403. Impresa XLVI.
19 OttLA COMETA. “DVM LVCEAM, PEREAM”. È sirena del cielo, che il suo mare Corre omologa in lunghi tratti, eppure, Traversatene innumeri misure, Sempre a guardia d’un luogo hai da trovare. Ha coda di rovine: ma cantare Suol la marina a trar prue in rocce dure; Invece la celeste le sventure Nostre & sue viene in uno a raccontare. Di donne-pesce il canto può evitare Chi sa; chi ignora è l’ostia & è l’artiere Di quest’inganni orribili del mare. Nella morente stella hai da vedere, Invece, un male che dovrà piombare; Perciò, infelice, lascia sé cadere.
402. Impresa XLV.
19 OttIL SOLE SPLENDE SUL GIVSTO & SULL’INGIVSTO. “AFFLVENTER & SINE IMPROPERIO”. Sé stesso di continuo altrui commette L’astro vitale, e il mondo, che riceve, Ora mostra saper quanto gli deve, Ora prende, e di ringraziarlo omette. Chi è grato, nel ricevere promette Aumentare del dono il pregio, e a lieve Ha il donatore il grazie, fiato breve; E se il dono è infecondo in granfe grette? In nulla è sminuito il donatore, Che dà quant’egli dà senza speranza, Di nulla trarne a sé, nemmeno amore. Per questo splende il Sole; e sempre avanza Da spandere su noi raggj & calore, Con un largire che non ha mai stanza.
401. Impresa XLIV.
19 OttIL SOLE SPLENDE SU BABILONIA & GERUSALEMME. “OMNIBVS IDEM”. Sul sacro suolo, e sulla perdizione Elevata a città dispensa il Sole Gli stessi raggj, e meno egli non vuole Pioverne in male parti anziché in buone. Così che tutto il mondo ha la visione Quotidiana del sommo bene, e scuole Di verità ha dischiuse quando suole Levare il naso in alto, & di ragione. Benché taluna parte vilipenda Il bene, e innalzi a legge sua il peccato, Parte non è dove minore splenda, Luogo non è in cui sia in idea mancato; Per quanto a gabbo o qui o lì si prenda, Mai dal mondo sarà dimenticato.
400. Impresa XLIII.
19 OttSOLE PER METÀ OSCURATO. “NISI CVM DEFICIT SPECTATOREM NON HABET”. L’invidia innanzi a un Sole che ha pienezza Di raggj, si ritrae, abbacinata, Tanto che si può dire che negata Le sia dell’astro qualchessia contezza. Solo quando la limpida nettezza Del volto suo sia da alcunché smorzata, Dalle mende la vista raguzzata Può porre in lui, e perspicace apprezza. Così, Virtù, t’abbaglj, se presumi Essere franca da invidiosa stizza Perché i suoi lumi ignorano i tuoi lumi; Quando il tuo lustro Sole s’opacizza, Per menda a cui non vanno esenti i numi È proprio allora che in te i lumi drizza.
399. Impresa XLII.
19 OttLA FORBICE. “DETRAHIT, & ORNAT”. Solo chi non distingue bello a adorno Trova che a questo brillino spietate Lame strumento, e l’opere sue ingrate, In pro del giusto, ma di beltà a scorno. Insufficienza a lui senza ritorno Pajon le cose diviti castrate, A scheletro ridotte, deprivate, Ontose ormai di comparire al giorno. Ma se i lustri e gli ornati a quant’è bello La mano dell’artefice raddoppia, Non la bellezza accresce: opprime; & quello Che semplice piaceva, quel che stroppia Eccesso, d’una forfice il macello Risana, e bello e semplice riaccoppia.
398. Dalla Clio di Quevedo III.
19 OttA ROMA SEPOLTA SOTTO LE PROPRIE ROVINE. In Roma cerchi Roma, oh pellegrino, Né di Roma hai tu in Roma le avvisaglie: Cadaveri son quante alzò muraglie, E tomba a sé trovato ha in Aventino. Giace, dove regnava, il Palatino; E, limate dal tempo, le medaglie Più appajono evizioni alle battaglie Del tempo, che blasone del Latino. Solo il Tebro restò, la cui corrente, Se l’irrigò città, ora sepoltura La piange in suono funebre e dolente. Roma, di bello & grande in tua fattura Scorse quant’era fermo, e solamente Quello che scorre t’è rimasto, e dura!
397. Dalla Clio di Quevedo II.
19 OttALLA STESSA STATUA. Bronzeo più della bronzea tua figura È chi ti vede, e che non piange allora; Quando già il sentimento che t’adora Fuse metalli a darti forma dura. Vuol col ferro la tua cavalcatura Premer liquide strade, che l’Aurora Profuma andando, per cui apre Flora Varia e feconda ognuna sua fattura. Dura vita con mano lusinghiera Diede in Firenze artiere a te ingegnoso, Sicché regni e in superna e in mortal sfera. Questo ch’imita te bronzo è virtuoso; Quale sarebbe al fato gloria altèra Se in anni lo imitassi numeroso!
396. Dalla Clio di Quevedo I.
19 OttFrancisco de Quevedo, Il Parnaso spagnolo, monte in due cime distinto, con le Nove muse castigliane. Clio, musa prