamente dai Suoi, che altrimenti Le avrebbero chiesto come Se li fosse procuràti, e con che soldi: altro accumulo tutto sommato indiscriminato di nozioni e curiosità, che ebbe modo di darLe, data l’infinita vastità della materia, l’illusione di aver finalmente trovato il porto — poiché il porto era l’Assoluto; nessuna fantasia può infatti rivaleggiare con successo con la natura, e lo studio della stessa non conosce i limiti in cui invece la poesia è costretta.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

684. 9.

18 Dic

(9). Correva il 1982, e la lingua le si dimostrava in quel periodo come un pessimo criterio da seguire per fissar ei confini interni del Suo generatore di poesia: la lingua aveva sì reso possibile il pensiero, ma era altrettanto vero che il pensiero, e l’assenza di pensiero, aveva generato le lingue; laddove non le aveva potute mutare, agendo di prepotenza, ne aveva aggirato le deficienze con l’astuzia, insinuandosi tra le commessure tra i mattoni laddove aveva tentato invano di abbattere il muro: con qualche forzatura, in effetti, il pensiero filosofico e storico può tradursi praticamente in qualunque lingua da qualunque lingua, se non direttamente almeno con qualche spiega di supporto, e parole proprio intraducibili si vedono ogni giorno migrare da una lingua all’altra, recando il proprio concetto con sé, o una sua parvenza, e con sé introducendolo, in organismi che praticamente, al contrario degli organismi che studia la biologia, conoscono rigetto solo nel caso di elementi a sé già in qualche modo organici, e non conoscono rigetto di elementi totalmente estranei, e che pertanto hanno un’utilità: e questi casi limite, se si vuole, sono gli unici in cui la lingua, si può dire, generi pensiero, poiché in ogni altro caso, come Ella dovette accorgerSi, la lingua, quando non è uno strumento, genera da sé, tutt’al più, solo altra lingua, e non pensiero; ecco allora manifestarLesi l’Encyclopaedia harmonica come un ammasso di voci, e non come una vera macchina poetica; come un macchinismo ipertrofico, e non come la provetta d’un nuovo organismo da crescere; e mentre nel Suo cervello andavano accumulandosi radici e desinenze, uscite e flessioni, il Suo sapere in qualunque altro campo non superava quello di qualunque altro ottenne del Suo Paese: sapeva a malapena il nome del Presidente degli USA, aveva un’idea rudimentale della storia del mondo, della Sua stessa religione (battista, ma assai adacquata nel passaggio da una generazione all’altra), di che cosa succedesse ogni volta che premeva un interruttore o che tirava uno sciacquone, di quello che avveniva in una foglia d’albero durante la fotosintesi, di quali fossero le implicazioni psicosociologiche di quello che vedeva in tivvù o leggeva nei Suoi fumetti, di quali creature vivessero sui fondali oceanici, di quale fosse la composizione della rocca, di come funzionassero i Suoi organi interni, di quale fosse esattamente il peso del suo banco pieghevole a scuola, di quali muscoli movesse nel corso di una corsa campestre, di chi fosse incaricato di coordinare l’operato del vigile che dirigeva il traffico all’incrocio più vicino durante l’ora di punta, di chi avesse inventato la rotativa, di quale speranza di vita avesse Lei in base al Suo patrimonio genetico, di come si compilasse una dichiarazione dei redditi, di quale fosse la Sua condizione giuridica; se Le avessero chiesto a bruciapelo quanti giorni esattamente mancassero alla fine dell’anno, o un breve ragguaglio delle Guerre puniche, o quale fosse la funzione dei topi nell’ecosistema, Ella avrebbe avuto difficoltà a rispondere, o perché non se ne ricordava, o perché non era sufficientemente veloce nel calcolo, o, molto più semplicemente, perché non sapeva.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

683. 8.

18 Dic

(8). Nulla ancòra Le occorreva di compromettente, o vistoso; correva il 1981, Ella cresceva per il momento sano e robusto, e delle Sue peculiari ambizioni nessuno sapeva nulla, eccettuati i Suoi tolleranti genitori, a cui peraltro quelle manifestazioni parevano, ancòra disarmoniche e ingenue, arra di un futuro non comune; e intendendo mettere a frutto queste Sue qualità in boccio pensarono bene di porLa alle cure di un giardiniere sapiene, che potesse, addomesticandone la salvatichezza, ammonestandone gli eccessi, accompagnarne la crescita secondo i dettami d’una natura che non facesse salti, e scongiurasse l’eventualità d’una corolla mostruosa su uno stelo troppo fragile e inetto a sostenerla, o d’uno stelo di sgraziata grossezza sormontato da petali rachitici; e seguendo qualche inclinazione pretenziosa, forse, o pensando di coltivare con ciò più intensiva- & intensamente quel campo ancòra non dissodato ma certamente promettente di ventura ubertà, La posero sotto precettore privato, che la dirozzò nelle tre lingue, servendosi d’un antico metodo, che talune relative novità in campo filologico avrebbero dovuto probabilmente rimettere in auge — ciò che tuttavia non è stato; insegnamento fruttuoso, effettivamente, stando a quanto il Suo intelletto giovinetto in quell’esercizio pareva assorbire, ma notevolmente isterilente sull’altro versante, uscendo dalla generalità di quell’esercizio con una nuova certezza deprimente: tutte le lingue deferivano da una lingua come i rami dal tronco, ma non afferivano ad una lingua come i fiumi al mare; ognuna essendo una fioritura che non poteva essere interamente ridotta alla radice, e non essendo le lingue componibili tra loro, mostrando difformità anche nelle parentele, e affinità anche nelle disuguaglianze, cosicché la lingua dell’Encyclopaedia harmonica non poteva essere la Lingua Perfetta inesistente né quel latino che l’ignoranza pregressa era parsa additarLe come la più perfetta delle lingue più che altro per la sua fama di loquela prestigiosa — tanto per cominciare, rimuginava tra sé, l’intitolazione stessa del Suo opus magnum ancòra in embrione era latina per l’occhio, per i caratteri, per le desinenze, ma i due lessemi che la componevano erano greci pretti, e i Greci erano venuti prima dei Romani, e ricchi dei loro composti, impossibili ai Romani, e degli articoli determinatìvi, avevano avuto levate d’ingegno tali da oscurare ogni velleità dei loro successori; e le antichità greche non erano a loro volta paragonabili alla vetustà vertiginosa e compatta delle antichità giudaiche, che erano nella lingua la più prossima alle favelle originarie dell’uomo — la quale a sua volta aveva tante rassomiglianze con le altre due, ad essa succedute.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

682. 7.

18 Dic

(7). Ma mal si dissimula un’indole; male si tentano contenere gl’impeti della natura; mal si contrasta, in definitiva, all’imperio di quella che non potrei non identificare, dati i mille patenti & altrimenti inspiegabili indizj, con un’eredità: sicché quella che nella primissima infanzia s’era manifestata come prepotente, sì, ma gelosa inclinazione — esprimentesi nella compilazione di una Tavola sinottica nella quale è ridotta a schema tutta l’opera, dove l’opera era la componenda Encyclopaedia harmonica, allora concepita in latino, allora appunto rappresentata da questo schema ripartito verticalmente nelle quattro stagioni dell’anno e nei 12 mesi e nelle 52 settimane e nei 366 giorni dell’anno bisesto, e orizzontalmente nei 7777 sostantivi più importanti delle tre lingua antiche, con bandine trasparenti a scorrimento con sopravi scritti gli eventi più rilevanti degli ultimi 7777 anni della storia umana, 777 dèi degli antichi, 7777 toponimi importanti, 7777 personaggj storici, sicché per ognuna delle varie combinazioni avrebbe dovuto comporre un componimento, la cui struttura metrica sarebbe stata a sua volta da decidere in base alle combinazioni uscite da un simile cartaceo macchinismo, più piccolo, con i metri in orizzontale, le strofe in verticale e altre bandine trasparenti a scorrimento lungo le file e le colonne, fino a generare 77.777 componimenti ciascuno di struttura e metro differente — a mano a mano che gli anni passavano, e Lei si avvicinava alla pensosa maturità, e ovviamente si allontanava ogni possibilità di realizzazione del gran progetto metametrico — al quale tuttavia occasionalmente tornava un anno fa, diffondendo un Suo programmino per moderno elaboratore in grado di produrre un numero disperatamente alto di combinazioni, anche grazie all’introduzione di una settantina di altre variabili che permettevano la costruzione automatica di componimenti in apparenza complessi — , come sotto l’eccessivo peso del ragionamento la Sua mente cominciava a dare in apparenti stramberie, non tutte di natura strettamente poetica, ma con ricadute anche poetiche piuttosto interessanti — o allarmanti, secondo il punto di vista –; bizzarrie dovute naturalmente alla schiavitù della ragione alla quale S’era voluto costringere fino a quel momento; trovatosi al punto in cui non sussisteva più nessun dubbio che la Encyclopaedia harmonica sarebbe potuta esistere anche a prescindere dal suo autore, grazie a qualunque imbecille che spostasse bandine di scorrimento, l’autore, impazzitone, non sapendo rassegnarsi e chinare la fronte ad un ordine superiore, come anche gettarsi tra le braccia del caso, voleva a quel punto un motivo per cui vivere; o vivere per qualcosa da cui la sua propria vita fosse imprescindibile.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

681. 6.

18 Dic

(6). Risolto in maniera apparentemente facile il mistero di un nome italiano — perché Ella non riusciva a capacitarsene (vivendo in un Paese in cui forse soprattutto alle donne sono affibbiàti i nomi più stravaganti — Belva, o Brittany, Gronda o Sam –, mentre gli uomini portano nomi più giustificabili, vero? ma è una mia mera impressione) — col pretesto d’un vecchio gentiluomo conosciuto a Firenze, durante il viaggio di nozze, nessun altro arcano, nessun’altra ombra si protendeva dal Suo passato, o meglio da quello della Sua famiglia, a rendere dubbj i contorni del Suo presente: i Suoi genitori erano lavoratori, sani e benestanti, e nemmeno fisicamente Ella pareva troppo dissimile, presentando tratti somatici non denunzianti ascendenze presuntamente ultronee (incarnato tendente piuttosto al pallido, capelli castani, occhj castani, altezza di m. 1 & 81 nel massimo sviluppo, corporatura comunalmente armoniosa); avendo, in genere, comportamento savio e disciplinato, mostrandosi rispettoso verso i meno fortunati e all’occorrenza soccorrevole; non dimostrando comportamenti socialmente o sessualmente ritenuti problematici o devianti; avendo tratto, eccettuata qualche scontrosità e un’ingenita tendenza alla melancolia, beneducato e cortese, se non espansivo e socievole in grado eccessivo; dando prova ottima di Sé negli studj, tanto da far sperare piuttosto altamente di Sé per una carriera futura; avendo buoni risultati anche nelle attività diportive, pur partecipando a partite, campionati, tornei più per acquiescenza alla consuetudine, con una certa condiscendenza, anzi, che per propria inclinazione: e se tutto questo si traduceva in una sorta di equidistanza sia dagli atteggiamenti più popolari sia da atteggiamenti eccessivamente saturnini, e se la Sua unica partecipazione a una competizione di rap (1994) creò sconcerto sia per la ricerca delle rime sia per l’argomento (il premito peristaltico) non troppo politico; e se continuò sin dalla più tenera infanzia a edificare quella Encyclopaedia harmonica che avrebbe dovuto consacrarLa nella meritata posizione tra le eminenti in un pantheon di poeti a cui pochissimi sono venuti a sacrificare nei secoli scorsi, e che nessuno più leggerà nei secoli a venire; e se la Sua applicazione a studj di economia, poi al praticantato in uno studio legale, pur indefessa, appariva scarsamente partecipata e ambiziosa; ebbene, poco o nulla di tutto questo ebbe modo di attrarre l’attenzione, o anche solo di pervenire, a più di due o tre persone con cui aveva quotidiano commercio; sicché la Sua vita trascorreva apparentemente senza nessuna sostanzialmente percepibile avvisaglia di crisi.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

680. 5.

18 Dic

(5). Le ripeto: non S’allarmi se mi dimostro così a giorno dei fatti Suoi, almeno per quanto riguarda le Sue lunghe escursioni tra le Muse; la mia attenzione, mi capirà avendo sicuramente già sperimentato quanto basta in questo senso, in luogo forse ancòra meno adatto di questo ad accogliere chi, come Lei, s’è volto con tanta decisione allo stile sfoggiato & artificioso, in un tempo, come il nostro, che ne ha perso la nozione oramai da qualche secolo — sarebbe stata motivata dalla natura stessa delle Sue esercitazioni, quando non ci fossero stati motivi d’ancor maggiore momento a spingermi a mantenere desta essa attenzione, con la maggior benevolenza del mondo, nei Suoi confronti: se sono al corrente di tutti i Suoi, talora penosi, tentatìvi di venire a patti — La mi perdoni, e tanto, se mi permetto di metterla già in questi termini; perché non si tratta di cose da ora e superficialmente a me note — con una realtà che in qualche modo Le è sempre parsa aliena, se conosco nelle grandi linee praticamente tutto quanto La rigurda, se — soprattutto — rievocando i frutti di una nobile ostinazione, o piuttosto seguendo gli imperativi di un’indole in qualche modo inflessibile, impossibile a tradirsi, tradendosi anzi essa in ogni manifestazione propria, finisco con rievocare una storia d’incomprensione tra Lei e il Paese che, più che darLe residenza, La ospita, e di Suoi, per quanto ammirevoli, fallimenti; nature come la Sua trovano nella solitudine non solo la propria inevitabile condanna, ma anche il proprio unico nepente, e il proprio costante lenitivo: una terapia di mantenimento che adesso si rivela placebica, forse, a Lei, che in tutto questo tempo, può ritenere, è stato spiato, tenuto sotto osservazione;  ma tenga, La prego, a mente che questa continua sorveglianza non ha implicato alcun peraltro impossibile controllo diretto sugli eventi, e fino a ridurre chi Le scrive a ruolo di impotente spettatore, nei casi più drammatici; che quanto è stata mia cura è consistito esclusivamente nell’informarmi, a posteriori, raccogliendo quante informazioni (poche e frammentarie, a me sembra) potevo da persone con cui Lei aveva cessato ogni contatto, in modo da essere passabilmente sicuro che almeno nella gran parte dei casi nulla Le fosse riferito; e mi valga soprattutto di giustificazione il fatto che non agivo, così conducendomi, spinto da interesse o interessamento personale, ma esclusivamente per incarico di due persone che avevano tutto il diritto di sapere, e solo dopo che Ella cominciò a manifestare inclinazioni impreviste e difformità di comportamente rispetto a quanto quelle due persone auspicavano.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

679. 4.

18 Dic

(4). Qualunque cosa sia indotto a credere dall’ultima parentetica, La scongiuro, non S’allarmi: anzi, già che siamo in argomento, consenta a prender nota che presso la sig.ra Wheeley, née Alexandra Arne, C.O. Box 23211 San Francisco, zia materna del Suo ex-compagno di camera al college, Sam Wheeley, sono tuttora custoditi (come ha confermato una telefonata della mia segretaria, sig.na Mariella Baudracco, di non prima di jer pomeriggio, h. 15.40 incirca) in luogo asciutto e riparato faldoni 18 contenenti gran numero di componimenti Suoi, tra cui un grosso mazzo di Experimenta metametrica, comprendenti carmi quadrati, sonetti retrogradi in inglese e latino, componimenti in eco, molti epigrammi, tragedie 5 in distici, libretti 2 per musica (comici; rimasti allo stato d’abbozzo), capitoli quadernarj e in settima rima incatenata, rime burlesche anagrammatiche ghematriche enigmistiche, poemi 4 in sciolti tra cui una Masada, 1 poema in endecasillabi gliuommerati, varj e numerosi frammmenti, 35 grandi pindariche, 8 inni, tutta opera e cosa Sua, e recuperabile in qualunque momento Ella desìderi, pagando ben s’intende le spese postali; donate invece all’Università di Athens, Facoltà di lettere, come fondo — destinazione non spiegabile altrimenti che col rifiuto di Harvard e la compiacenza di quest’altro Istituto, disponente di maggiore spazio per ospitarLa — risultano molte carte non costituenti opera organica ma, data l’unità d’argomento, titolabili nel complesso come “Appunti di fonologia”, più una quantità di sunti e materiale erudito, tutto d’interesse esclusivamente letterario, come praticamente qualunque cosa Ella abbia seminato in giro di proprio, eccettuato, volendo, un curioso prosimetro, in due parti di rispettive cc. 1630 + 2480, suddiviso teatralmente in “Prologo, 5 Atti & un Epilogo”, per un totale di 70 “Quadri”, dal titolo Il Carlo Marzio, ovviamente di qualche attinenza con la disciplina nella quale S’è tanto controvoglia laureato; e quest’ultima Sua opera, apparentemente uno scherzo colossale, o capriccio, che tuttavia secondo Sam Wheeley doveva essere destinata a un ciclo di pubbliche letture, è custodita, benché non ancòra catalogata, tra i ms. della NY Public Library, sez. Teatro; mentre sussistono a stampa, e sono stati pertanto più facili (ma non sempre) da reperire il frammento di “poema d’appendice”, se ben intendo, Railway, interrotto al X canto (o fogliettone), ospitato su tre giornali universitarj, e una versione in distici inglesi da Nonno; mentre della Sua opera più appariscente, la sagra scenica Carmenta, in 7 giornate, altra opera Sua di cui purtroppo ho solo notizia, non rimane nulla, com’Ella sa, data la Sua idea, certo sdata, mai però in precedenza realizzata, di farla rappresentare (abusivamente, e in un abusivissimo teatrino di legno eretto alla breve in Central Park, di notte e quasi a lume spento) e di dar fuoco al teatro e a tutto quanto conteneva, eccettuàti fortunatamente spettatori, orchestrali, attori e autore, immediatamente al termine della VII giornata: naturalmente il poema con la partitura doveva rimanere, e rimase, divorato a sua volta dalle fiamme, e in questo caso è il solo mio rimpianto, e la mia curiosità frustrata, a spingermi a prenderne nota.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

678. 3.

18 Dic

(3). Chi Le scrive la conosce, non di vista (eccettuata una fuggevole occasione di più di trent’anni fa), ma di nome e per sentito dire, e innanzitutto per aver conosciuto i Suoi genitori: e il fatto che la presente lettera Le provenga dall’Italia (come anche il Suo nome, peraltro) rende tutto per il momento poco credibile, esattamente come usura d’implausibilità è la familiarità del tono di me notajo e latore di notizie, ufficiali innanzitutto, che Le scrivo; eppure è proprio così: non sono, ma fui un ottimo amico dei Suoi genitori, e La vidi nascere; e so dirLe che Ella nacque il I di gennajo del 1974, esattamente trentacinque anni orsono al momento di scriverLe, e so bene dove; se un neo sotto il capezzolo sinistro, come talora avviene, è stato riassorbito nel corso del tempo, o asportato, farà parzialmente fede che L’ho vista poco dopo ch’era sortito dell’utero materno una piccola voglia di fragola sul collo, alla base, poco sopra l’attaccatura della spalla destra, ma mi rendo conto che queste non sono prove, e che potrebbero essere benissimo nozioni desunte a loro volta dal sentito dire, come peraltro tutto quant’altro so di Lei, quale, alla grossa, e senza troppa fatìca, il suo brillante cursus honorum, la buona carriera scolastica presso una scuola elementare della Hell’s Kitchen prima, poi presso la CII scuola pubblica di New York, poi l’istruzione superiore presso licei di varie parti degli Stati, tortuosità della Sua formazione dovute ai frequenti spostamenti, fino ai primi anni ’90 del secolo appena scorso, di Suo padre, Josiah van Barnavelt, chimico, impiegato come esterno presso diverse industrie alimentari prima e rappresentante poi — fino all’approdo a Harvard, grazie ad una borsa di studio e alla Sua in fondo strana ostinazione a volerSi laureare in una disciplina arida e lontana dai Suoi interessi, economia, ciò che non Le venne propriamente fatto, a dispetto del brillantissimo esito, ma Le costò infiniti infelicità e sforzo; dopodiché, dal 1995 in poi, i Suoi numerosi tentatìvi di dar corpo alle Sue aspirazioni in campi meno gretti, coltivàti sin dall’infanzia, colla creazione (ed era anche quella una forzatura, anche se minore, alle Sue inclinazioni) di un fumetto, Melmoth the Wanderer, di cui sono in poter mio le prime 3 uscite, le uniche, interessante e sfortunato primo parto del Suo ingegno; l’edizione di una curiosa raccolta poetica, latinamente Sylva, specimen di una più robusta produzione antecedente, peraltro andata, per Sua trascuratezza volontaria, quasi completamente dispersa (non so, anche se amo fare illazioni, specialmente riguardanti la Sua persona, con quanto postumo rimpianto; ma se quella produzione andò dispersa, non fu tuttavia distrutta, e voglia anzi prender nota, nel caso appunto Le interessasse, che stanno in poter mio, tra molte altre cose, un mazzetto di odi inglesi dal titolo Some Visions of History, comprendenti un’elaboratissima Death of Athalia; il poemetto Ivi Atua; il tentativo in ottave Marianna e la Libellula, frutto primaticcio dei Suoi studj di lingua e letteratura italiana dal ’98; la “sceneggiatura in distici”, in una sorta di pidgin angloitaliano Giòvan Franchising, Busy Nelly!, che è la storia di una ex-librettista ispirata alla Camerata de’ Bardi che risolleva le proprie sorti economiche lavorando per una catena di lavanderie a gettone; più cinque o sei centinaja di suoi Sonnets, e molte altre cose & cosucce).

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

677. 2.

18 Dic

(2). In allegato a questa mia discorsiva lettera, segno e prova che quanto Le verrò qui narrando non è né dovuto alla garrulità dello scrivente, né è insulsa ciancia, o follia, o malafede di ciarlatano, troverà alcuni documenti, in busta chiusa: io La prego, per il momento, di non volerli toccare, e di servirSene dopo la lettura della presente come suffragio della sua veridicità — ossia della veridicità di quanto un documento può comprovare –, e di non sostituirli ad essa, per quanto penosa possa risultarGliene la lettura: una preghiera caldissima, e una fervidissima esortazione, che spero di tutto cuore sarà da Lei esaudita, senza cedere a qualche contraddittoria curiosità, a qualche infrattoria seduzione, a qualche tumultuarietà sospettosa nei confronti di chi con tanta franchezza, senza esser conosciuto, si permette di scriverLe; e non perché essi documenti consistano in chissà quali rarità al sole ignote, essendo molto semplicemente 3 certificàti di nascita, 2 di morte, 1 di matrimonio, 1 stato di famiglia, 1 testamento, 1 stima patrimoniale; ma perché i nudi nomi significano tutto e non significano niente, l’induzione, o il facile inferimento consolatorio, di un’omonimia, di un vizio di forma, di un errore qualsiasi possono benissimo rendere dubbio, specie agli occhj di chi non è preparato alla verità, quello che invece è in sé tanto chiaro, fin troppo chiaro, e nella sua formulazione cancellaresca, nella nudità delle sue espressioni, nell’incontrovertibilità dei dati prodotti è, per paradossale meccanismo della mente umana, più facile a rifiutarsi che ad accogliersi & accettarsi in pieno; se si eccettua la possibilità, che pure sussiste, del contrario, ossia che le si accolga, invece, invece di rigettarle, e le si accetti e le si comprenda in luogo di respingerle, nel qual caso la nettezza di contorni dell’evidenza è come il filo d’una lama, e la coscienza che se ne risente è come carne viva sotto essa lama; se, dunque, Quintiliano, io poc’anzi fui indotto da tristi, complicate circostanze a prometterLe, con le mie rivelazioni, tutta la brutalità d’un’operazione chirurgica invasiva, preferisca la lama scrimitosa nascosta nel taglio di queste pagine alla lama rotante, attivata da un meccanismo insensibile, che L’aspetta chiusa in quella busta: & acconsenta, per il tempo, certo non scarso, necessario a leggere con attenzione e per intero questa mia, a lasciarSela cadere di mano: chi Le scrive, spietatamente pietoso, procurerà di ridurre la dolorosità delle nuove che aspettano d’essere da Lei sapute al minimo indispensabile; e la piaga sarà forse suturata, almeno in parte, dalla salute, il premio che l’aspetta al termine di tanta sofferenza.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

676. 1.

18 Dic

Parto con questo post a pubblicare (un verbo che agli scrittori veri fa venire l’orticaria, ho letto, ma il tastino blu qui a destra dice proprio questo: pubblica) un mio vecchio brogliaccio abbandonato, e totalmente illeggibile, che ingombra parte della mia casella di posta elettronica e parte della chiavetta. Si articola in alcune decine di frasi senza punti fermi, non so più perché.

La stesura è cominciata intorno a metà gennajo 2009, e s’è interrotta meno d’un mese dopo.

*****************************

Studio notarile

ATTUARIO MENECONI,

Via Pietro Micca 18 – 10122 Torino

 

I gennajo 2009

 

A Quintiliano van Barnavelt.

 

(1). Vengo con questa mia, pregiatissimo Signore, ad esporLe una questione della massima rilevanza, per Lei e per chi Le scrive; ed il fatto che chi a Lei scrive ha in cuore la questione quanto Lei che legge queste righe, dev’essere almeno parziale scusa alle prolissità a cui l’urgere dei ricordi e la necessità di comunicarLe cose attinenti la Sua persona (fatti che Ella ignora essendone stato volontariamente tenuto all’oscuro per tutti questi anni) mi cotringerà: con la speranza che Ella voglia sempre credere e tener conto che uanto anrò a Lei esponendo, se parrà quasi in ogni caso non conveniente ad una comunicazione proveniente da uno Studio notarile, negl’intento del medesimo scrivente sarà sempre mirata ad informarLa, nel migliore e nel più esaustivo dei modi possibili, riguardo molte faccende inerenti alla Sua famiglia, la Sua posizione attuale nei confronti delle persone con cui vive o ha vissuto fino a poc’anzi, la Sua posizione ereditaria e patrimoniale, e, ciò che più conta, il Suo passato in generale; quanto Le andrò rivelando nelle pagine che seguono La costringerà per forza ad assumere una posizione fino a questo momento per Lei non preventivabile; e La porterà a chiedersi — quali risposte dandosi, almeno negli auspicj di chi Le scrive, per ora si tacerà; ma vedrà da Sé che non potrà, per logica, non capire quale soluzione io mi àuguri — se sia o non sia il caso di mutare diverse cose, se non tutto, della propria vita, risolvendo anche di cambiare Stato, città, casa, occupazione, e in genere la visione stessa della vita quale finora l’ha menata, portandoLa ad essere quasi altr’uomo da quel che era; tutte considerazioni che, unitamente alla lunga consuetudine e al lungo rapporto di stima, e di affetto che univa chi Le scrive alla di Lei famiglia, inducono appunto lo stesso, nella mia modestissima persona, a dilungarsi tanto in racconti di fatti passati; se tutto questo Le arrecherà, e Le arrecherà, pena, mi creda quando Le protesto che la mia intenzione non è altra che beneficarLa, come il medico, che talora, per salvare un corpo, deve inciderne col bisturi le carni.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie brogliaccio

675. Augurj a Giovanni Di Jacovo.

11 Dic

Già volge un anno, e quello che avrei detto
Io esser l’anno tot purché a me noto,
Oggi è comunque un anno fa: a un sol moto
Va inesorato il tempo maledetto.
Aruspice frustrato, segni aspetto
Nei cieli, in aere, in ventri, in fuoco, in loto,
Né mezzo è ch’usi, e che non vada a vuoto 
Il mistero a che sia sciolto e interfetto.
D‘arti divinatrici l’ardua luce
Investe solo un miserando vero:
Jeri era jeri, e l’oggi il sole adduce.
Abbastanza non è – ma è mio pensiero –
Ciò alla scienza; e il mio ufficio si riduce:
Oh! a voi in lasciar, più savj, il gran mistero,
Veli serbando a me;
Oh! in far (GIOVANNI) augurio grande a te! 
0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie augurj, giovanni di jacovo

674. Piccole cose?

10 Dic

 

Accennavo, nello scorso post, all’antologia di poeti ottocenteschi per cura d’Augusto Vicinelli. La stampa, Mondadori, è del 1945; il titolo, divenuto ai nostri dì abbastanza enigmatico – fino a qualche decennio fa sarebbe stato probabilmente scandaloso – è Le tre corone. Carducci, Pascoli, D’Annunzio. La definizione di Tre Corone spetta, originalmente e originariamente, solo alla triade principale delle nostre lettere, Dante, Petrarca e Boccaccio. Il Settembrini, disquisendo lungamente di Albertino Mussato da Padova, più vecchio di Dante di quattr’anni, difensore della repubblica contro le tentazioni signorili del tempo suo, disse per esempio che se avesse scritto in volgare, avrebbe meritato di essere considerato, per il suo Eccerinus, la quarta corona. Lo stesso credo si possa dire di Pietro da Eboli, per esempio, che di Dante e del Mussato era più vecchio di quasi cent’anni, e forse di nessun altro. Dunque il titolo dà conto dell’alto prestigio in cui questi tre campioni del falso, uno solo dei quali era un genio, mentre un altro era un poeta molto dotato e il terzo non era poeta nemmeno occasionalmente, erano tenuti intorno al 1945. Attualmente, e da qualche decennio, Carducci non è più nemmeno studiato nelle scuole – uno dei testi di riferimento per la scuola, e una bella letteratura in sé, quello del Ferroni, rende l’idea dell’opinione in cui è tenuta la sua figura, assai opportunamente, ai dì d’oggi; D’Annunzio sopravvive come personaggio, ma la sua poesia, salvo alcuni squarcj e qualche titolo come la sempiterna Pioggia nel pineto, è in larga parte insopportabile, e da nessuno letta. Rimane il Pascoli, sulla cui fortuna grava la vecchia accusa di limitatezza e piagnonismo; credo non sia più tantissimo letto nemmeno lui, per quanto non sia affossato come, letteralmente, il Carducci e, sostanzialmente, il D’Annunzio. Ed è un grande peccato.

Augusto Vicinelli, personaggio che non posso mettere a fuoco grazie a precedenti incontri perché non ci sono mai stati, fa critica abbastanza impressionista, ma le introduzioni cronologiche alla vita e all’opera sono di una completezza e di una puntualità entusiasmanti: grazie a lui vengo a sapere che il Pascoli nacque quattro minuti prima della fine dell’anno 1855 e morì il 6 aprile 1912 “alle ore 15 e mezzo”; del Carducci non è detta l’ora della nascita (il 27 luglio 1835), e nemmeno quella della morte (il 16 febbrajo 1906), ma di D’Annunzio si dice che il fatidico 12 marzo 1863 dei suoi primi vagiti era “nel primo mattino”, mentre dell’istante della morte, martedì I° marzo 1938, non si dice l’ora ma la circostanza: «”Morto, così, in piedi, mentre lo reggevo per accompagnarlo nella sua camera. In piedi, come voleva Lui… Aveva il terrore di morire nel letto. E’ stato esaudito” (parole di G. Carlo Maroni, compagno del poeta e architetto del Vittoriale)», p. 364: il grassetto ovviamente è mio, l’idea che l’eroico autore della beffa di Buccari avesse, da ultimo, un “compagno”, così per tempo sulla nascita dei pacs, è assolutamente commovente.

Il Pascoli (mica la voglio tener lunga), è, certamente, un poeta e un uomo molto limitato. Così lo conosciamo, dopo che ha toccato la maturità, perché non sempre fu il campione di calma ed innocenza che ci appare poi, dato che dopo l’infanzia serena (funestata però dalla morte della sorellina Ida, che tuttavia è un fatto che reca tristezza, non rabbia e volontà di rivincita, 1862), il 10 agosto 1867 gli è ucciso il papà a fucilate, di ritorno dalla fiera di Cesena. Tutte le ingiustizie del mondo appajono a Zvanî dietro il velo squarciato da questa morte, che sembra immotivata a noi che non sappiamo ciò di cui erano sicuri l’Alloccatelli Vincenzi a cui la cavallina storna riportò il signor Ruggiero morto sulla carretta, e lo stesso Giovanni P.: fino al 1879, quando è incarcerato, dopo che gli sono morte anche la sorella maggiore e la stessa mamma donna Caterina (1868), e dopo che s’è fatto veemente socialista, il Pascoli, solo, sconsolato, alle prese con mille difficoltà pratiche, è irsuto, furioso col mondo, tetro e all’occasione anche violento, se non altro verbalmente. Esce di carcere, si mette di buzzo buono agli studj, si laurea a pieni voti con un tentativo di traduzione dei frammenti d’Alceo (17 giugno 1882), poi convive con le sorelle, insegna, scrive. Muore nel 1912, come già detto, in un alone vagamente tolstojano di santità: “l’uomo giusto di Barga”, è detto, perché a Barga (precisamente nella “casa di Castelvecchio presso Barga, nella località di Caprona in Garfagnana di Lucchesia”, p. 187) vive dal settembre 1895. Si tratta di un altro secolo, ovviamente, ma se nel 1911 “cominciano evidenti i segni della malattia (tumore allo stomaco e al fegato)”, p. 194, epperò già nel 1910, com’è precisato sùbito dopo e più in piccolo, il D’Annunzio gli rende visita, e “lo vide dimesso e affaticato; e a lui, ben più mondano, non restò, fisicamente, che da compassionare «quel fagotto di panni stracci»”, è incontrovertibile che già a 55 anni il Pascoli era ridotto fisicamente al lumicino; se si considera che morì di cancro allo stomaco e al fegato, ciò che è tipico dei grandi frustrati, la prima cosa che uno spirito volgare come il mio va a pensare è che quella vita “innocua, appartata, umile, pura”, parole dello stesso Pascoli (p. 195) non fosse naturale conseguenza di un acquietamento dello spirito di fronte al male, ma una conquista quotidiana, continua, ostinata, pertinace, ovviamente salvaguardata dal silenzio perché qualunque sfogo in casi simili basta a distruggere tutto; e così  frutto di sforzo cosciente è anche quella poesia che deve partecipare in modo così determinante a rendere l’uomo migliore, cioè, con somma precisione, più buono. Veramente ci sono molte definizioni che il Pascoli dà della poesia, le quali tutte si complementano, rendendo il suo concetto di essa poesia estremamente variegato nella sua coerenza interna, e molto complesso ma non inutilmente complicato – e questo fa in parte giustizia della sua fama di poeta piangoloso e limitato, naturalmente -, ma fondamentale rimane l’aspetto, anzi il quieto assillo, morale:

“[I poeti devono fare – integrazione del cur.] quello che non hanno fatto ancora per impedire che scienza fosse quello che è sinora, un sole senza calore, luce e non vita. Essi devono far penetrare nelle nostre coscienze il mondo quale è veramente, quale la scienza l’ha scoperto, diverso, in tante cose, da quel che appariva e appare. — Non anche per noi [dopo tante scoperte – u.s.] si move il cielo, e noi restiamo immobili? Chi di noi, pur sapendo di astronomia molto più di me che non ne so nulla, sente di roteare, insieme col piccolo globo opaco, negli spazi silenziosi nella infinita ombra constellata?  Ebbene: è il poeta è la poesia che deve saper dare alla coscienza umana questa oscura sensazione, che le manca, anche quando la scienza gliene abbonda… Ricordo un punto sul quale si esercita la poesia: la infinita piccolezza nostra a confronto della infinita grandezza e moltitudine degli astri… Tuttavia… quella spaventevole proporzione non è ancora entrata nella nostra coscienza. Non è ancora entrata, perché, se fosse entrata, se avesse pervaso il nostro essere cosciente, noi saremmo più buoni. |Se io sapessi descrivervi la sensazione del nulla, io sarei un poeta di quelli non ancor nati o non ancora parlanti… Ricordo qualche oscuro e fuggevole momento, nelle tenebre della notte: il vertiginoso sprofondamento in un gorgo infinito, senza più peso, senza più alito, senza più essere… Chi sa immaginare le parole per le quali noi sentiremo di essere mortali? Perché noi sappiamo e questo e quello; non lo sentiamo. Il giorno che lo sentiremo… saremo più buoni. | E saremo anche più mesti. Sia pure. Ma non vedete che appunto nella mestizia l’uomo differisce dalle bestie? e che progredire nella mestizia, è progredire nell’umanità?” (“L’Era nuova”; qui a p. 223).

Il discorso del Pascoli è così fatto da dare un’impressione di fluidità laddove è in realtà franto e reticente. Questo, che sicuramente è la manifestazione più appariscente della sua esistenzialità particolare, fa sì che il pensiero arrivi come a ondate successive, un po’ come quelle voci di spettri, insieme sorprendentemente chiare e del tutto incerte e dubitabili, che rimangono misteriosamente incise su nastro magnetico. Qui il Pascoli teorizza – ed è una delle diverse teorie poetiche, e nemmeno la più famosa, ma quasi sicuramente la più nuova – un ruolo della poesia inverso rispetto a quello tradizionale, da Aristotele in poi: Aristotele in effetti aveva detto che la poesia è la sapienza degli antichi, ossia un pensiero razionale non scientifico precedente cronologicamente e formativamente quello filosofico-scientifico, che doveva essere conservato innanzitutto a vantaggio dei giovani; e poi per la possibilità di apportare, effettivamente, alla scienza qualche contributo prezioso, soprattutto in termini di effabilità e lessico, inquantoché la poesia è coniatrice di espressioni prima inesistenti, e pertanto adatta a colmare le lacune dell’espressione data. L’idea del Pascoli non è affatto originale, anzi è piuttosto velleitaria, e se è in controtendenza rispetto ai movimenti estetici del suo tempo e di quello immediatamente seguente dipende dal fatto che la poesia, per certi versi molto assennatamente, ritenne doversi restringere ai proprj caratteri più incondivisi, frustrando automaticamente qualunque tentativo espansionista verso altri campi. E’ luogo comune che il Pascoli preluda al simbolismo, e nella sua poesia chiari sono i sintomi di certi procedimenti cari poi a talune avanguardie: l’onomatopea, innanzitutto, la dissoluzione di talune procedure del discorso. Ma la sua poesia comprende anche questa specie di battaglia di retroguardia per un’invasione pacifica, e in fondo una non-invasione, del campo della scienza. Dico poi in che senso, proprio storicamente, di retroguardia; per il momento mi limito a notare come effettivamente abbiamo continuato a dire “il sole sorge”, nonostante sappiamo che il sole non sorge affatto, e questo proprio perché la nostra percezione è quella della comparsa dell’astro maggiore – che non è affatto il maggiore, né l’unico, ma noi tale lo percepiamo, appunto – e non della rivoluzione della terra che ci permette, una volta ogni un tot di ore, di tornare nella sua luce. Così ipotizzando il Pascoli insinua un’idea abbastanza particolare, ardita: e cioè che, come la scienza o certe forme di mistica, la poesia debba necessariamente saper allontanarsi dal senso comune, ma, a differenza della scienza e di tutti gli esoterismi, col fine di correggerlo, di rivoluzionarlo. Non solo: questa rivoluzione speculativa ed espressiva è automaticamente una rivoluzione morale. Va da sé, ma appunto ci si deve arrivare, poiché il P. non lo dice, che essa rivoluzione non consiste affatto nell’adesione sensitiva, in sé, a questa o quell’acquisizione del pensiero umano, ma nella stessa capacità da parte dell’uomo, guidato appositamente dal poeta, di cambiare e rimutare profondamente la propria percezione in base alla scoperta, in una prospettiva singolarissimamente fenomenologica, che ha dello husserliano. Dunque da una parte il Pascoli sembra ricollegarsi, con una prospettiva così velleitariamente späthumanistik a certe ideologie speculativo-estetiche manieristiche, sennonché, se pure è questo che fa, non fa altro che rilevare con forza inedita quanto di profondamente moderno, e scomodo, e dalle sconvolgenti implicazioni, ci sia (e ci sia forse sempre stato) in quelle stesse ideologie. E’ noto che alla fiera del libro di Francoforte nel 1585 i bestsellers in assoluto furono i libri di esposizione scientifica di Pietro Ramo; i quali non erano affatto di divulgazione, non si ponevano affatto in posizione subordinata alla scienza ricorrendo ad un linguaggio semplice di mero servizio, ma erano appunto testi che esponevano questioni fisiche, matematiche, mediche, in modo da permettere al lettore di mutare la propria percezione dei fatti; un modo di proporre le naturales quaestiones estremamente suggestivo proprio perché passato al filtro dell’esperienza dell’autore innanzitutto, colla possibilità rischiosa ed esaltante di attivare, quasi, facoltà dormienti, finora nascoste perché insollecitate. Il programma espresso dall’umanista ugonotto ha una controparte abbastanza avvertibile, sempre in terra di Francia, in un testo mai abbastanza letto come la Deffence et illustration de la langue françoise di Joachim du Bellay (1549), la cui parentela con un mediocre testo (1542) di Sperone Speroni, che sicuramente ha fatto da falsariga, non dev’essere troppo enfatizzata. In questo testo, che segna anche la data d’inizio della fase più matura del Rinascimento e l’avviamento criticamente consapevole al Classicisme del secolo seguente, forte è l’impegno per un lessico, innanzitutto, e una lingua che sia in grado di assorbire dalle lingue antiche tutto quello che le serve, pur sterminando dalla circonferenza della propria azione la mera imitazione; spregiudicatamente, la Pléïade, per voce di Du Bellay, riteneva dover persino traslitterare, ove occorresse, parole greche e latine non dell’uso, e ricalcare movenze – scoprendone, però, l’espressività infinitamente maggiore rispetto agli assetti consueti nel contesto poetico. A quest’altezza, queste impostazioni del discorso poetico-letterario sono polivalenti: il divorzio tra la civiltà letteraria francese e il Barocco europeo non è ancòra stato dichiarato. Il Marino stesso, prefacendo l’Adone (1623), citerà Piero Ronzardo come presupposto della sua propria ricerca. E la ricerca barocca, anche se ovviamente la sua funzione non è e non dovrà mai essere direttamente quella di fornire strumenti alla scienza, né di farsi, della scienza, ancella e cassa di risonanza, va proprio in questa direzione; morto il Marino, divampate le polemiche, un marinista appassionato e sennato dirà di sentirsi perpetuamente obbligato nei confronti del maestro scomparso per aver arricchito di tante nuove parole e di tanti concetti, rubati perlopiù alla fisica, all’astronomia, all’anatomia, la poesia del suo tempo. Si sa come andò a finire: il Gravina indicò la qualità malata del gusto barocco per le terminologie, identificando la sua origine in una sorta d’invidia del pene nei confronti della scienza, una condizione d’incertezza identitaria che il poeta barocco aveva presunto risolvere trasformando la poesia in una sorta di tritatutto in cui fosse possibile passare, amalgamandolo, anche quello che per la poesia non era nato. La finalità, di poetizzazione del mondo, e col mondo anche della scienza, s’era realizzata ovviamente in forma di adeguamento del mondo ad una cifra estetica riconoscibile e preassunta, ma non senza un’apertura implicita verso nuove estetiche possibili. Coll’Arcadia, che è un movimento che non significa nulla in sé, ma è stata sufficiente a distruggere qualunque progetto poetico non banale, e in virtù appunto della sua propria asfissiante banalità, questa promessa di una lingua poetica è definitivamente affossata.

Così si spiega, in mezzo all’ampia messe di annotazioni, quella che è la più disopra dai tempi di Pascoli, credo abbastanza significativamente relegata da Vicinelli, che ha i suoi limiti (altro che il Pascoli), in nota a p. 221:

Noi italiani imitiamo troppo… E le scuole ci legano… Poi per la poesia vera e propria, a noi manca, o sembra mancare, la lingua…

Questa notazione è messa in coda allo stralcio riportato del Fanciullino (pp. 219-221), ed è disopra dai tempi per un motivo molto semplice; che essa non è di fatto una notazione sola, ma due: una [da identificarsi con l’imitazione e con la questione delle scuole che “ci legano”] è parente a quella del Chiabrera nella celebre nota autobiografica, laddove forniva a sé stesso un’orgogliosa patente di originalità (per tema di sbagliare, diceva, gl’italiani stanno troppo attaccati ai modelli, e non inventano; si travada pure che l’originalità del Chiabrera non consistette affatto nel non imitare, ma nell’imitare autori per l’innanzi non considerati classici, ovvero non ritenuti degni di essere imitati, i francesi della citata Pléïade; e si travada pure la sacrosanta notazione del Leopardi in merito al suo verso “incredibilmente stentato e arido”, che di grazia ronsardiana non ha un tubo di niente, ed è spesso di una bruttezza irritante); l’altra, che il Pascoli disinvoltamente connette alla prima (non abbiamo una lingua poetica perché imitiamo), ed è una levata d’ingegno da mozzare il fiato, in realtà, è una di quelle notazioni che, come tanta parte della sua poesia, non viene da nessun’altra parte che dalla testa, dal “cuore”, del Pascoli stesso. Ma ha relazione profonda con la realtà dei fatti: la natura profondamente intuitiva del Pascoli lascia andare gli ormeggj solo dopo che le basi, dottrinarie filologiche folosofiche, sono state stabilite, questo tanto in sede critica che in sede ‘lirica’.

E la notazione che agl’italiani manchi, effettivamente, una lingua poetica, è una smentita sonorissima proprio a quello che, un po’ nazionalisticamente, eravamo abituati a pensare soprattutto sulla scorta della paginetta leopardiana sull’italiano che, a differenza del francese, avrebbe una lingua poetica. Diceva il Leopardi, tra l’altro:

La duttilità della lingua francese si riduce a potersi fare intendere, la facilità di esprimersi nella lingua italiana ha di più il vantaggio di scolpir le cose coll’efficacia dell’espressione, di maniera ch’il francese può dir quello che vuole, e l’italiano può metterlo sotto gli occhi, quegli ha gran facilità di farsi intendere, questi di far vedere. Però quella lingua che purchè faccia intendere non cerca altro nè cura la debolezza dell’espressione, la miseria di certi tours (per li quali la lodano di duttilità) che esprimono la cosa ma freddissimamente e slavatissimamente e annacquatamente è buona pel matematico e per le scienze; nulla per l’immaginazione la quale è la vera provincia della lingua italiana: dove però è chiaro che l’efficacia non toglie la precisione anzi l’accresce, mettendo quasi sotto i sensi quello che i francesi mettono solo sotto l’intelletto, ond’ella non è men buona per le scienze che per l’eloquenza e la poesia, come si vede nella precisa efficacia e scolpitezza evidente del Redi del Galilei ec.

E:

Dalle due sopraddette ragioni intendete perchè la massima parte delle scritture e specialmente poesie francesi stanchino sopra modo. Il loro eterno stile di conversazione 1. dev’essere infinitamente meno vario del naturale, come l’arte della natura. 2. dà un colore uniforme alle cose più varie, ed un colore ch’essendo estraneo alla cosa, risalta, e stanca a brevissimo andare. In fatti osservate che le poesie francesi paiono tutte d’un pezzo, per la grande monotonia, e il senso che producono è questo, d’una cosa dura dura e non pieghevole, nè adattabile a niente.

E:

La lirica si può chiamare la cima il colmo la sommità della poesia, la quale è la sommità del discorso umano. Però i francesi che sono rimasti molte miglia indietro del sublime nell’epica, molto meno possono mai sperare una vera lirica, alla quale si richiede un sublime d’un genere tanto più alto. Il Say nei Cenni sugli uomini e la società, chiama l’ode, la sonata della letteratura. È un pazzo se stima che l’ode non possa esser altro, ma ha gran ragione e intende parlare delle odi che esistono, massime delle francesi. | I francesi non solamente non sono atti al sublime, nè avvezzi a sentirlo dai loro nazionali, o a produrlo in qualunque forma (applicate questa osservazione ch’è anche letteralmente di Lady Morgan, e universale, ai miei pensieri sopra Bossuet), ma disublimano ancora le cose veramente sublimi, come nelle traduzioni ec.

E:

Una delle prime cagioni della universalità della lingua francese, è la sua unicità. Perchè la lingua italiana (così sento anche la tedesca, e forse più) è piuttosto un complesso di lingue che una lingua sola, potendo tanto variare secondo i vari soggetti, e stili, e caratteri degli scrittori ec. che quei diversi stili paiono quasi diverse lingue, non avendo presso che alcuna relazione scambievole. Dante – Petrarca e Parini ec. Davanzati – Boccaccio, Casa ec. V. p.244. Dal che come seguono infiniti e principalissimi vantaggi, così anche parecchi svantaggi. 1. che lo straniero trova la nostra lingua difficilissima, e intendendo un autore, e passando a un altro, non l’intende. (Così nei greci) 2. che potendosi scrivere o parlare italiano senza essere elegante ec. ec. ec. lo scrittore italiano volgare scrive ordinariamente malissimo; così il parlatore ec. Al contrario del francese, dove la strada essendo una, e chiusa da parte e parte, non parla francese chi non parla bene; e perciò quasi tutti i francesi scrivono e parlano elegantemente, ma sempre di una stessa eleganza, e quanto al più e il meno, le differenze sono così piccole, che se i francesi le sentono nei loro diversi scrittori, agli esteri son quasi impercettibili. Laddove le differenze de’ buoni stili italiani, saltano agli occhi di chicchessia. Così anche dei greci. | E notate di passaggio che la lingua latina ha una strada molto più segnata e definita, e rassomiglia in questo alla francese. La cagione è che la lingua latina scritta, fu opera dell’arte (onde il volgar latino differiva sommamente dal letterale) come è noto, e come dimostra a prima vista la sua artificiosissima e figuratissima costruzione. Laddove la forma della lingua greca e italiana fu opera della natura, vale a dire che ambedue queste lingue si formarono prima della nascita, o almeno della formazione e definizione delle regole, e prima che gli scrittori fossero legati da’ precetti dell’arte. Così la natura è sempre varia, e l’arte sempre uniforme, o se non altro sommamente inferiore alla natura in varietà. | In somma lo straniero e il francese parla facilmente bene la sua lingua, dove la varietà non genera confusione o difficoltà all’imperito. | E l’unicità della lingua francese, e la moltiplicità dell’italiana apparisce più chiaro che mai dalla facoltà rispettiva nelle traduzioni. La lingua tedesca ancora, passa per sommamente suscettibile di prendere il carattere e la forma di qualunque lingua, scrittore, e stile, e quindi per ricchissima in traduzioni vivamente simili agli originali. Non so peraltro se questa facoltà consista veramente nello spirito dello stile, o solamente nel materiale, come par che dubiti la Staël nell’articolo sulle traduzioni. | Il fatto sta che i francesi vantandosi dell’universalità della loro lingua si vantano della sua poca bellezza, della sua povertà, uniformità, ed aridità, perchè s’ella avesse quanto si richiede per esser bella, e se fosse ricca e varia, e se non fosse piuttosto geometria che lingua, non sarebbe universale. Ma il mondo se ne serve come delle formole o dei termini di una scienza, noti e facili a tutti, perchè formati sullo sterile modello della ragione, o come di un’arte o scienza pratica, di una geometria, di un’aritmetica, ec. comuni a tutti i popoli, perchè tutti dalle stesse maggiori deducono le stesse conseguenze.

E soprattutto:

La poesia e la prosa francese si confondono insieme, e la Francia non ha vera distinzione di prosa e di poesia, non solamente perchè il suo stile poetico non è distinto dal prosaico, e perch’ella non ha vera lingua poetica, e perchè anche relativamente alle cose, i suoi poeti (massime moderni) sono più scrittori, e pensatori e filosofi che poeti, e perchè Voltaire p.e. nell’Enriade, scrive con quello stesso enjouement, con quello stesso esprit, con quella stess’aria di conversazione, con quello stesso tour e giuoco di parole di frasi di maniere e di sentimenti e sentenze, che adopra nelle sue prose: non solamente, dico, per tutto questo, ma anche perchè la prosa francese, oramai è una specie di poesia. Filosofi, oratori, scienziati, scrittori d’ogni sorta, non sanno essere e non si chiamano eleganti, se non per uno stile enfatico, similitudini, metafore, insomma stile continuamente poetico, e montato principalmente sul tuono lirico. E ciò massimamente è accaduto dopo l’introduzione de’ poemi in prosa, siano poemi propriamente detti, siano romanzi, opere descrittive, sentimentali ec. Ma i francesi che si credono i soli maestri e modelli e conservatori, e zelatori dello scriver classico a’ tempi moderni, non so in qual classico antico abbiano trovato questo costume, per cui non si sa essere elegante nè eloquente, senza andare a quella perpetua, dirò così, traslazione e metevrÛa e concitazione di stile, ch’è propria della poesia. (L’eloquenza di Bossuet, è appunto di questo tenore; tutta Biblica, tutta in un gergo di convenzione; e lo stile biblico, e questo gergo forma l’eloquenza e l’eleganza ordinaria d’ogni sorta di scrittori francesi oggidì.) Non mai sedatezza, non mai posatezza, non semplicità, non familiarità. Non dico semplicità nè familiarità distintiva di uno stile o di uno scrittore particolare, ma dico quella ch’è propria universalmente e naturalmente della prosa, che non è uno scrivere ispirato. Osservino Cicerone, osservino gli scrittori più energici dell’antichità, e mi dicano se c’è uomo così cieco che non distingua subito come quella è prosa non poesia; se ridotta questa prosa in misura, avrebbe mai niente di comune colla poesia (come accadrebbe nelle loro prose); se la prosa antica la più elegante, eloquente, energica, consiste, o no, in uno stile separatissimo dal poetico. Anche i loro scrittori de’ buoni secoli, sebbene la lingua francese ha sempre inclinato a questo difetto, nondimeno hanno un gusto e un sapore di prosa molto maggiore e più distinto (eccetto pochi), hanno non dico austerità, neanche gravità nè verecondia (pregi ignoti ai francesi) ma pur tanta posatezza e castigatezza di stile quanta è indispensabile alla prosa: come la Sévigné, Mme Lambert, Racine e Boileau nelle prose, Pascal ec. Anzi letto Pascal, e passando ai filosofi e pensatori moderni, si nota e sente il passaggio e la differenza in questo punto.

Non so se sia pura vendicatività francese, credo proprio di no, ma qualche anno fa Philippe Jaccottet (che comunque è svizzero), nell’accingersi a pubblicare la sua versione francese dei Canti dello stesso Leopardi, che hanno colmato una lacuna certo notevole nel catalogo della Gallimard e nella cultura francese in genere, denunciò notevoli difficoltà nel trovare una forma soddisfacente per il verso di questo Leopardi francese: disse che la sua lingua – ed è una disinvoltura che probabilmente ad un critico, o storico, italiano non sarebbe stata affatto perdonata – era, letteralmente, molto brutta, povera, patentemente desunta dal linguaggio melodrammatico, genericamente metastasiano. In effetti, il Leopardi, che di naturales quaestiones, perlopiù da giovinetto ma in profondità, si occupò, e che diede prova di grandi virtù descrittive (v. il Saggio sugli errori popolari degli antichi), non sostiene tanto che l’italiano ha elaborato una lingua poetica; esso italiano di fatto ha, o avrebbe, una lingua poetica proprio inquantoché non ha elaborato una propria versione artifiziata, come il francese, che in questo si accosterebbe al latino, lingua universale ai suoi dì come ai dì del Leopardi il francese; è poetico inquantoché è una poliglossia sostanziale, ed è rappresentato in sede libresca da autori tanto buoni quanto cattivi, laddove i francesi sono tutti buoni, ma nessuno eccellente. La poeticità, per il Leopardi, che conseguiva ad una stagione poetico-letteraria di recente sovvertita dal genio dell’Alfieri, che aveva centrato uno stile ben suo, ma che solo in alcuni dei sonetti si era accostato a certi esiti barocchi (il mulino…), senza peraltro raggiungere la conchiusa perfezione della rimeria del secolo precedente, e men che meno trascendendone i severi limiti, era un fatto del tutto interiore alla lingua e non solo spontaneo, ma procedente dalla stessa spontaneità primitiva in cui essa lingua era rimasta, di là da qualunque riordino accademico. Anche il Leopardi in questo subiva l’attrazione dei suoi tempi, senza levarsi abbastanza in sù da scorgere la falsità sostanziale del suo ragionamento; lo stesso italiano, piacesse o no, era una lingua profondamente artifiziata, pochissimo flessibile, su cui potevano pesare forze e attrazioni di diversissima estrazione, dalla tendenza al livresque toscaneggiante, all’inconscio gorgogliamento dei sostrati o dei dialetti o dei vernacoli, all’imitazione degli stranieri, &c.: laddove specialmente l’imitazione di una gamma molto ristretta di classici, neanche tutti i più grandi scrittori toscani (si pensi a quanto poco sia stato meditato, col fine di trarne indicazioni precise in tema di arte scrittoria, Dante, l’esempio ottimo massimo, tanto nel verso quanto nella superba prosa, quella sì imitabilissima, e con gran frutto, ed inspiegabilmente negletta), conferisce in generale un’unità di colorito, anzi una monotonia, che nei francesi effettivamente non si nota. Circa il verso francese, il discorso è tutto differente: è vero che si ha quell’impressione tutto d’un pezzo che il Leopardi denuncia, ed è vero che nella sua perfetta razionalità (puis vint Malherbe) il suo dettato risulta spesso arguto, specie a mano a mano che ci si allontana dal secolo d’oro, ma altrettanto spesso poco suggestivo: ma questo non dipende dalle qualità di una lingua troppo rigidamente normata, quanto dall’organizzazione logica. Il Leopardi sembra non aver tenuto nel debito conto, nel suo pur fecondo speculare, quali fossero le esatte origini, i perché remoti, di certi esiti più e meno felici: e ha denunciato nella lingua, quasi sistema generatore di valori, quello che probabilmente doveva essere cercato più esattamente o nel lessico o nella sintassi.

Quando il Pascoli muove i primi passi, insomma, il suo antecedente più illustre, che è appunto Leopardi, non gli fornisce affatto lumi; proprio perché il Leopardi, impegolato in questioni di lingua, s’era formato un concetto di poesia assai inferiore rispetto alla poesia di cui era capace, che pure da questa mancata messa a punto traeva qualche squilibrio: per esempio, l’idea che la vaghezza, ossia l’imprecisione, e dunque anche l’astrazione, sia sinonimo di poeticità, un concetto che il Pascoli non poteva assolutamente condividere, dato l’impegno lessicale, addirittura maniacale, delirante, di cui sanno anche i sassi ch’era capace. Sia nel Leopardi sia nel Pascoli il contatto coi classici, attraverso la più aggiornata filologia dei rispettivi tempi, fu serratissimo e assai fecondo; ma nel Leopardi prevale in qualche modo il traduttore, secondo una mentalità di approccio ai testi ancòra di ascendenze settecentesche; nel Pascoli, che comunque aveva che fare con una filologia assai matura (il filologo Leopardi era un superato già ai tempi del Settembrini, ricordiamo), la lingua era molto naturalmente tornata ad essere un tramite, e non un valore in sé; e un valore in sé proprio in quanto tramite – sì, ma tra mondo dei morti e mondo dei vivi; interfaccia, per così dire, tra mondi, non mondo in sé. Il modo, dunque, di affrontare la lingua da parte del Pascoli è molto più sensibile e spregiudicato; non solo, ma la lingua stessa è ben lontana dall’apparirgli quel monoblocco, generatore di significati, che appariva al Leopardi. Essa, aristotelicamente, è cera molle; la lingua dev’essere rispettata in tutti i suoi valori inquantoché messaggera di senso; ma, sempre aristotelicamente, è un corpo dai confini incerti, tutto nella storia, in perenne trasformazione, con acquisizioni continue e continue cadute in obsolescenza. La poesia tenta, dolcemente e sempre in nome d’una bellezza (cioè congenialità; mai bellezza assoluta, dato che il decadente Pascoli – poiché Pascoli è un decadente – non può credere in alcun assoluto che non sia del tutto nebuloso e remoto), i limiti della lingua; non c’è componimento del Pascoli in cui la lingua, in effetti, non subisca qualche trauma, qualche meditata felice forzatura oltre le procedure imposte. Di qui sono ovviamente frequenti i ripescaggj di forme desuete, le immissioni di termini teoricamente esclusi dall’àmbito poetico, e certi esperimenti, non importa quanto poi in sé felici (se pure è possibile distinguere, in una poesia così accogliente, e al fondo tutta risolta, anche nei suoi teorici squilibrj, dall’estrema sincerità dell’autore), ai limiti del glossoplastico, come le famose onomatopee, il pet hate del Croce; laddove appunto la dirittura estetico-morale del poeta è talmente ferrea, nella sua dolcezza assorta, nel suo blando gemito di dissepolto, da consentire concatenazioni di effetti fonici di densità inarrivabile, che in altri sarebbero artificj insostenibili, e nel Pascoli sono un pregio sostanziale e inscindibile dal complesso dei suoi molti altri pregj.

Ci sarebbero moltissime altre cose da aggiungere, ma non mette conto farlo, almeno non qui e non sùbito. Ci sarebbe, semmai, da prendere le distanze dal già detto qui, concludendolo, e ricominciando da capo con un bel parallelo tra Leopardi e Pascoli. Per esempio, il Leopardi, come dimostra in verso e in prosa incessantemente, ha in comune con il Pascoli la visione – merce rarissima, che distingue immediatamente e senz’appello il versificatore dal poeta. Il canto del pastore errante dell’Asia (già in sé una visione) e le mummie di Ruysch, alla faccia di quello che lo stesso Leopardi può aver teorizzato, non sono, nella loro sostanza, direttamente attinenti alla lingua se non in quanto tutto, alla fin dei conti, è ad essa attinente; allo stesso modo che tanto di quello che il Pascoli sa mostrarci. Però, il Pascoli, con un’arte più scaltrita, che per la verità non dipende tanto dall’acqua passata sotto i ponti, e dal fatto che il Leopardi ce l’aveva alle spalle, quanto proprio da una condizione esistenziale, prelinguistica, fortemente etica, che lo posero – caso unico, credo, nelle nostre lettere (parlo dei grandissimi) insieme a quello di Dante solo – nelle condizioni di capire a fondo, prima dello straordinario potere della poesia, della sua incredibile capacità di fondare e rifondare mondi, innanzitutto l’impotenza, la miseria, la pochezza della poesia. Leopardi, esattamente come il Petrarca, trasse dalla poesia, dal commercio coi libri, cominciato prima, quasi, che quello cogli uomini, prestigio, ausilio, e quindi forza. Dante e Pascoli cominciarono a scrivere dopo un fallimento esistenziale non cercato, non voluto, non meritato, in fase liminare, che li colse in condizioni di estrema debolezza e non lasciò loro scampo. Il Pascoli fu peraltro discutibilissimo, benché industre, commentatore di Dante, di cui sentì forse più la sfida intellettuale che il reale spirito; e di Dante non sopravvive, credo, quasi nulla nel Pascoli. Ma non importa; la loro virtù, in quanto pre-poetica, non può conoscere imitazioni, quindi non può conoscere nemmeno filiazioni riconoscibili, semmai sintonie – che però non sono nemmeno necessarie. 

Sennonché c’è un’impavidità di fondo, un coraggio, un respiro cosmico, che spiace assai non veder riconosciuto al Pascoli, dal momento che, appunto a parte Dante, è proprio lui, e non altri, il poeta di più ampia visione della nostra poesia. In certi momenti, quando mi ricapita di incontrare questo fantasma pensoso, questo amabile cadavere, e torno a rivederne in recessi appartati – forse troppo – le silenziose, incredibili pirotecnie, risovvenendomi dei luoghi comuni che amiamo ripeterci a proposito della povertà delle nostre lettere, della nostra poesia, mi sembra di trovarmi in mezzo ad un popolo d’asmatici che preferisce morir soffocato invece di ricorrere alle abbondanti scorte di ossigeno che pure ha a disposizione, in vista e a portata di mano.

Il Pascoli, che lesse un po’ di tutto, è stato, per giunta spiegato un po’ asfitticamente, sicché s’è tralasciato tutto quello che, in termini suoi, ha reinterpretato della poesia ultronea: qua e là, rileggendolo emunctae naris, chiunque può riconoscere strane echi di Rimbaud, di Swinburne, di Byron, come di parte del romanzo contemporaneo (non solo Tolstoj). Cosa che ha abbastanza dell’incredibile, con l’onniscienza, anche inter-nazionale, propria dei morti, il Pascoli è anche l’unico scrittore, nonché poeta, nostro che conosca la eeriness. In questa breve lirica – che ha un incipit un po’ impacciato e retorico – c’è qualcosa del Byron astrale sulla morte dei mondi, e naturalmente è tutto molto adatto ad un parallelo con Leopardi, e la Guacci-Nobile. Ache se il Pascoli fa un passo avanti rispetto a tutti costoro, essendosi proposto di mutare la nostra sensazione della gravità dei corpi, cioè del potere d’attrazione del centro della terra, che ci tiene attaccati al suolo. L’intenzione primitiva era quella di analizzarla, riportando innanzitutto la sbrodolata del Vicinelli in merito, ma dopo le parole del Pascoli è impossibile sentire un’altra voce, a maggior ragione se stonata. Inoltre, la poesia non necessita esattamente di note, ma solamente di grande attenzione, e anche di qualche rilettura, che non guasta e non pesa in questo caso. In più, e non è la cosa di minor peso, mi sono già dilungato più che a sufficienza.

Ci sono alcune parti, soprattutto le strofe 3, 4 e 5, a proposito delle quali il povero Vicinelli dice: “meditazione che alle volte si fa più ingegnosa che commossa e lirica” (p. 261 n), ma non hanno difetto per me sensibile. Mentre ho anticipato che il primo verso e mezzo è , abbastanza indiscutibilmente, un po’ troppo declamato e inerte. Propongo di sostituirlo con l’immagine di un bambino morto che si dondola a testa giù da un ramo, e guarda il tutto da quella prospettiva.

LA VERTIGINE

    Si racconta di un fanciullo
    che aveva perduto il senso
    della gravità…

     

    I

    Uomini, se in voi guardo, il mio spavento
    cresce nel cuore. Io senza voce e moto
    voi vedo immersi nell’eterno vento;

    voi vedo, fermi i brevi piedi al loto,
    ai sassi, all’erbe dell’aerea terra,
    abbandonarvi e pender giù nel vuoto.

    Oh! voi non siete il bosco, che s’afferra
    con le radici, e non si getta in aria
    se d’altrettanto non va su, sotterra!

    Oh! voi non siete il mare, cui contraria
    regge una forza, un soffio che s’effonde,
    laggiù, dal cielo, e che giammai non varia.

    Eternamente il mar selvaggio l’onde
    protende al cupo; e un alito incessante
    piano al suo rauco rantolar risponde.

    Ma voi… Chi ferma a voi quassù le piante?
    Vero è che andate, gli occhi e il cuore stretti
    a questa informe oscurità volante;

    che fisso il mento a gli anelanti petti,
    andate, ingombri dell’oblio che nega,
    penduli, o voi che vi credete eretti!

    Ma quando il capo e l’occhio vi si piega
    giù per l’abisso in cui lontan lontano
    in fondo in fondo è il luccichìo di Vega…?

    Allora io, sempre, io l’una e l’altra mano
    getto a una rupe, a un albero, a uno stelo,
    a un filo d’erba, per l’orror del vano!

    a un nulla, qui, per non cadere in cielo!

    II

    Oh! se la notte, almeno lei, non fosse!
    Qual freddo orrore pendere su quelle
    lontane, fredde, bianche azzurre e rosse,

    su quell’immenso baratro di stelle,
    sopra quei gruppi, sopra quelli ammassi,
    quel seminìo, quel polverìo di stelle!

    Su quell’immenso baratro tu passi
    correndo, o Terra, e non sei mai trascorsa,
    con noi pendenti, in grande oblìo, dai sassi.

    Io veglio. In cuor mi venta la tua corsa.
    Veglio. Mi fissa di laggiù coi tondi
    occhi, tutta la notte, la Grande Orsa:

    se mi si svella, se mi si sprofondi
    l’essere, tutto l’essere, in quel mare
    d’astri, in quel cupo vortice di mondi!

    veder d’attimo in attimo più chiare
    le costellazïoni, il firmamento
    crescere sotto il mio precipitare!

    precipitare languido, sgomento,
    nullo, senza più peso e senza senso.
    sprofondar d’un millennio ogni momento!

    di là da ciò che vedo e ciò che penso,
    non trovar fondo, non trovar mai posa,
    da spazio immenso ad altro spazio immenso;

    forse, giù giù, via via, sperar… che cosa?
    La sosta! Il fine! Il termine ultimo! Io,
    io te, di nebulosa in nebulosa,

    di cielo in cielo, in vano e sempre, Dio!

     

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie giovanni pascoli

673. Questioni d’alta politica (la storica beffa di piazza Carlo Alberto).

6 Dic

Qui, dove stando a Petruccelli della Gattina Verdi avrebbe dato il Trovatore per poter fare almeno un discorso; dove il Settembrini, che era stato accolto festevolmente coll’aspettativa d’un discorsone oleografico, deluse tutti con un modest proposal inerente al piano del traffico, contestando la scelta di allargare le strade di Napoli col fine di renderla più simile a quella stessa Torino che s’incoronava a quei dì nana regina d’Italia, e le cui prospettive slargate consentivano, giusta l’osservazione del président de Brosses, un controllo paranoico su tutti gli abitanti (le strade strette, notava il professore, rendono possibile la guerra di trincea; dovesse venire un re stronzo, noi come ci difendiamo?); qui, dove un Carlo Alberto di tre metri sembra muovere, arma sguainata, contro la stessa prisca sede del parlamento italiano; qui, dico, l’alta politica non è morta come potrebbe sembrare a prima vista. Solo che si svolge di notte. La mia posizione, particolarmente privilegiata, è grosso modo sotto l’arco in centro della trifora che a sua volta si trova in posizione di centro: anche in questo senso posizione per sé centralissima, dunque: e propizia per avere sempre sotto gli occhj il primo dei Carignano,  caso mai avesse un colpo di testa e decidesse di dar la carica – rimane pur sempre casa sua, non bisogna dimenticarlo, e devo anche cogliere l’occasione per aggiungere che come anfitrione è per taluni versi spartano, dato che scarsa è la suppellettile nel mio alloggiamento, ma per altri magnifico, poiché in quasi un anno di permanenza non fui tenuto all’esborso di un centesimo che uno.

Il pernottamento, fatti salvi i finesettimana, è placido, le condizioni igieniche sufficientemente garantite, la compagnia discreta. Posso ricevere visita praticamente a qualunque ora, persin verso le 2.00, quando mi portano panini e briosce; lamentevole rimane l’invadenza di torme di spagnoli (perché spagnoli? come mai Torino ultimamente è così intasata di giovini spagnoli rumorosi ed alcolizzati? epperò ho avuto modo di scoprire che hanno cara, anche loro, l’interiezione “ostia!”, che nel loro idioma ha una modulazione tutt’affatto particolare) che lasciano sotto i portici, nelle notti di neve o di pioggia, una spianata di cartoni di tavernello, acinello & pampinello mezzi spremuti con quarti di bottiglie di pseudocola e succo d’ananasso; ma non si può avere tutto.

In compenso val sempre la pena di abitare in centro: la vera vita è lì. A maggior ragione davanti alla sede del Parlamento, che non può solamente servire a ricettare negli anditi il pisciatojo dei residenti, degli studenti spagnoli e dei tamarri reduci dalle serate alcoliche in quel puttanajo di via principe Amedeo.

Sicché questa notte, vegliando in compagnia dell’antologia Le tre corone – Carducci, Pascoli, D’Annunzio, per cura d’Augusto Vicinelli, verso le 3.00 ho visto.

Ho visto l’eroico manipolo degli anarcoinsurrezionalisti avanzare, con un fracasso indicibile in sulle prime impossibile a sapersi da che prodotto, tra scambj di ordini e direttive dell’ultimo minuto (“Ohi raga, servono sacchetti”, “Non ne abbiamo più!”). Ho visto la quindicina di giovani eroi accostarsi al monumento, brandendo oggetti gialli in sul momento non riconoscibili per quel ch’erano – caschi, erano.

Ho visto cinque o sei di loro montare sull’alta base, a incoronare le figure allegoriche – facendo cadere i caschi solo tre o quattro volte, con molto rumore – , e i quattro altissimi soldati di guardia – salendo il secondo piano della costruzione, che è su tre livelli. E ho visto quell’unico e solo segnalato ardimentoso che ha espugnato la cima del monumento, fronteggiando impavido la figura enorme di Carlo Alberto minaccioso in groppa al corsiero gigante; l’ho visto piegare le ginocchia agili, e spiccare il balzo, e protendere in avanti, e sopra la testa, il casco, tentando di fargli raggiungere quello bronzeo del re; l’ho visto ripetere l’operazione, industrioso, indefesso David con la fromba d’un casco di plastica gialla, alle prese con un Golia bronzeamente indifferente. L’ho visto ripetere instancabile il gesto, tre, quattro, cinque volte. L’ho visto fallire cinque, sei, sette volte, e infine quasi farcela. Ma non tutto si può avere al primo colpo: altre occasioni ci saranno, più propizie per la causa. Il giovane eroe è infine sceso dal monumento, saltando con mirabile destrezza dall’ultima alla mastaba mediana, e poi raggiungere con armonioso fulmineo movimento il livello del suolo, saltando dall’altissimo piedestallo; senz’esser riuscito nell’impresa, ma sicuro in cuor suo d’aver vinto la sfida con la forza dell’intento adamàntino, con la buona fede sempre invitta. I maschj, impegnati nell’esercizio quant’altri mai virile, volteggiavano sul morto ammasso di marmo e di bronzo come i giovinetti di Micene sulle groppe marmorizzate dei tori selvaggj; le femmine, accompagnando coi gridolini festosi ed esortatìvi l’impresa, accorrendo laddove uno dei preziosi caschi, sfuggito di mano ai coraggiosi, subiva la legge di gravità, erano il ritratt0 d’una muliebre sollecitudine, e le piccole Estie degl’imberbi ma temibili guerrieri; scattarono ripetutamente i flash dei telefonini, immortalando la visione superbamente anarcoinsurrezionalista. Velocemente com’erano venuti li ho visti andarsene, sorridenti e soddisfatti, il più ardimentoso coll’ultimo casco giallo in mano – e la promessa in cuore: Carlo Alberto, sarai espugnato! la causa lo esige. Sennò Massimo Numa che cazzo gli rimane da scrivere, sulla Stampa?

Potevano essere le 3.00.

Potevano essere le 3.30 quando una macchina bianca e lunga, sgommando, ha raggiunto precipitosa la piazza. Ne sono scesi un uomo e una donna. Hanno cominciato, con la massima serietà del mondo, a fotografare la traccia vistosa dell’eroica beffa. Poi, con la stessa fretta dannata, sono rimontati in macchina, e se la sono data.

Potevano essere le 4.00 quando un’alta figura di giovine uomo è sfrecciata lungo la parte esterna dei portici, reggendo un oggetto piccolo, non visibile, nelle mani. S’è posto di spalle alla mia posizione – dalla quale ho potuto notare che aveva un bel giacco rosso e, ad occhio e croce, un culo magnifico – , come appoggiandosi sul bidone verde della spazzatura. Tutta la sua attitudine, concentrata e seria, l’impossibilità di notare l’oggetto che aveva in mano e intorno cui pareva star aggeggiando, m’hanno indotto a pensieri preoccupati: dopo l’eroico gesto, che fosse venuta l’ora tragica dell’attentato? Che stava facendo, il giovane dalle chiappe scolpite? Poteva essere una bombacarta, una carica di trinitrotoluene, un petardo? In brevi istanti ho contemplato la possibilità di raggiungerlo alle spalle, tramortirlo con una scarpata in testa e portarmelo nel sacco a pelo: avrei evitato un infarto alla vecchiarda che dorme più in giù e avrei trovato un modo piacevole di passare il resto della notte (almeno finché non risensasse). Ma non ce ne fu né il bisogno (fino ad un certo punto, ovviamente), né il tempo: anch’egli, forse, era venuto per garantirsi memoria eterna dell’impresa, e quella che tratteneva nelle mani era probabilmente solo una macchina fotografica, un telefonino, un coso. Scivolando, ombra inquieta, lungo la serie degli archi spalancati sulla scena epocale, s’è dileguato: poco dopo una portiera sbatteva, e un’altra macchina sfrecciava a tutta velocità sù per via principe Amedeo.

Potevano essere le 4.30 quando, assai lentamente, una macchina della polizia a lampeggianti spenti ha fatto il suo ingresso nella piazza. Ha parcato con molta flemma al lato del monumento, e un agente ne è sceso. Pensosamente ha cominciato a girare intorno al simulacro, con grande circospezione: non occorre grande sforzo d’immaginazione per capire quali vorticosi pensieri gli frullassero nel capino. D’altra parte, come spiegarsi l’incòndita visione? Come chiedere ad un angusto cervello di tutore dell’0rdine di ricostruire l’ingegnosa successione dei movimenti calcolati, la precisione delle operazioni, lo scalamento dell’alto zoccolo, impresa già piena di pericoli, incrementati dalla necessità di compierla con il casco in mano – ma io ho fiducia illimitata in questi imberbi eroi: la prossima volta scommetto che non sarà loro impossibile affrontare la scalata colle mani libere, e solo poi farsi lanciar sù i caschi dalle loro fedeli; ne dubitate? Chi vivrà vedrà – , l’espugnazione del secondo piano della costruzione, il posizionamento dei caschi sulle teste delle quattro ciclopiche guardie del re: e alla visione dell’umile tutore mancava la riprova dell’atto più splendido, la conquista della regal capocchia, che era cosa fatta, in pectore, solo per me inveduto osservatore, e per gli autori, e i loro anelanti sodali! Ma quanto poteva essere storicamente comprovato, ed era già archiviato nelle memorie di tanti e tanti telefonini, era sufficiente allo sbigottimento dell’ingenuo graduato, a cui furono necessarj non meno di sei giri completi del monumento per rendersi conto della realtà fattiva, non meno del marmo, non meno del bronzo, dell’atto stupendo, benché non irripetibile!

Potevano essere le 5.00, o poco meno, quando finalmente, con flemma tutta ufficiale a sua volta, la mole sferragliante di un automezzo dei vigili del fuoco ha fatto a sua volta ingresso nella piazza; la macchina, con stolida cautela statale, con tutta la bovina pazienza a cui può abituare uno stipendio a carico dei contribuenti, ha protruso un braccio di metallo, che terminava in una gabbietta, sorta di balconcino mobile; all’interno del quale, con tutti i segni della più profonda costernazione a gravargl’il complesso della fisionomia, un tetro omino, sormontato da un casco del tutto simile a quelli dei soldati del re, si accingeva ad un’operazione quasi al disopra delle sue forze. Potevano essere le 6.30, e almeno quattro caschi erano stati pazientemente rimossi.

Le luci dell’alba hanno sorpreso gli ultimi sudori sparsi dall’agente volante, allorché il simulacro di Carlo Alberto e dei suoi attendenti aveva riacquistato la prisca, bronzea nudità.  

Al momento d’accendere il mio primo mozzone, nessun segno superstite denunciava i fatti della notte. Ma essi rimangono bulinati al vivo in tanti scintillanti pixels; e ora hanno fresca la loro concelebrazione.

AD MAJORA!!!

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie alta politica, palazzo carignano, piazza carlo alberto

672. “Il venait d’avoir dix-huit ans” / “Diciotto anni”.

3 Dic

La gentile Veronica La Sarda Collu ha linkato, poco tempo fa, sulla board di Roberto Donati su facebook, una canzone veramente orrenda, cantata dalla tristissima Dalida, Il venait d’avoir dix-huit ans, nella versione italiana Diciotto anni (“Diciotto anni ed era lì” nella versione ritmica). Peraltro in rete si incontra il testo, ortograficamente non molto corretto (e in terza persona, “elle”, laddove Dalida canta “je”, “moi”), a firma di Franco Battiato: non sapevo che fosse sua, e francamente non lo so nemmeno adesso, perché non so se fidarmi. Altrove si dice che è stata scritta da tali P. Sevran / S. Lebrail / P. Auriat, e per quanto l’idea che ci si siano messi in tre a concepire un tale aborto sia in sé quasi fatale, ritengo che siano essi i veri autori (il testo, che presenta qualche curioso preziosismo, che fa sorridere nojaltri rozzi italiani [“Il venait d’avoir dix-huit ans  / c’était le plus bel argument / de sa victoire / il ne parlait jamais d’amour / il pensait que les mots d’amour / sont dérisoires…”], è altamente idiomatico, di mano decisamente francese), e che Franco Battiato possa essere solamente il responsabile della versione italiana. Ammenoché il sito che riporta l’originale francese a nome suo abbia riportato semplicemente una cialtronata, nel qual caso chiedo umilmente scusa.

Le versioni italiane delle canzoni straniere sono una cosa impestatissima: questo perché l’italiano si distingue tra tutte le altre lingue per le parole infinitamente più lunghe; quando va bene, cresce una sillaba, quando va male l’italiano potrebbe richiedere perifrasi d’una cinquantina di righe per suggerire quello che l’inglese o il francese esauriscono in tre parole. Questo dipende soprattutto dal fatto che nessuno ha mai pensato a rendere l’italiano più maneggevole, approfittando della sua – grande o piccola non importa – ricchezza lessicale e della sua sintassi, che per converso è piuttosto snella proceduralmente, e non necessita di tutte le indicazioni grammaticali (pronomi in testa) di cui hanno bisogno altre lingue europee e non solo. Inoltre c’è un linguaggio della canzone che, quando ci si esprime in italiano, dev’essere necessariamente elementare, piatto, banale, in modo che l’uditorio capisca che si tratta di una canzone e non del messo comunale con un’ingiunzione di pagamento in mano.

La presente canzone è ispirata ad un film di Autant-Lara, vecchio nazista sciovinista francese morto a quasi cent’anni una decina d’anni fa, che nel 1954 girò Le blé en herbe, tratto da un romanzo della tardona Colette, e rititolato in italiano come Quella certa età. Racconta, come fa quasi sempre Colette quando non parla della sua barbosissima adolescenza provinciale, del rapporto bavoso tra una carampana e un fresco giovinetto. In questo caso il giovinetto è appena maggiorenne, e la pedofila ha 36 anni (deux fois dix-huit ans), quindi non è nemmeno così cadente, per quanto truccata col nero intorno agli occhj (blu nella versione italiana, per ragioni di rima) e i capelli sciolt’in sulle spalle faccia ridere il bamboccio (che cionondimeno la tromba; nella versione francese “elle découvrit émerveillée / un ciel superbe”). Il testo francese è questo qui:

Il venait d’avoir dix-huit ans
il était beau comme un enfant — fort comme un homme
c’était l’été évidemment
et je comptais en le voyant  — mes nuits d’automne
je mis de l’ordre a mes cheveux
un peu plus de noir sur mes yeux — ça l’a fait rire
quand il s’est approché de moi
j’aurais donné n’importe quoi — pour le seduire
Il venait d’avoir dix-huit ans
c’était le plus bel argument  — de sa victoire
il ne parlait jamais d’amour
il pensait que les mots d’amour — sont dérisoires
il me disait: “j’ai envie de toi”
il avait vu au cinéma — “le blé en herbe”
au creux d’un lit improvisé
je decouvris émerveillée — un ciel superbe
Il venait d’avoir dix-huit ans
ça le rendait presque insolent — de certitude
et pendant qu’il se rhabillait
déjà vaincue, je retrouvais — ma solitude
j’aurais voulu le retenir
pourtant je l’ai laissé partir — sans faire un geste
il m’a dit: “c’était pas si mal”
avec la candeur infernale — de sa jeunesse 
J’ai mis de l’ordre à mes cheveux
Un peu plus de noir sur mes yeux, — par habitude
J’avais oublié simplement
Que j’avais deux fois dix-huit ans…
 

Il testo italiano è questo che segue; l’aspetto gustoso è che qualche italiano ha trascritto come poteva il testo francese, mentre il testo italiano si trova trascritto su un sito francese, con effetti speculari (dunque ho dovuto correggere un po’ l’orthographe):

18 anni ed era lì
Col volto ancora da bambino — Eppure uomo
Come l’estate mi incendiò
Ed io guardandolo contai — I miei autunni
Ho messo agli occhi un po’ di blu
Ed i capelli un po’ piu giù — L’ha divertito
Quando è venuto incontro a me
Avrei pagato non so che — Per conquistarlo
18 anni e stava lì
Era già tutta nell’età — La sua vittoria
Perché parlare mai d’amor
Diceva che parlar d’amor — E’ vecchia storia
M’ha detto “ho voglia di te”
Il suo respiro su di me — Aveva fretta
Un letto improvvisato e poi
Tra le sue braccia mi si aprì [od “offrì”] — Un cielo immenso
Coi 18 anni stava lì
Che lo rendevano insolente — Di sicurezza
E si era appena rivestito
Che io sconfitta ritrovai — La mia tristezza
Volevo dirgli “resta qua”
Ma per fermarlo non tentai — Neppure un gesto
M’ha detto “mica male sai”
Con il candor senza pietà — Dell’incoscienza
Ho messo agli occhi un po’ di blu
Ed i capelli un po’ più sù — Come ogni giorno
Mi ero scordata per un po’
Di aver due volte 18 anni

Oltre a tutte le nuances (per la verità abbastanza di mezza tacca) o sfumature, come suol dirsi nostralmente, che ovviamente saltano a causa della carenza di spazio, quello che maggiormente colpisce, e che si nota abbastanza regolarmente quando il traduttore italiano è alle prese con un testo d’intonazione elegiaco-crepuscolare – un altro esempio, anche questa una canzone cantata da Dalida, “Bang bang“, fatta così bene da Nancy Sinatra, in italiano una stronzata atomica – , è l’indelicatezza, la grossolanità. C’è da contestare che la compresenza un po’ anfibia del bambino e dell’uomo nel ragazzo non sia resa come nell’originale: il était beau comme un enfant / fort comme un homme; era bello come un bambino e forte come un uomo, ossia, per aspetti diversi, uomo e bambino insieme. E’ una caratteristica di molti maschj tra i diciotto e i ventun anno, e questo contribuisce al loro fascino, perché la loro apparenza è delicata, ma la loro forza già virile. Il testo italiano fa saltare questa coincidentia oppositorum, sembra, in favore dell’uomo: “Col volto ancòra da bambino – eppure uomo” è sbilanciare tutto verso il secondo termine, dando anzi il sospetto che il primo sia proposto come deminutio, o come apparenza ingannevole sotto la quale la sostanza dell’uomo, fortunatamente, è viva e presente. O addirittura che quel volto da bambino sia una specie di difetto, che la potenza sessuale fattiva del giovine stallone vale a smentire interamente. Non c’è nemmeno il vantaggio dell’effetto-sorpresa: egli sembra piccolo, si dice, ma è già grande, ossia è perfettamente in grado di ouvrir un ciel superbe alle carampane con la forza dirompente dell’ammennicolo. Non è poco grave difetto.

Proseguiamo. Ovviamente non occorre scivolare nel marinismo, ma il testo francese, un po’ gransecolaristicamente, bisquitta antitetizzando: “c’était l’été évidemment  / et je comptais en le voyant  — mes nuits d’automne“, ovvero: “egli appariva esattamente come l’estate / e io contavo, guardandolo, – le mie notti d’autunno”. Il giovinetto è come un’ipostasi del pieno rigoglio stagionale, laddove la carampana, ovviamente, rappresenta l’autunno, la decadenza; con l’immissione di quell’immagine delle “nuits“, che oltre ad aggravare la tetraggine dell’immagine confacente alla donna, rendono – in qualche modo asimmetricamente – anche l’idea della sua profonda solitudine sessuale – come è precisato anche più avanti. Il testo italiano semplifica: “Come l’estate mi incendiò / Ed io guardandolo contai — I miei autunni“; laddove gli autunni starebbero con grigia ironia ad indicare le fraseologiche primavere. L’immagine è più simmetrica, ma lui, meno poeticamente, smette di essere l’estate, e lei non è l’autunno come nell’originale; e ci si potrebbe anche chiedere alcunché intorno alla liceità di rappresentare l’insorgere dell’estro coll’immagine d’un’estate che incendia; che non è molto precisa. Ma soprattutto l’immagine è troppo rilevata e, appunto, flamboyant per il contesto, che è crepuscolare e lagrimoso. Scivoliamo sopra il “blu” dato agli occhj – di per sé non brutto, ma la precisione lirica dell’originale contempla un “noir” che è più adatto a far ridere un crudele diciottenne: l’azzurro infatti avrebbe alleggerito, si sarebbe notato appena (e sarebbe stata la nota più confacente alla tardona, che cosmeticamente fa esattamente l’opposto del raccomandabile), mentre il noir, pateticamente, le marca i tratti, e la fa anche un po’ mignotta. Di qui, ovviamente, il riso del giovine trojetto. Dev’essere fors’anche notato che il movimento dei capelli, che l’italiano precisa dal basso verso l’alto, in francese non c’è: la passa non mette prima i capelli “un po’ più giù” e poi “un po’ più sù”, li mette semplicemente in ordine, dice l’0riginale.

“Çà l’a fait rire” è reso con un crasso “l’ha divertito“, che la cantante sottolinea mi pare in modo detestabile – d’altra parte l’organizzazione sintattica in francese è più naturale, e dunque perspicua, mentre l’esecutrice, tra i capelli un po’ più giù e il divertimento del giovane porco, doveva pur far sentire un minimo stacco. La strofa seguente è ben fatta, anche perché la rima è stata recuperata (“vittoria” / “vecchia storia”) con un escamotage che, come le prestazioni della damazza, non è niente male; e tuttavia il francese ha una preziosità fanée – quel bel argument già accennato – che l’italiano non raggiunge, sicché la strofa meglio riuscita dal punto di vista traduttorio è anche la più sbagliata dal punto di vista del colorito.

La cosa peggiore in assoluto è tuttavia la versione di “il me disait: “j’ai envie de toi” / il avait vu au cinéma — Le blé en herbe“, dove c’è riferimento al film ispiratore della canzone; qui si vede che il traduttore s’è infojato, e non solo ha tranciato via riferimento e tutto, ma ci ha ficcato dentro un’immagine, nuovamente, troppo sudorosa: “M’ha detto “ho voglia di te” / Il suo respiro su di me — Aveva fretta“; che è imperdonabile, poiché, avendo comunque deciso di estromettere il riferimento al film, poteva anche escogitare qualcosa di sintatticamente articolato, mentre l’immagine è da stalla (il suo respiro su di me!), e si tratta di due frasi nucleari, una per giunta con verbo implicito, ineleganti perché non legano, e che inoltre contraddicono completamente all’atmosfera tenue e piangolosa della gracile canzonetta. Non è mestieri il dire come la prognata Dalida, con quel sorriso melenso perennemente stampato sul grifo da doccione, aggravi ulteriormente la situazione esalando un “aveva fretta!” interiettivo anzichenò, che l’emissione falsettante da vecchio disco rende ancor più disgustosa. L’eccitante piccolo stronzo dell’originale francese non ha affatto questo sentor d’aldamara addosso.

Ritornellando, i francesi iterano “Il venait d’avoir dix-huit ans“, mentre il traduttore, scorrettamente, inferisce un “coi diciott’anni stava lì” – stava lì cosa? a far che? – , dopodiché, ricalcando malamente il francese, prosegue: “che lo rendevano insolente – di sicurezza“. L’italiano è zeppo di francesismi, che periodici rigurgiti puristi hanno talora tentato di sterminare dalla circonferenza del dicibile in questo idioma, ma questa movenza non ha nemmeno la scusante d’essere, nonché in qualche modo tradizionale, almeno tràdita da alcun testimone: càpita talora di intendere movenze, soprattutto da ultimo, come “ti amo di bene”, per esempio, che implicita un’idea d’amore intenerito, con la costruzione genitivale in tutto sommato prevista funzione di specificazione, per quanto in casi consimili possa sonare, e suoni in effetto, stravagante. Ma, appunto, è nell’uso; da quando in qua, invece, si disse in italiano che un diciottenne, per quanto stronzo e piacente, è “insolente di sicurezza“? Posso dire della corriera che è “esasperante di lentezza“? Posso dire del fulmine che è “assordante di tonitruanza“? Posso dire del casigliano che è “rompicoglioni di rumorosità“? Dato che voleva aderire al testo non gli occorreva fare molto sforzo per defecare un modesto “che ne rendevan più insolente – la sicurezza”, mi pare.

“La mia tristezza” deve rimare con “sicurezza“, ma il francese ha “certitude” e “solitude“, che è più preciso. “J’aurais voulu le retenir” è molto più elegante e intonato coloristicamente di un prosaico “Volevo dirgli: Resta qua“. Un “Feci per dirgli: Stai con me”, o un insinuante “Vai già via?” sarebbero stati più indicati, e non più difficili da trovare. Anche perché il traduttore (la canzone, ricordiamo, è del 1973, ha l’età della tardona e più) non si pèrita dal ricorrere a brutte tronche, come nel caso di quel “candor senza pietà”, che sostituisce malamente quella candeur infernale dell’originale; senza poi dire quanto meno affascinante sia l’incoscienza – in fondo, che ne sappiamo dello stronzetto? E’ veramente incosciente, lui che ride in muso alla tardona pittata, che alla fine dice “Beh, mica male”? – di quella jeunesse che, come sappiamo, non è nemmeno possibile tradurre in italiano, dov’è prevista una parola irredimibilmente e intrinsecamente vecchia come “giovinezza“. Le due volte diciott’an-ni della versione italiana costringono all’aggiunta sgraziata di una sillaba, che Dalida peraltro accenta davvero con un candor senza pietà, probabilmente avendo in mente la superiorità dell’originale francese.

La cosa più importante, poi, è che il giovinetto venait d’avoir diciotto anni nella versione francese, ossia li aveva appena compiuti; laddove l’italiano schiaccia tutto sul presente, e il giovine ha diciotto anni tout court. Il fatto è che la canzone, notando, e ripetendo, che questi diciott’anni sono stati compiuti adesso adesso, rileva con pudore il pregresso rapporto tra la carampana e il virgulto, quand’egli ancòra non era uscito di tutela, almeno legalmente; quindi un rapporto che è complicato dalla minor età di una delle parti in gioco, al che tutto può immaginarsi. Si può anche fantasticare su un rapporto fino ad ora con venature materne, come avviene sempre con queste vecchie navi-scuola, ovviamente necessitose di nascondere sotto veli come di impegno socioassistenziale il sano — ma sempre più frustrato a causa del crollo di tutte le protuberanze più atte a suscitare desiderio nel maschio — desiderio di addivenire carnalmente con un uomo. Poi, a un certo punto, lo stronzo tocca i diciott’anni, che lo possino, ed è e si sente uomo, si spupazza la vecchia ma un po’ la deride, un po’ la disprezza – e comunque è impossibile che sia o sarà l’unica, quindi è semplicemente un votamento di palle come un altro. La precisazione temporale del francese permette di intravedere un prima e un poi, i diciottanni della traduzione sono come una luce meridiana che non projetta ombre.

http://www.youtube.com/watch?v=PQh1adEJyXg

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie canzonette, dalida, diciotto anni, il venait d'avoir dix-huit ans

671. Urrà!

3 Dic

Esce, dopo che avevo perso ogni speranza o quasi, l’intervista + recensione a Tutti i poveri devono morire di Giovanni Di Jacovo per la “Sesia“. Grazie infinite a Remo Bassini che ha trovato, in un periodo in cui tutti gli spazj sono riempiti da altro, un buco anche per questa cosa. [A Massimiliano Santarossa: coraggio! teniamo duro!!].

Il romanzo che nasce dal fango

0.000000
0.000000
  • Commenti 1 commento
  • Categorie giovanni di jacovo, remo bassini, sesia, tutti i poveri devono morire

670. Augurj a Rossana Vecchio.

26 Nov

Riempitìvi l’acrostico richiede
Ove men di quattordici ha le lettere:
Sicché un AUGURJ o A TE v’ho da frammettere
Secondo quel che al caso meglio siede.
Altro con te, oh ROSSANA, farsi crede:
Non glifo difettando, ecco il deflettere
A me da questa norm’uop’è permettere:
Verso  render per grafo! e ciò si vede.
Ecco svelato il senso del sonetto
Ch’hai qui, in virtù non di mio inane affanno,
Certo, ma non perciò meno perfetto:
Hai toccato via via ogni compleanno
In modo ch’esso fosse a te confetto;
Ora, e per questi, e altri settantun anno!
0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie augurj a rossana vecchio

669. Diario.

26 Nov

Negli ultimi giorni mi sono dedicato ad un esercizio nojoso, e fors’anche abbastanza inutile, ossia alla trascrizione delle pagine del diario, che nonostante la sparizione con tutto lo zaino delle vecchie carte è nel tempo diventato voluminoso, fin troppo. Credo che per me, non per altri, abbia importanza ripercorrere quegli stracciafoglj, assai spesso spiegazzati consunti macchiati, talvolta stracciati e semicancellati da piogge e rovesciamento di liquidi: quello che rende insieme così tedioso e così istruttivo il mio diario, compilato quotidianamente nelle intenzioni, seppure con qualche sporadico buchetto qua e là, è proprio la sua ossessività. Quasi tutte le frasi cominciano con la negativa non, le restanti con un devo, o si dovrebbe, o bisognerebbe / bisogna, tutti verbi velleitarj, gli unici probabilmente che mi siano rimasti. So che per copiare bene un testo non se ne deve seguire il contenuto: bisogna innestare l’automatico e andare avanti, meglio ancòra se pensando ad altro: in quel caso si fanno meno errori, per lunghi tratti nemmeno uno, e ci si sbriga prima. Purtroppo a tratti la grafia è talmente convulsa, le righe sono così vicine che ho problemi a decifrarmi: non essendo fatto, il mio diario, per essere riletto, ma assomigliando ad una specie di tomba in cui la giornata precedente finisce gettata. La cosa più nojosa è la ripetitività, mortale, che m’impedisce di proseguire nello squallido esercizio per più di tante ore al giorno; la cosa più istruttiva è questa scrittura, appunto, tutta autoriferita, volta ormai ritualmente, quindi inanemente, a rianimare un’attività che fatalmente rallenta, fatta com’è di gesti sempre più incerti e meno motivati – innanzitutto a causa delle sparizioni, e dell’impossibilità della segretezza, che sola consente l’incubazione. E sono rimasto, io per primo, veramente colpito da questa scrittura che del mio osceno rapporto col mondo non registra altro che sporadiche emergenze, quelle particolarmente oltraggiose o di cui per varj aspetti è impossibile non rendere conto; mi colpisce perché sono tentato, a tratti, di considerare il diario come una specie di testimone postumo [di là dal fatto che non sarebbe mai conservato, da nessuno] della mia immonda storia, fissando nomi, dinamiche, cause e moventi: e invece nulla. In certi casi ricordo perfettamente non solo quali eventi hanno davvero caratterizzato la tal giornata, e non solo: ricordo alla perfezione non solo l’evento, ma anche il fatto che esso evento mi sovveniva a mano a mano che scrivevo tutt’altro, solo che poi, quando, dopo un giro rabbioso di frasi generiche, ero sul punto di trascrivere l’accaduto, qualcuno mi metteva la mano sulla testa, e mi forzava a proseguire con altro. Questo diario, che a ben vedere non è nemmeno un diario, perché della mia “storia” non contiene praticamente nulla, e con quel poco che contiene sarebbe insufficiente a definirmi, è stranamente del tutto autoriferito. In esso mi rivolgo a me, e parlo di me; non me come sono, ma me come dovrei essere; con uno sguardo, talora inconditamente, tragicamente fiducioso, ad un futuro che non c’è mai stato. E’ strano, in effetti, perché sono serenamente consapevole di come la vita sia fatta di azione-e-reazione; non rifiuto questo principio e non mi sento superiore ai miei presunti simili: mi limito, perlopiù, a non capirli e a disinteressarmene. Ma so che non ci si sottrae, e nemmeno si dovrebbe, e nemmeno sarebbe desiderabile, all’interazione, allo scambio, al circolo vizioso. So che l’azione altrui, specie nelle mie condizioni, sempre state sfavorevoli, e di debolezza estrema, può essere ed è quasi sempre un’interferenza grave, pesante nelle conseguenze; so che appeso a un filo non è solo il pochissimo che riesco a fare, ma anche tutto quanto sono. Eppure basandomi su queste pagine, di plumbeo colore uniforme, di lettura insopportabile, in cui peraltro molto spesso mi faccio molto peggio di quello che sono, per gestirmi meglio, non potrei lanciare nessun’accusa. Anche il diario contribuisce per conto suo al fraintendimento – la mia condizione esistenziale, insopportata e indesiderata, alla costruzione della quale forse non ho partecipato in alcun modo, ma della quale sono adesso corresponsabile, da tanto tempo. Questo, mi dico, non assolve nessuno in ogni caso – non cambiano nulla né l’assoluzione né il perdòno, beninteso. Ma, nonostante i chili di carta bruttata che ancòra mi porto dietro, anche nel mio caso la cosa certo più importante, e forse più urgente da sapere, la saprà la terra. E non sono del tutto sicuro di volere, o aver veramente mai voluto, qualcosa di diverso.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie diario

668. Ho fame.

13 Nov

Stasera, al termine della presentazione di Remo Bassini, ho parlato alcuni minuti con Mario Bianco.

E poi ho vomitato, due volte.

😦

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie sterquilinarie

667. Così parlò un imbecille (di nuovo sul “Cimitero di Praga”).

12 Nov



Torno su Il cimitero di Praga, l’appena uscito sesto romanzo di Eco. Volevo, in quest’occasione, e anche nei giorni seguenti, concentrarmi sulle critiche che si rinvengono in rete; a partire da questa, sul sito di Giorgio Dell’Arti, che riporta l’articolo di tal Roberto De Mattei per il giornale destrorso e clericale “Il foglio”, direttore Giuliano Ferrara. Prevengo: è vero che il mazzetto delle critiche all’ultimo libro – specie se è un romanzo – di Eco si presta ad un taglio del tipo “fiera dell’imbecillità”, ma non è mia intenzione fare incetta di freaks critici: ma semmai di fare il punto sulle varie posizioni espresse. Noto, in anticipo, una segnalata estraneità di fondo delle tematiche e delle problematiche rappresentate dai recensori rispetto a quelle proposte e sollevate da Eco; e questo non è affatto un buon segno. Dell’articolo sullinkato l’incipit è abbastanza dimostrativo, e perciostesso molto fastidioso:

“Il Cimitero di Praga” di Umberto Eco è un irridente manifesto intellettuale antitetico al messaggio di verità che Benedetto XVI propone agli uomini del nostro tempo. Non a torto L’Osservatore Romano”, per la penna di Lucetta Scaraffia, ne ha colto pericoli e ambiguità (“Il voyeur del male”, 30 ottobre 2010). Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti 1 commento
  • Categorie il cimitero di praga, roberto de mattei, umberto eco

666. Eco, “Il cimitero di Praga” (2010).

11 Nov

Umberto Eco (1932), Il cimitero di Praga, Bompiani, Milano ott. 2010. Pp. 523 + ìndice.

E’ il sesto romanzo di Eco, dopo Il nome della rosa (1980), Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000) e La misteriosa fiamma della regina Loana (2004). Da notare, innanzitutto, la leggera accelerazione che c’è stata nella produttività di romanzi da parte di Eco all’altezza di Baudolino / La misteriosa fiamma: solo 4 anni intercorrono tra l’uno e l’altro, 6 invece in tutti gli altri casi. Eco non è un romanziere corrivo: i suoi romanzi sono i più costruiti e meditati che si trovino nelle nostre lettere, da qualche tempo – in ogni tempo, nel suo genere (quello della “letteratura ingegneristica” secondo la definizione del Petronio, che dovrebbe corrispondere alla “littérature industrielle” di Sainte Beuve a suo tempo). Impossibile percorrere la parabola storico-critica di Eco, c’è troppa roba, e in fondo nessuno sarebbe interessato. C’è da dire che la scrittura romanzesca di Eco, questo sì, è estremamente lavorata, basata su bibliografie imponenti e un lungo rimuginio erudito. La ricerca di Eco, però, non va assolutamente in direzione della prosa – noi abbiamo avuto, è tradizione il dire, specialmente prosatori, narratori molto pochi. Eco, invece, il più ‘anglosassone’ dei nostri scrittori importanti, fa romanzi fatti di cose. A tutti, anche agli italiani, piacciono i romanzi fatti di cose: i romanzi devono contenere fatti e oggetti nominati chiaramente e fatti muovere con giudizio; ma il fatto che i lettori italiani abbiano gusti molto simili a quelli di tutti gli altri lettori di tutti gli altri popoli del mondo non implica affatto che gli scrittori italiani siano in grado di fornire qualcosa del genere. Risultato: gl’italiani, da almeno centocinquant’anni, leggono soprattutto traduzioni di opere straniere, e gli scrittori italiani scrivono, o scrivevano fino a poco tempo fa, grosso modo solo per sé stessi e tutt’al più la spettante fetta di ‘addetti’ (aspiranti scrittori, cioè, e professoresse delle medie), che sono i soli in grado di apprezzare il genere. C’è stata, veramente, una certa inversione di tendenza; nel senso che, effettivamente, da una ventina d’anni a questa parte si è alla perfine diffusa una certa consapevolezza professionale anche tra gli scrittori, che hanno cominciato ad accogliere con minor burbanza l’idea che scrivere per un pubblico non sia nulla di così sconveniente. Fermo restando che scrivere per un pubblico implica il raccontare una storia. Solo che nessuno ha preso spunto dall’esperienza che intanto questo professore aveva accumulato, e di cui andava consegnandoci i risultati a mano a mano che procedeva nel suo indefesso lavoro. C’è stata, quindi, una conversione parziale alla narrativa, che ha fatto uscire il racconto da quella specie di sezione differenziale della scrittura che è la letteratura di basso consumo; ma con quali risultati? Fermo restando che maggiormente rispettati rimangono prodotti a loro modo del tutto tipici come Baricco, Scarpa e qualcun altro, sospesi tra pseudoricerca pseudostilistica e pallido bozzettismo, la narrativa pura mi sembra attestata solamente, da una parte, dal romanzo generazionale e dalla scrittura autobiografista (Brizzi, Culicchia, Gastaldi), e, dall’altra, una specie di perenne ginnasio – storicamente questa tendenza è attestata da Benni, poi sono venuti i cannibali (Nove, Santacroce, Ammaniti). Degli ultimi anni è l’ingresso nella repubblica delle lettere degli sceneggiatori, innanzitutto Moccia, Venezia, &c., con esiti che però tendono al subletterario (e nel caso di Moccia non si limitano a tendere, ché sono persino immorali nella loro bruttura); e tuttavia la loro esperienza pregressa di raccontatori di storie – per il cinema, appunto – è importante. Ancòra in anni vicini un critico americano alla Mostra del cinema di Venezia strabiliava, perché le sceneggiature non reggono – gl’italiani sono incapaci di creare trame ad orologeria – , eppure i film “si fanno lo stesso”. Ciò non toglie che uno sceneggiatore, faute de mieux, abbia qualche scrupolo di coerenza in più rispetto allo scrittore puro, e questo si sente. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie il cimitero di praga, umberto eco

665. Letture.

8 Nov

Il mio non vasto impegno nelle letture hoggidiane tocca già quasi il capolinea; impossibile proseguire per molto tempo. Chiaramente, in un futuro non remoto, riprenderò. Come dissi a qualche perplesso lettore qualche post innanzi, lo scopo delle mie letture non è trovare il capolavoro o l’opera perfetta – cosa impossibile nel mucchio delle pubblicazioni appena uscite, che non hanno ancòra passato il buratto del tempo – , ma fare esercizio di reminiscenza, raccogliere impressioni sulle attuali tendenze, e stabilire qualche coordinata, se possibile. Quest’ultimo umile desiderio probabilmente non avrà possibilità d’esaudimento, dato che è impossibile frequentare troppo intensivamente la contemporaneità. In una condizione che si potrebbe definire di prima battuta, credo, nessuno sa o saprà mai in tempo reale che cosa stia succedendo nelle lettere alla propria altezza cronologica, se non s’affida almeno in parte al giudizio altrui, o se, per disgrazia sua, non perde ogni discernimento e ogni gusto, pur rimanendogli intatta la lena di continuare strenuamente ad inghiottire tutto quanto va producendosi: il ciarpame è troppo, e anche quando – come è il caso di questi tempi – il livello generale, in specie attestato dalla grande editoria, è quantomeno decoroso e la scrittura è, se non preziosa, almeno grammaticalmente accettabile, né sono riscontrabili cose davvero offensive, o totalmente illeggibili, il ciarpame rimane prevalente: poiché esso non consiste, in quanto tale, affatto nella scrittura spallata, o nei solecismi, o nelle brutture estetiche, ma nella mancanza di necessità, e razionale e d’ispirazione. A costo d’apparire intollerabilmente volgare, devo ritrovarmi non solo ad ammettere, ma a dichiarare, ed altamente ove possibile, che l’ispirazione è tutto, nulla il decoro della confezione, nulla l’erudizione, nulla le concezioni quando stanno sui generali e tengono più della critica che dell’invenzione: la critica essendo distacco, l’invenzione essendo immersione nella cosa. Pur senza troppo aspettarmi da nessuno, devo dire di aver passato qualche ora non triste in compagnia di qualcuno che, diversamente dal mio solito, non è poca cenere in qualche loculo dimenticato, ma beve l’aere e si aggira per le strade di questo paese, mangia beve scurreggia e, quando ritiene il buon momento giunto, scrive. Non m’aspettavo nulla – cioè m’aspettavo da una parte meglio, dall’altra peggio, e dato che sono stato deluso sia nell’una sia nell’altra aspettativa in modo tale che delusione e conferma si sono perfettamente equilibrate, è come se non mi fossi aspettato nulla. Non dovevo e non volevo dare consiglj per acquisti, ma, certo, ho incontrato anche scritture che sono interamente valse la pena del tempo speso: e si tratta, in particolare, di due letture su cui aspettative me n’ero formate sì, e che hanno avuto il merito di soverchiarmi, e indurmi a pormi una serie d’interrogatìvi, e a mettere alla prova qualche sapere, qualche reminiscenza, e soprattutto qualche memoria personale: da una parte Autopsia dell’ossessione di Walter Siti, dall’altra Il cimitero di Praga di Umberto Eco, che uscì l’altra settimana, che è tutto fuorché  immacolato da difetti, ma sicuramente da quelli che gli s’imputano sì, e di cui scriverò domani. Tolte queste due collaudate firme, che forse vanamente stanno lì a ricordarci a che cosa riesca a servire la scrittura, quando è ben servita, non riesco ad impedirmi la sottile e non del tutto certa, ma deprimente, sensazione di un sostanziale sciupio di tempo.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie libri

663. Scheda: Ammaniti, “Io e te” (2010).

8 Nov

Niccolò Ammaniti (1966), Io e te, Einaudi Stile Libero BIG, Torino ott. 2010. Pp. 116 + avvertenza + ìndice.

L’avvertenza in fondo al volumetto fa pensare ad uno spunto vero:

Olivia Cuni è nata a Milano il 25 settembre 1976 ed è morta nel bar della stazione di Cividale del Friuli il 9 gennaio 2010 per overdose. Aveva trentatre anni.

La storia, esile, è il piccolo romanzo di formazione di un ragazzo di 14 anni, Lorenzo Cuni. Olivia è la sua sorellastra (23 anni). Il tempo dell’azione è a Roma nel 2000: è una lunga analessi, si può dire, incorniciata da un’introduzione e un epilogo fissati a Cividale del Friuli 2010.

Càpita che Lorenzo sia sempre stato timido all’eccesso: da piccolo gli hanno persino diagnosticato un disturbo della personalità (narcisismo): portato a ritenere sé stesso e i genitori del tutto eccezionali, ha difficoltà di relazione con i coetanei. E’ di famiglia ricca; in collegio, in mezzo ad una scolaresca cosmopolita, ha imparato a mimetizzarsi, ma nel contesto ben diverso del liceo classico ricomincia a sentire il peso del giudizio altrui, e soffre per la mancanza di spazj proprj. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie io e te, libri, niccolò ammaniti

664. L’ho baciata che l’era ancor calda.

8 Nov

Canto tradizionale.



  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie musica

662. Gabriel von Wayditch.

4 Nov

Gabriel von Wayditch (1888-1969) con il figlio Walter (1925-2005)

 

Sul Guinness dei Primati del 1996 ancòra figurava il nome di Gabriel von Wayditch, o Wayditsch, o Vajdič, nato a Budapest il 28 dicembre 1888 e spentosi a New York il 28 luglio 1969; compositore semisconosciuto ai più, era autore di un melodramma, dal titolo Gli eretici, che rappresentata sarebbe durata 8 ore e mezza. Dato che non esistono, che si sappia, altre opere che durino così tanto – sullo stesso Guinness si dava conto dei Maestri cantori di Wagner, con le sue 5 ore e mezza di durata, come dell’opera, o dramma musicale che dir si voglia, più lungo tra quelli regolarmente in repertorio. Fino al 2000 all’incirca il Guinness dei primati è stato aggiornato tenendo conto sempre delle stesse sezioni, tra cui, regolarmente, una musicale e una letteraria; dopodiché la concezione è cambiata radicalmente, e le sezioni sono state completamente rivoluzionate. I record di tipo letterario, per esempio, si riducono – assai significativamente, dato l’andazzo dei tempi – al numero di copie vendute – che pure erano riportate, ma tra altre cose, anche nelle edizioni precedenti – , mentre altri record (il romanzo più lungo, il poema più lungo…) sono stati cassati per non più ricomparire. Ma mentre i nomi degli altri (inconscj, quasi sempre) recordmen nel senso della lunghezza, del volume, della durata erano in genere reperibili sui lessici, non così era per questo oscuro compositore, di cui nessun dizionario parla. C’è solo un obituary del “New York Times” di cui si dà riferimento sul Biography Index. A cumulative Index to Biographical Material in Books and Magazines. September 1967-August 1970 (vol. 8), The H. Wilson Company, New York 1971, la cui concezione, consistendo nei nudi nomi con date di nascita e di morte, permetteva l’inclusione di tutti i personaggj di cui si fosse parlato anche una sola volta sui giornali statunitensi. Laconicamente, la voce recita: “WAYDITCH, Gabriel, 1889?-1969, composer | Obituary | N Y Times por p39 Jl 30 ’69”. Come si vede, il cognome è monco del “von”, che pure gli spettava in quanto nh, e la data di nascita è data in forma dubitativa (e infatti GvW era nato l’anno precedente); “por” sta per “portrait”, infatti l’articolo recava una fotografia giovanile del compositore; la notizia era stata data due giorni dopo il decesso. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie gabriel von wayditch

661. Scheda: Brizzi, “La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio” (2010).

3 Nov

Enrico Brizzi (1974), La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio, Laterza, Coll. “Contromano”, Bari ott. 2010. ISBN: 9788842094333. Pp. 288.

Séguito di La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco (2008), il presente libretto è interessante per più motivi: prima di tutto è scritto da un ex-ragazzo perfettamente normale, attualmente uomo perfettamente normale (glielo dice, nei camerini, anche una donna dello spettacolo, all’epoca fidanzata forse con Stefano Dionisi, che ha un’aria stranamente normale per essere uno scrittore), che ha esordito nel 1994 con Transeuropa con un romanzo del tutto normale, in quanto romanzo generazionale, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, ad un’età che però, almeno per l’epoca, quando fiorirono anche i Cannibali – alcuni dei quali molto giovani – non era tanto normale, vale a dire 20 anni non ancòra compiuti. Del milieu rendono conto, oltre ad altri luoghi dell’opera – (v. su wikipedia), 9 romanzi + uno per ragazzi, 1 raccolta di racconti più 3 racconti in voll. collettanei, 2 “guide” (alla via di Gerusalemme e alla Francigena, che EB ha percorso a piedi con Marcello Fini, coautore) – queste due opere grosso modo autobiografiche, definite “cronistorie”: genitori insegnanti, famiglia numerosa zeppa di zii e nonni, solidi principj di sinistra. Ad esaltare per contrasto, si direbbe, la propria normalità, pressoché modulare, scandiscono il presente racconto gl’incontri con i coetanei Juri, scombinato ragazzo tendente al sottoproletario, vittima prima della televisione e poi della Lega, e LucaPietro, di famiglia troppo ricca, vano, un po’ vigliacco, al fondo un disadattato, un debole. Va da sé che un autore così rappresentativo, s’intende al meglio, delle esperienze e delle tendenze di una generazione sia interessante soprattutto quando parla di sé stesso, cioè quando parla appunto della propria generazione ritraendola attraverso sé stesso e le proprie predilezioni ed esperienze. Ho provato, seguendo un consiglio discutibile, a lèggere Razorama, per esempio, e non sono riuscito, io che i libri devo finirli proprio tutti, anche quando vorrei depositarli in qualche cassonetto, a superare la metà. Non che Razorama meritasse il cassonetto, ci mancherebbe: è un prodotto altamente professionale, tutto ambientato in mare a bordo di un’imbarcazione, e la terminologia marinaresca e relativa alle navi vi è, specialmente all’inizio, copiosa e ricca – ciò che rende la narrazione, in alcuni punti, assai istruttiva, posto ci si tenga un lessico di terminologia marinara sottomano durante la lettura – , contribuendo all’evocazione di un mondo privilegiato fatto di superfici lucide e linee perfettamente tirate, décor adattissimo alle imprese di un serialkiller d’alto bordo (appunto). Ma, di là dall’esercizio di stile e dall’evidente calco ellisiano, l’effetto era un poco quello di uno di quei thriller da tarda serata di ItaliaUno, solo che invece di guardare immagini in movimento si dovevano passare gli occhj sulle righe. Sono scherzi che la normalità, spesso e volentieri, ama tirare: senza voler, assolutamente, sostenere che solo la discrasia con l’ambiente permetta di produrre opere di rilievo. Ma il merito di Jack Frusciante, oltre a quello di essere scritto praticamente in presa diretta, essendo il romanzo di un adolescente sull’adolescenza (ecco, per esempio Due di due, che ha svolto grosso modo la stessa funzione per la mezza generazione precedente, De Carlo l’ha pubblicato a 37 anni, ha una bellissima descrizione dell’adolescenza sessantottarda ma riguarda tutto uno percorso di crescita, fino all’età adulta), è stato proprio quello di lèggere il dato generazionale nel dato autobiografico, senza filtri letterarj che a quell’altezza Brizzi non avrebbe avuto nemmeno il tempo di prepararsi. La felicità, se ne ha, del presente La vita quotidiana sta proprio nella sua capacità di evocare, direttamente e senza filtri, un clima culturale, vissuto senz’alcuna remora, dev’essere detto, fino allo sviluppo di una coscienza critica che ha consentito all’autore, e a chi ha avuto un percorso simile al suo, di uscire da certe barene. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie la vita quotidiana in italia ai tempi del silvio, libri

660. In sospeso.

28 Ott

Marco Candida, inferocito all’idea di essersi preso un grosso 0 come scrittore {e non era nemmeno vero}, aveva ingaggiato una fumosa discussione qui, dove, da lui invitato, sono intervenuto tre volte. Solo che il mio terzo intervento è rimasto censurato dall’inviperito autore. Pazienza, non ricordo nemmeno che cos’avessi scritto (e comunque si scrive Friedrich Nietzsche, Paul Ricoeur, e Socrate, non avendo scritto nulla, non può essere maestro di nessun contemporaneo).

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie filosofia, marco candida

659. Holden.

28 Ott

https://i0.wp.com/www.bloggers.it/pedroelrey/itcommenti/cesso%20mondiale.jpg

Irene ha dedicato uno dei suoi post, non molto tempo fa, al forum della Holden. Se andate qui, vedete che c’è un sito dedicato alla scuola Holden di Torino, quel posto dove si paga o pagava fino a qualche annetto fa 9000 euri di retta annua per imparare a scrivere. Il forum, però, non ce lo trovate: fino a qualche tempo fa c’era, non so quando l’abbiano tolto. Erano ancòra presenti tutti i messaggj dall’ultimo reset. Qui, tra i commenti, tash, che mi è noto appunto dalla Holden in poi, lamenta la scomparsa del forum con tutte le discussioni che conteneva; ma dimentica, forse, che periodicamente c’era un reset, per cui tutto quello che era stato pubblicato prima di una certa data spariva dall’oggi al domani, senza nessun preavviso; e normalmente si alzavano a cielo le lamentele di quelli che avevano scritto direttamente in rete le loro cose. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie holdenforum, scuolaholden

658. Dialogo con Giovanni Di Jacovo.

27 Ott

Su Giovanni Di Jacovo vedi qui; sui suoi scritti, qui; e qui la mia recensione del suo ultimo Tutti i poveri devono morire (Castelvecchi, 2010).

1.Il tuo romanzo colpisce per la stringatezza e per la costruzione coerente (e anche un bel po’ complicata), due qualità che condividi con pochissimi scrittori, specie italiani, di questi anni. Qual è la tua formazione di scrittore?

Essendo figlio unico, da piccolo ero spesso da solo e allora ho iniziato a crearmi una sorella immaginaria, Viola e a scrivere le sue storie, avventure che avevano lei come protagonista, un vero e proprio ciclo di episodi che scrivevo mentre mi nutrivo di Poe, Cortazar, Calvino e vari fumetti così come oggi mi nutro di Palahniuk, Wallace, Ellis e moltissimo cinema. E cronaca. Passo diversi mesi accumulando notizie, inquietanti dettagli storici, esperienze di vite borderline o episodi agghiaccianti o esilaranti dalla cronaca del mondo intero. Sotto questo fango scopro dei diamanti che diventano le idee guida del nuovo romanzo e il resto diviene la creta primordiale con la quale inizio a creare il corpo della narrazione.

2. Credo venga spontaneo chiedersi: come hai costruito il romanzo? Hai creato prima il codice del Cenacolo di Caino e poi ci hai fatto una storia o ti sei buttato?

Si, ho prima creato la base teorico-ideologica degli aristocratici assassini , poi ho creato i personaggi principali, poi ho creato le ambientazioni tra Londra e Berlino e poi li ho fatti vivere, interagire, amarsi, ammazzarsi, combattersi, scoparsi, insomma: li ho fatti vivere. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie dialoghi, giovanni di jacovo

657. Dialogo con Massimiliano Santarossa.

26 Ott

Massimiliano Santarossa nasce nel 1974 a Villanova, provincia di Pordenone. Lavora dai sedici anni in poi come falegname e come operajo in una fabbrica di materie plastiche. La scoperta della scrittura porta nel 2007 al primo libro, la raccolta di racconti Storie dal fondo (Pordenone 2007), titolo eloquente per narrazioni nate dall’ascolto delle storie altrui, e spaccato di vita del proletariato industriale del NordEst. Nascono dalla vita realmente vissuta anche i due romanzi, Gioventù d’asfalto (Pordenone 2009) e l’ultimamente uscito Hai mai fatto parte della nostra gioventù? (Milano 2010). Nel 2008 ha vinto il premio letterario “Parole contro” e nel 2009 ha ricevuto la menzione speciale del premio “Tracce di territorio”. Dal 2009 i suoi libri sono portati in scena dalla compagnia teatrale “Arti e mestieri”.

1. Hai cominciato a lavorare molto giovane, e dichiari tu stesso di non avere studî. Li rimpiangi o hanno un’importanza relativa?

Ho cominciato a lavorare a sedici anni, dopo la cacciata definitiva dalle scuole superiori. Rimpiango gli studi perché la classe è un posto caldo, dove non ci si spacca le mani e la schiena, dove c’è qualcuno a dirti cosa fare e come farlo. Non rimpiango gli studi in quanto tali. Penso di essere stato stupido ad accettare così presto quell’inferno chiamato fabbrica.

2. Qual è il tuo rapporto con i libri? Ci sono scrittori, o forme d’arte, che ti hanno influenzato?

Quello con i libri è stato un rapporto inesistente fino ai diciotto anni. Poi è diventato un fuoco, qualcosa da cui non riesco più a staccarmi. La vita esagerata costava troppo, nei libri ho trovato un modo gratuito per continuare a frequentarla, senza giocarmi stipendi, fegato e cervello. Ma credo di non aver subito influenze intellettuali, se non quella molto potente di Boracho: il vecchio “cattivo maestro” che torna in tutti i miei libri. Continua a leggere →

  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie dialoghi, emanuele tonon, hai mai fatto parte della nostra gioventù?, massimiliano santarossa

656. Scheda: Santarossa, “Hai mai fatto parte della nostra gioventù?” (2010).

25 Ott

Massimiliano Santarossa (1974), Hai mai fatto parte della nostra gioventù?, Baldini Castoldi Dalai Editore, ott. 2010. Pp. 145.

*spoiler*

*SPOILER*

spoiler*SPOILER*spoiler

SPOILER*SPOILER*SPOILER

SPOILER*spoiler*SPOILER*spoiler*SPOILER

SPOILER*SPOILER*SPOILER

spoiler*SPOILER*spoiler

*SPOILER*

*spoiler*

L’autore, originario di Villanova (Pordenone), ex-falegname, ex-operajo, racconta solo cambiando i nomi gli eventi realmente accaduti nelle 72 ore di un lungo weekend nella città nativa. Il Vez (il narratore), Nic, Mike e Gio’ sono i quattro protagonisti: tutti e quattro poco più che ventenni, tutti di diversa estrazione, teoricamente, di fatto – si direbbe – condannati allo stesso destino. Il Vez è falegname in una fabbrica dislocata tra centinaja di altri capannoni lungo la “pontebbana”, lo stradone che è la spina dorsale della cittadina, che si deve percorrere sia per andare a lavorare sia per correre incontro ai disperati divertimenti del sabato sera; Nic, apparentemente cinico e positivo, in realtà un clown triste quanto ciarliero, è venditore presso una rivendita d’auto nuove e d’occasione; Mike, trascurato dai genitori, lui politico progressista, lei architetto di grido, da sempre trattato come un deficiente, già confinato, a scuola, in una sezione differenziale, lavora per modo di dire facendo fotocopie in un ufficio comunale; Gio’, infine, tossico, precocemente invecchiato, scacciato di casa dai genitori che hanno obbedito ai servizj socioassistenziali che li hanno incoraggiati a fargli terra bruciata intorno in modo da farlo entrare al più presto in comunità. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie hai mai fatto parte della nostra gioventù?, libri, massimiliano santarossa

655. Scheda: Siti, “Autopsia dell’ossessione” (2010).

25 Ott

Walter Siti (1947), Autopsia dell’ossessione, Mondadori, Milano ott. 2010. Pp. 299.

*spoiler*

*SPOILER*

spoiler*SPOILER*spoiler

SPOILER*SPOILER*SPOILER

SPOILER*spoiler*SPOILER*spoiler*SPOILER

SPOILER*SPOILER*SPOILER

spoiler*SPOILER*spoiler

*SPOILER*

*spoiler*

Walter Siti, accademico e scrittore, al giorno d’oggi massima autorità su Pasolini, conclude con questo volume, freschissimo di stampa, una sorta di libera trilogia iniziata con Troppi paradisi (2006) e proseguita con Il contagio (2008); devono fors’anche essere citati l’intervista impossibile ad Ercole in Corpo a corpo. Le interviste impossibili (2008), e il racconto del viaggio a Dubai Il canto del diavolo (2009), a cui si fa riferimento in quest’ultima fatìca. Al centro della parte più viva, più importante e più bella della narrativa di Siti, coincidente con questi tre romanzi, c’è l’amore per un culturista, sottoproletario, romanesco, borgataro, furbo, ingenuo, bambinesco e venale, chiamato Angelo in questo terzo ed ultimo (“Angelo di nessun messaggio”). Se in Troppi paradisi l’autore descriveva il passaggio da una relazione di tipo borghese, con un professionista della tv, alla relazione con il borgataro, e Il contagio la full immersion del professore nel mondo del sottoproletariato della capitale (e l’erosione del centro da parte della periferia), naturalmente per amore, in quest’ultimo romanzo si fa, si direbbe, in due: da una parte l’antiquario Danilo Pulvirenti, sessantenne, che approda, nello stesso periodo della vita ma per motivi in parte molto diversi, all’amore semimercenario per il culturista; dall’altra il Rivale, l'”altro”, che spunta a guastare la festa (ma che festa era?) al Pulvirenti dalla metà del romanzo in poi, uno scombinato e calvo professore universitario e velleitario scrittore sessantenne che ha molte caratteristiche in comune con Siti stesso: compare in televisione col suo culturista, scala le classifiche di vendita dei suoi libri in maniera abbastanza imprevista, progetta un viaggio a Dubai, &c. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie autopsia dell'ossessione, libri, walter siti

654. Per Viola Amarelli.

25 Ott

A me sarebbe ben maggiore aggraVIO
Versi così atticciar, di bassa scuoLA,
In altro caso simile, e in paroLA
Ordir auspicj disdicenti al saVIO.
L‘armonia pur non è nel setticlaVIO,
Abita invece il cuore, donde voLA;
A me piace, sconfinfera, consoLA
Musicare inni a te, di vena a sgraVIO.
Abbi altri cento giorni (ti proclAMA
Rude il mazzo dei versi miseRELLI),
E più belli, di questi, e di chi t’AMA
L‘affetto eterno; e in dono sciarpe e ombRELLI
(Lo vuol il meteo), & altro, se il cuor brAMA;
Insomma: augurj a te, VIOLA AMARELLI!
0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie augurj a viola amarelli

653. Scheda: De Silva, “Mia suocera beve” (2010).

22 Ott

Diego De Silva (1964), Mia suocera beve, Einaudi, Torino sett. 2010. Pp. 338 compreso l’ìndice.

*spoiler*

*SPOILER*

spoiler*SPOILER*spoiler

SPOILER*SPOILER*SPOILER

SPOILER*spoiler*SPOILER*spoiler*SPOILER

SPOILER*SPOILER*SPOILER

spoiler*SPOILER*spoiler

*SPOILER*

*spoiler*

Mia suocera beveContinuano in questo volume, dopo Non avevo capito niente, le avventure e le riflessioni dell’avvocato Vincenzo Malinconico, sempre più verbillant. Non che manchino, soprattutto in questa seconda puntata, eventi esteriori di rilievo. L’avvocato rimane infatti coinvolto in una sorta di sequestro di persona, altamente mediatico, durante il quale diventa – lui che come avvocato non vale pressoché una cicca – una celebrità; nel frattempo continuando le alterne vicende con le sue donne – Nives la psicologa, e la collega Alessandra Persiano – e con i figlj, Alagia ed Alfredo.

Càpita insomma che il Malinconico un giorno si trovi a far la spesa in un supermercato – è un mercoledì -, e s’incoccj in un distinto signore di mezz’età, l’ingegner Romolo Sesti Orfeo, che l’avvocato non conosce. Ma è l’ingegnere che si ricorda dell’avvocato, per via d’un’azione legale intentata contro una ditta da parte di un operajo rimasto infortunato, Vittorio Comunale, che era un vecchio amico dell’ingegnere; il Malinconico s’era rifiutato di accettare la ridicola proposta di risarcimento danni da parte della ditta, ed era riuscito a spuntare di più. Il Sesti Orfeo, per parte sua, aveva trovato apprezzabile l’impegno dell’avvocato, e per qualche motivo per ora noto solo a lui adesso ritiene che il loro incontro sia provvidenziale. A un tratto, attraverso i monitor della videosorveglianza l’ingegnere scorge un uomo – sui quaranta, vestito da tamarro con lungo cappotto nero (è ribattezzato immediatamente [mentalmente] “Matrix” dall’avvocato), pare [ed è] un camorrista -, e s’incanta a guardarlo. Il Malinconico non capisce perché. Capirà pian piano, dopo che l’ingegnere avrà intercettato “Matrix” e sarà riuscito, minacciandolo con una pistola, ad ammanettarlo al corrimano del banco dei latticini. Malinconico e una vecchietta sono i soli spettatori della scena, che da sùbito, anche prima della sua mediatizzazione, assume i contorni netti dell’artificio: Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie diego de silva, libri, mia suocera beve

652. Piccole novità.

21 Ott

Ho notato che da oggi, a cercare “david ramanzini” con google, già digitando “david ra-” vien fuori il resto del nome come primo suggerimento. La cosa mi preoccupicchia un poco, anche perché prima fino a “david ram-” usciva “david ramsay”, che adesso è passato secondo, e non vorrei s’incazzasse per il declassamento.

Nel frattempo – mentre aspetto che anche Giovanni Di Jacovo, sempreché non ci si sia sentito male, e tutto può essere (questo soprattutto, vista la qualità delle domande caine) – ho integrato la lettura di Tutti i poveri devono morire, che ho amato evisceratamente, e che vi esorto (a voi: tutti) a comprare, anche in più copie, & lèggere con molta avidità.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie giovanni di jacovo, google

650. Scheda: Procházka, “Politica per tutti” (1968).

18 Ott

Jan Procházka (1929-1971), Politica per tutti [“Politika pro každého”, 1968], trad. Bruno Meriggi, G.G. Feltrinelli Ed., Milano gennajo 1969. Pp. 286 + catalogo.
Jan ProchazkaRaccolta di articoli, discorsi al Congresso degli scrittori, risposte al letture per rubriche (tra cui quella per la rivista “My”), interviste 1962-’68, a cavallo tra prima e dopo l’invasione del gennajo 1968. Ogni brano è corredato da una nota del 1968 che precisa e aggiunge quello che prima non doveva/poteva essere detto; per quanto  Procházka, socialista democratico convinto, si esprima sempre con grande libertà in questi pezzi. Dal 1967 in poi molti suoi articoli hanno subìto la censura; due pezzi, uno particolarmente velenoso sulla funzione del Congresso degli scrittori e un altro in favore d’Israele, scritto al rientro da un viaggio in Egitto, sono rimasti impubblicati e sequestrati, per essere stampati per la prima volta in questa raccolta di dopo il gennajo 1968.

Il pezzo riguardante il Congresso degli scrittori è semplicemente una serie di 3 risposte ad altrettante domande circa l’utilità dell’organizzazione. Procházka è per certi versi uomo d’apparato: la sua carriera fino a questo momento si è svolta interamente all’interno delle organizzazioni create dal governo comunista, ed è entusiasticamente in linea col progetto socialdemocratico. Ma la sua adesione, come logicamente consegue alla sua spontaneità, non ha nulla di prono o conformista. In sintesi, sostiene, il Congresso potrebbe essere utile, ma non è, a causa di chi lo gestisce e delle forze che vi dominano: e questo è tutto quello che ci si aspetta da uno scrittore di genio che operi in un paese comunista. Ma, come sempre, le cose sono molto più complesse rispetto alla vulgata, e la situazione cecoslovacca, vista anche solo dalla specola del Congresso, non si rivela affatto il covo di pecoroni che qualcuno malignamente si potrebbe aspettare. Gl’iscritti non erano tutti appartenenti al PCC; solo una delegazione, ovviamente molto invadente, vi era rappresentata. Le questioni interne ad un’istituzione sepolta di un paese remoto e conquistato da decennj all’economia di mercato ovviamente non interessano più a nessuno, ma è significativo come la decisione del PCC di ritirare la propria delegazione dal Congresso dati dallo stesso 1967 in cui maggiore si faceva la pressione della censura; ed è doveroso sottolineare come questa specie di cacciata conseguisse ad un dibattito estremamente aspro ed appassionato, durante il quale Procházka aveva preso nettamente le parti avverse alla politica del PCC. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie jan procházka, libri, politica per tutti

649. Scheda: Ladame, “Margherita Maria Alacoque, apostola del S. Cuore” [1982].

18 Ott

Jean Ladame, Margherita Maria Alacoque, apostola del S. Cuore, trad. n.s., tit. or. n.s., Edizioni Dehoniane, Andria – Napoli – Roma mag. 1982. Pp. 383 compreso l’ìndice.

Margherita Alacoque (1647-1690) nasce a Verosvres (Borgogna), distretto di Hautecour da Claudio, notajo, e Filiberta. Ha due fratelli che non le sopravvivono e due, Grisostomo e Giacomo, che prenderanno più avanti la guida della casa. Ancòra piccola, esaltata dall’esempio di una parente monaca, forma un voto spontaneo di unione a dio, abituandosi ad una forma di meditazione, cioè di comunicazione diretta con dio, che più avanti le darà problemi di adattamento alla regola. Salvo una breve parentesi da bambina in un convento, non ha esperienza di vita religiosa sostanzialmente fino al 1671, quando entra dalle Visitandine (suore della Visitazione di Maria) di Paray-le-Monial, ad un’età più tarda rispetto la media del tempo. L’ingresso nel convento interrompe una vita fattasi molto dura in séguito alla morte del padre quarantenne, quando lei ha appena 8 anni. Con la madre, fragile di carattere e cagionevole di salute, s’era trasferita in frazione Les Janots, in casa della nonna, della prozia e della zia, che avevano sottoposto le due Alacoque ad ogni genere di privazione, tenendo tutto sottochiave e costringendo Margherita a chiedere in prestito persino il vestito per andare alla messa. La madre era caduta a un certo punto ammalata, e le s’era gonfiato in viso un bubbone che la sfigurava; la malattia non aveva ammollito i cuori delle dure parenti, e la piccola Margherita era dovuta correre al villaggio persino per elemosinare un uovo. Grazie alle cure indefesse della fanciulla, la donna era riuscita a risanare: forse è questa già una delle sue guarigioni miracolose. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie jean ladame, margherita maria alacoque

647. Tagliatele la testa!

18 Ott

RUFIO. Why, Cleopatra had a tigress that killed men at her bidding. I thought she might bid it kill you some day. Well, had I not been Caesar’s pupil, what pious things might I not have done to that tigress! I might have punished it. I might have revenged Pothinus on it.

CAESAR [interjects] Pothinus!

RUFIO [continuing] I might have judged it. But I put all these follies behind me; and, without malice, only cut its throat. And that is why Cleopatra comes to you in mourning.

CLEOPATRA [vehemently] He has shed the blood of my servant Ftatateeta. On your head be it as upon his, Caesar, if you hold him free of it.

CAESAR [energetically] On my head be it, then; for it was well done. Rufio: had you set yourself in the seat of the judge, and with hateful ceremonies and appeals to the gods handed that woman over to some hired executioner to be slain before the people in the name of justice, never again would I have touched your hand without a shudder. But this was natural slaying: I feel no horror at it.

George Bernard Shaw, Caesar and Cleopatra, Act V.

Pare che abbia perso un amico su facebook. Si tratta di Daniele Ventre, che non conosco personalmente (come il 99,9 periodico % delle persone che hanno graziosamente accettato la mia amicizia su fb). Daniele Ventre è un insegnante di lettere classiche in un liceo, ha tradotto in un esametro di sua invenzione i due poemi omerici, ha molta dottrina, ed ha una visione politicamente impegnata sia della società sia della sua missione all’interno della scuola. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie al rogo! al rogo!

646. Scheda: Schaff, “L’alienazione come fenomeno sociale” (1977).

15 Ott

Adam Schaff (1913-2006), L’alienazione come fenomeno sociale [“Entfremdung als soziales Phänomen”, Vienna 1977], trad. Giuseppe Mininni, prefazione Augusto Ponzio, Editori Riuniti, “Nuova Biblioteca di Cultura” diretta da Ignazio Ambrogio n° 200, Roma sett. 1979. Pp. 422 incluso ìndice analitico.

https://i0.wp.com/www.editorialtaurus.com/uploads/imagenes/autor/principal/201005/principal-aadam-schaff_grande.jpg

Adam Schaff.

L’autore è un ben noto semiologo, filosofo e saggista marxista polacco, a suo tempo vicino alle posizioni del general Jaruzelski. Il libro, ricco di riflessione e anche un poco verbillant, ha come scopo quello di mutare la percezione del concetto di uomo secondo Marx, invitando a rileggere con maggiore attenzione l’opera del maestro ed invitando ad una diversa e più evoluta formulazione del concetto di comunismo, proponendone una più flessibile e accettabile da una prospettiva individualistica. Non deve sfuggire la tardività dell’operazione del professore, tre anni prima della costituzione di Solidarnosc e sette anni dopo la nauseante esplosione di razzismo antisemita tra i burocrati e i plebei polacchi. L’edizione italiana, poi,  tardiva di ulteriori due anni, con il suo V capitolo (pp. 387-418) appositamente approntato dallo studioso entro i 12 mesi precedenti la nouvelle vague nella politica popolare polacca, denota una fiducia ancor più patente nei confronti della capacità di un libro che precisi il significato di uno o più altri libri d’imprimere un’orma significativa in un campo politico ormai totalmente inaridito e sul punto d’essere riconvertito ad altra coltura: è evidente, dunque, con ciò, che – sia effetto inevitabile degli eventi, sia frutto di scelta o limite ideologico – che siamo qui di fronte ad un esemplare purissimo, o d’alta razza, di quello strano animale che Marx etichettava come “alchimista della rivoluzione”. Proprio per questo persuasiva, nonostante le prolissità, dovute anche ad uno sforzo di convincere un uditorio in buona parte recalcitrante, appare la trattazione: per la sua capacità di sintetizzare alcuni punti fondamentali, meramente accademici ma di certo scientificamente imprescindibili, dato che in fondo, nel suo piccolo, rappresenta un modo di non consentire che la miseria pura della pratica pseudosocialista dei paesi del Blocco a quell’altezza offuschi il significato essenziale del messaggio marxiano-leninista. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie adam schaff, l'alienazione come fenomeno sociale

645. Scheda: Pellico, “Gismonda da Mendrisio” [1832].

15 Ott

Silvio Pellico (1789-1854), Gismonda da Mendrisio, da un’edizione ottocentesca brossurata delle opere complete di SP, di cui mi mancano le prime 124 pp. & qualunque indicazione di stampatore e d’anno. Vol. di pp. Complessive 524, compreso l’ìndice, stampa su 2 col. Tragedia in 5 atti, pp. 211-233.

Soddisfo finalmente la mia curiosità per questo buffo titolo, che associa un pomposo nome germanico-romantico e quello d’una paciosa e non particolarmente poetica contrada del nord, nordItalia all’epoca descritta, oggi Canton Ticino. La tragedia è ovviamente in sciolti; la curiosità era doppia, ancfhe se non travolgente, inquantoché le più note Francesca da Rimini (qui a pp. 123-138) ed Eufemio da Messina (139-158), da me lette in altre edizioni ottocentesche – da cui la presente Gismonda era assente, evidentemente in quanto minore –, pur di accettarne in blocco i modesti valori estetici e soprattutto retorico-emblematici, m’erano risultate efficaci, nella loro maniera del tutto melodrammatica. Laddove impossibile oggi mi risulta una valutazione men che severa di tante intollerabili pagne de Le mie prigioni; motivo per cui non mi sembra completamente campato per aria rivalutare, di là dal ridotto interesse storico, queste opere, che nella loro modularità mi pajono come calchi, adatti ad accogliere l’ispirazione non tenue di un autore che comunque nel panorama delle lettere italiane del XIX secolo è e rimane un minore. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie gismonda da mendrisio, silvio pellico

644. Scheda: Hauge, “Aspetti dell’economia sovietica” (1958).

15 Ott

Gabriel Hauge (1914-1981), Aspetti dell’economia sovietica. Stampatore Apollon, Roma 1958, per conto della United States Information Service. Opuscolo di pp. 36 + copertina di cartoncino.

 

 

https://i0.wp.com/www.astrographia.com/images/7.jpgÈ un resoconto – preceduto da prefazione anonima, che comunque riassume i concetti quasi estrapolando le frasi letteralmente – sulle condizioni dell’URSS dopo la metà degli anni Cinquana, quando la federazione comunista è la II potenza mondiale dopo gli USA, con un prodotto interno lordo pari al 40% di quello USA, ma con un livello di consumo pro càpite di beni di consumo pari solamente al 20% di quello americano e una produzione di beni di consumo addirittura tra i 2 e il 4% di quella della prima potenza mondiale.

Nel 1928 Stalin ha inaugurato il primo piano quinquennale, che ha impostato la crescita economica sovietica già in modo squilibrato, puntando la gran parte degl’investimenti sull’industria pesante, specialmente delle armi, e non dando impulso sufficiente all’agricoltura – a causa della poca ricerca sui macchinarj, obsoleti, che impiegano quasi metà della popolazione lavoratrice per una produzione insufficiente – e ad altre industrie: l’URSS rimane molto indietro agli USA nel petrolio, nella gomma, nel rame e in altri settori. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie aspetti dell'economia sovietica, gabriel hauge

643. Scheda: Magliozzi, “San Giovanni di Dio narrato dal Celi” (1993).

15 Ott

Giuseppe Magliozzi (1938), San Giovanni di Dio narrato dal Celi. A cura di Fra Giuseppe Magliozzi o.h. Sintesi selettiva della seconda biografia di San Giovanni di Dio, pubblicata a Burgos nel 1621 da Fra Dionisio Celi o.h. Prefazione di Cristoforo Danielut, priore provinciale. Edizioni Fatebenefratelli, Milano1 (1a: Centro Studj “San Giovanni di Dio”, Roma 1993). Pp. 94 + ìndice.

È il riassunto della biografia del santo fondatore del Fatebenefratelli, il portoghese Giovanni di dio (1493 ca. – 8 marzo 1550) scritta da Dionisio Celi ad integrazione di quella, poverissima, uscita nel 1585 a firma di Francesco de Castro; il cui frontespizio, riprodotto come illustrazione della copertina del volumetto, recita: MIRACVLOSA | VIDA Y SANTAS OBRAS DEL | Beato Patriarca Iuan de Dios Lusitano | fundador de la Sagrada Religion | que cura enfermos. | COMPVESTA POR EL MAESTRO | Francisco de Castro. | Aora nuovamente anadída y enmendada por vn | Religioso de la misma Orden. | [Fregio] | En Burgos, en casa de Ioseph de Mena [1621]. Il Celi ha semplicemente integrato il testo originario del Castro con altre testimonianze, molte leggendarie anche per la chiesa, correggendole solo qua e là, sicché i due stili, quello semplice e conciso del Castro e quello più gonfio e artefatto del Celi, stridendo denunciano le due diverse mani. Il Magliozzi, priore di Manila nelle Filippine, specialista della vita del santo fondatore, ha semplicemente fatto un estratto dell’opera del Celi, conservando solamente le parti della di costui mano, e riducendo al minimo indispensabile quelle già note del Castro. L’interesse dell’opera risiede nel fatto che le notizie sul fondatore sono sempre state scarse e difficilmente verificabili, e che la biografia del Castro era apparsa a tutti gli ammiratori del santo (l’espressione è del Magliozzi: gli ammiratori del santo) penosamente insufficiente. Quando nel 1590 Francisco de Castro era andato a Torino ad omaggiare del volumetto donna Sancha de Guzmán, conoscente di Giovanni di Dio e capogovernante (“camerera mayor”) della duchessina Caterina di Savoja, la pia dama aveva lamentato l’esiguità del testo, e aveva rimpianto d’esser donna, perché se l’ingegno gliel’avesse consentito avrebbe voluto ella stessa comporre coi suoi ricordi una biografia ben più sostanziosa. Era saltato fuori nel frattempo un manoscritto, già in antico talmente consunto che fu copiato e mandato al macero. Quello che non ci si aspettava era di trovarne la versione a stampa non prima del XX secolo, tra i Rari della Biblioteca Nacional de Madrid; si crede si tratti di una copia unica: appunto il volume qui riassunto, sempre esiguo ma comunque più ricco di quello del Castro. Il Celi ha infatti inserito le sue integrazioni sulla base di tale manoscritto, di cui è impossibile stabilire l’autore. Alcuni propendono per un fatebenefratello, altri per il noto collaboratore laico Angulo; che Magliozzi escluderebbe, dal momento che quando, nel XVIII capo, riferisce la storia delle quattro prostitute, Celi si rifà alla testimonianza dell’Angulo, citandolo esplicitamente, ciò che non avrebbe mai fatto in quei termini il diretto testimone. Il libretto fu poi stampato, con una fretta che lascia traccia vistosa sull’impaginazione, difettosa e penalizzante la lettura, nel 1621, giusto in tempo per fornire pezze d’appoggio al processo di beatificazione, concluso con la designazione da parte di Urbano VIII nel 1630; il pontefice tenne in effetti conto anche del materiale compreso anche nell’operina qui sintetizzata. Col Concilio vaticano II fu dato impulso a recuperare tutto il materiale storico sulla fondazione dei varj ordini, con loscopo di recuperare la primitiva ispirazione, sia pure aggiornandola ai tempi mutati; ma già nel 1950 Giovanni di dio aveva avuto una biografia scientificamente attendibile, la migliore finora composta. Il Magliozzi definisce l’opera compilata dal Celi come una sequenza di quadretti, ingenui soprattutto per quanto riguarda le giunte del Celi, ma non privi di fondamento storico. L’autore ha discrete conoscenze bibliche, che soprattutto per quanto riguarda la data della morte lo portano a qualche forzatura numerologica, tendente a suggerire un parallelo tra l’istante fatale e la folgorazione sulla via di Damasco. Era poi convinzione diffusa – come riflesso dell’antica effigie del santo, accompagnata dagli estremi biografici, riprodotta all’interno del volume – che fosse nato nel 1495, quando invece Magliozzi ipotizza che quando venne a morte fosse nel 58esimo anno dell’età sua. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie dionisio celi, francisco de castro, giuseppe magliozzi, san giovanni di dio narrato dal celi

642. Scheda: Nicolosi, “Oltre l’omosessualità. Ascolto terapeutico e trasformazione” (1993).

14 Ott

Joseph Nicolosi (1947), Oltre l’omosessualità. Ascolto terapeutico e trasformazione [“Healing Homosexuality. Case Stories of Reparative Therapy”, 1993]. Con la collaborazione di Lucy Freeman. Trad. Monica Rimoldi. Con una prefazione di Claudio Risé. Ed. San Paolo, coll. “Psiche e Società” n° 1, Cinisello Balsamo (MI) – Torino 2007. Pp. 309, compresi gl’ìndici.

https://i0.wp.com/img.libreriadelsanto.it/books/n/nxKkNYHGvJv5.jpgL’ho rinvenuto al Balôn nel cumulo dei libri, buttati, provenienti con ogni probabilità dalla biblioteca di qualche ecclesiastico morto, in mezzo a molti testi dirigenti a soda pietà. Le date (1993 e 2007) sono eloquenti d’una fortuna tardiva di questo indirizzo terapeutico nel nostro Paese, in primis grazie al fatto ch’esso ha cominciato a ridiventare un paese di destra, levandosi faticosamente ma volenterosamente ogni maschera ipocrita, a partire prevalentemente dal 1994; anche la psichiatria, lentamente ma inesorabilmente, ha preso un differente indirizzo, e la risoluzione dell’Associazione Psichiatrica Americana (1973), che non è certo un dogma, di rimuovere l’omosessualità dal novero dei “mental disorders” è tornata ad essere carne di porco per molte persone. Un andazzo che non ha avuto molta eco mediatica, salvo la canzone di Povia, “Luca era gay”, presentata al festival di Sanremo nel 2009, ma che in ogni caso riflette l’opinione di molti cattolici, ma non solo. Non mancano e non sono mai mancati analisti di sinistra, come Massimo Fagioli, le cui teorie non sono affatto in contraddizione con l’idea di una terapia riparativa dell’omosessualità.

Il volume inaugura la collana “Psiche e Società” dell’editrice cattolica, collana diretta dal prefatore Claudio Risé, che condivide l’opinione dell’autore, secondo cui l’omosessualità è frutto di mancata crescita, è un disturbo dell’affettività, e può essere curata tramite adeguato trattamento psicanalitico (già il concetto di disturbo dell’affettività è scarsamente dimostrabile, vedi che cosa ne pensava ad esempio Tobino: “Gli affetti non si ammalano”). Risé solleva solamente l’obiezione che il Nicolosi, semmai, non mette il debito accento sulla relazione diretta tra fioritura del fenomeno e diffusione di un modello familiare matrifocale dovuto all’affermarsi di ideologie che hanno messo in seria crisi il valore dei ruoli di genere a partire dagli anni Settanta: ma Nicolosi non manca di mettere in relazione omosessualità e femminismo come schieramenti ideologico-militanti spesso compresenti nel nome di una valorizzazione del principio femminile. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti 1 commento
  • Categorie joseph nicolosi, oltre l'omosessualità. ascolto terapeutico e trasformazione

641. Scheda: De Silva, “Non avevo capito niente” (2007).

13 Ott

Diego De Silva (1964), Non avevo capìto niente, Einaudi, Torino 2007. Pp. 309 + ringraziamenti + ìndice.

http://chapteronetobecontinued.files.wordpress.com/2009/04/desilva21.jpg?w=250&h=391Vincenzo Malinconico è un avvocato mediocre, che ha appena rotto con la moglie, Nives; i due hanno due figlj, Alagia (figlia di Nives, per la precisione, da precedente unione) e Alfredo. Nives è una psicanalista di successo, che adesso sta con un architetto, Lorenzo (quella di mettersi con donne sposate è una specialità degli architetti, pensa Malinconico). L’avvocato ha uno studio piuttosto miserando in condivisione (18 mq.) con tal Esposito e una coppia i cui nomi Malinconico non riesce mai a ricordare, che hanno la cooperativa “Arethusa” e un volpino dal carattere pestifero, che fa scappare tutti abbajando da dietro la porta della cooperativa.

Malinconico, che è costretto a serrare le imposte dello studio, rotte, con un tubo Innocenti, non ha molto lavoro; ha 42 anni ed è iscritto alla lista per i gratuiti patrocinj, il fatto di essere appena stato lasciato da Nives, già responsabile di tutta la floridità economica della famiglia, lo ha lasciato col sedere a terra. La situazione con Nives è ancòra fluttuante; una volta i due, nonostante siano separati, fanno l’amore. Al termine, il Malinconico tiene a dare a Nives i 400 euro che deve per legge, nonostante Nives si schermisca.

Un giorno Malinconico riceve una chiamata dalla Procura: l’avvocato che doveva difendere il camorristello Mimmo detto “ ‘O Burzone” ha dato forfait, e il primo nome che è saltato fuori andando in ordine di lista è quello del Malinconico, che un po’ disorientato si presenta. Mimmo ‘o Burzone è agli arresti; tutto quello che il Malinconico deve fare è presenziare al colloquio preliminare col magistrato che dovrà valutare se debba essere confermato o no l’arresto. Una mano mozza è stata trovata nel giardino dell’imputato. ‘O Burzone infatti è “becchino di camorra”, vale a dire uno incaricato di fare a pezzi e smaltire i cadaveri dei morti ammazzati. Egli sostiene che è stato il suo pitbull a prendere la mano mozza chissà dove e a seppellirla in giardino: tant’è vero che insieme colla mano è stato trovato anche il collare del cane. In questo primo approccio al caso di Mimmo ‘o Burzone, l’avvocato fa una figura assai promettente: il magistrato, un “fighetto” che si muove con goffaggine e fuma Rothman’s ultralight, chiede al Burzone di dire il proprio nome, solo che si ripete alquante volte, al che l’avvocato, esasperato per gli affari suoi, fa notare con una secchezza tutt’altro che abituale che un simile procedere non è corretto; il magistrato ci rimane di stucco, e Malinconico acquista valore agli occhi del Burzone. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie diego de silva, non avevo capito niente

640. Scheda: Barbery, “Estasi culinarie” (2000).

13 Ott

Muriel Barbery (1969), Estasi culinarie [“Une gourmandise”, 2000], trad. Cinzia Poli [la voce del critico] ed Emanuelle Caillat [gli altri personaggj], edizioni e/o, Roma I sett. 2008. Pp. 145 + ìndice + catalogo.

http://lapoesiaelospirito.files.wordpress.com/2008/10/barbery.jpg?w=200&h=317È l’antefatto de L’eleganza del riccio. Anche in questa prima parte c’è un’alternanza di voci, dal palazzo di rue de Grenelle e da altre parti, che concorrono alla narrazione della storia. Il romanzo è consacrato interamente all’ardua figura del critico gastronomico m. Arthens, che sessantottenne sta morendo nel suo appartamento. È il più grande critico gastronomico del mondo, è dotato di un carattere pestilenziale e ha saputo, dopo una vita passata all’insegna degli eccessi del buongustajo, che, mentre lo stomaco e il fegato reggono benissimo, è il cuore che lo sta tradendo: se l’è fatto dire dal medico ch’è anche suo amico, gli rimangono solamente 48 ore di vita. Intorno al suo capezzale s’alternano Anna, la moglie succube e infelice, che ha perdonato tanti tradimenti, il nipote leccapiedi Paul e i figlj Jean, Laura, Clémence, che ha cresciuto strani e che l’odiano. Gli unici che si disperino sono la moglie, la serva e il gatto Rick, mentre con cordiale antipatia pensano a lui Jeanne (la futura protagonista de L’eleganza del riccio), la chef Marquet padrona del suo ristorante preferito, i tre figlj, il barbone dell’angolo che ricorda con quale disprezzo gli passava davanti ignorandolo, l’ex-amante a Nizza che lo considera la propria Waterloo, &c.

Mentre muore, Arthens, la cui vita è stata effettivamente un disastro, è ossessionato dal ricordo di un sapore che non riesce a identificare, e che vorrebbe riprovare prima di morire. Fa un lungo viaggio a ritroso con la mente, pensando a dove potrebbe averlo provato; parte dalla carne assaggiata in quel locale a Tangeri, e ripensa al pesce che mangiava in Bretagna dai nonni. Centrale nella concezione filosofica di Arthens è la figura della nonna: suo delfino tra i giovani critici gastronomici diventa ad una cena dalla Marquet un esordiente che riesce a spiegargli esattamente come mai la cucina della nonna è destinata a rimanere per ciascuno la migliore: essa è fatta per riempire lo stomaco, ma vi si accompagna una sensualità particolare; è un’opera d’arte che è destinata a rimanere non celebrata, ed è il punto di forza di queste donne che hanno dovuto continuamente far capire innanzitutto ai mariti di essere in grado di dar loro un godimento che non potranno mai ricambiare. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie estasi culinarie, muriel barbery

639. Scheda: Panzieri, “La ripresa del marxismo-leninismo in Italia” (1973).

13 Ott

Raniero Panzieri (1921-1964), La ripresa del marxismo leninismo in Italia. Introduzione e note a cura di Marco Lanzardo. Sapere Edizioni, Milano-Roma febbr. 19752 (19731). Pp. 366.

https://anfiosso.files.wordpress.com/2010/10/panzierimessina.jpg?w=189Raniero Panzieri nasce a Roma nel 1921 da famiglia ebrea; colpito anch’egli dalle leggi razziali non può frequentare l’università, e segue corsi universitarj in Vaticano, approfondendo la sua conoscenza di Marx. Nel 1945 si laurea in legge con una tesi su Morelly (“L’utopia rivoluzionaria del Settecento”; è sull’In lode de la Natura, 1725), presso l’Università di Urbino. Dal 1949 insegna all’Università di Messina. Dal 1950 è associato alle occupazioni di terre da parte dei braccianti in Sicilia; sarà processato nel giugno 1951, e poi assolto per insufficienza di prove. È militante socialista. Dal 1953 è nel Comitato centrale. Quando nel ’55 muore Morandi, suo capocorrente, sembra lui l’erede designato, ma non fa nulla per farsi dare la direzione del partito (che si chiama ancòra PSIUP), né adesso né in séguito, difendendo una linea radicale anche a costo dell’infamia, come si verificherà meno di dieci anni dopo.

All’inizio degli anni Cinquanta tra PSI e PCI – che complessivamente costituiscono il grosso de “Le sinistre” – non ci sono differenze di matrice filosofica, sennonché proprj del PSIUP sono la lotta per la democrazia e l’antistalinismo, oltre ad alcuni concetti marxisti e postmarxisti diversamente interpretati. È questo il caso dell’idea basilare di “neocapitalismo”, inteso come un capitalismo affatto nuovo, e dunque non interpretabile con le vecchie categorie marxiste. Sennonché RP, che tra ’49 e ’50 ha tradotto in collaborazione con la sposa Giuseppina Saja il II libro del Capitale, quando utilizza, e lo fa spesso, l’etichetta “neocapitalismo”, è rifacendosi proprio alla lettera di Marx, evidentemente negletta dalla critica marxista comunista, più per convenienza che per ignoranza, dal momento che il neocapitalismo secondo l’accezione marxiana è una chiave interpretativa egregia anche per il cosiddetto capitalismo di stato di marca staliniana. Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie la ripresa del marxismo leninismo in italia, raniero panzieri

638. Joan Sutherland.

12 Ott

Facile, quando si tratta un genere che ha conosciuto i suoi veri fasti cinquant’anni avanti, ritrovarsi più a commemorare che a trattare; ossia, trattando, automaticamente a commemorare. Jeri L’altrojeri (10 10 2010) è morta Joan Sutherland (1926-2010), che s’era ritirata nel ’91. Ha avuto un repertorio ricco ed ampio, di una settantina di ruoli, e ha cantato indefessamente per qualche decennio; ha inciso moltissimo, e ha lasciato moltissime testimonianze audiovisive di sue recite. Non aveva un timbro particolarmente attraente (il medium e le note gravi, intubati e privi di risonanze, hanno sempre avuto strane inflessioni senili), ma la sua preparazione tecnica era mostruosa. Cominciò sotto la guida della madre, che le insegnò secondo il metodo, abbastanza discutibile, di Mathilde Marchesi. Cominciò cantando ruoli wagneriani, l’opera contemporanea, e parti secondarie. Poi incontrò Richard Bonynge, suo marito, e la Callas, e rifece tutto da capo, reinventandosi come soprano di coloratura. Era specialmente a suo agio nel repertorio settecentesco (Handel su tutti) e in Donizetti, e in alcune parti molto congeniali, come Esclarmonde di Massenet, la sua opera preferita; mentre il cavallo di battaglia era Lucia di Lammermoor. Era alta più di un metro e ottanta, e aveva una basiola molto caratteristica, che ne faceva l’erede naturale di Nelly Melba e l’antesignana altrettanto naturale di June Anderson. E’ stata anche lei, come diversi altri presunti mostri sacri, un soprano, con tutta la sua portentosa preparazione, monco di Norma e di Violetta Valéry, due parti che cantò e incise e in cui non eccelse. Aveva pessima dizione, che via via si rivelò occasionalmente lesiva dell’intonazione: tendeva a “calare”. Svolse la sua carriera quasi interamente nel Regno Unito, negli USA e in Australia; cantò poco in Italia, e vi tornò di rado, eppure, tramite i dischi, anche qui era famosissima. Tutto questo fa sì che non sia facile trattare di lei in poche righe.

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie joan sutherland

637. “Il cagnolino e il gatto”.

11 Ott

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d9/1808-miseries-life-catsitting-I-Cruikshank.jpg

Trattasi di un ricordo abbastanza remoto; riguardante persona di cui già credo aver parlato quissopra. M’aveva fatto riferimento ad un racconto, genericamente, forse una novella cinquecentesca (di quelle novelle di cui tanti esempj si sono dati, tra Grazzini, Giraldi Cinthio, Straparola plagiario del Morlini, Bandello, Da Porto, e insomma tutti quei nomi che si fanno sempre alla scuola a proposito della narrativa postboccaccevole, che nel Rinascimento ebbe tanta voga e tanto poche cose di momento produsse). Continua a leggere →

0.000000
0.000000
  • Commenti Lascia un commento
  • Categorie favole

636. Scheda: Lindqvist, “Lasciami entrare” (2004).

9 Ott

John Ajvide Lindqvist (1968), Lasciami entrare [“Låt den rätte komma in”, 2004], trad. Giorgio Puleo, Marsilio, Venezia 20061 e giugno 2010 per RCS periodici. Pp. 461 + ringraziamenti.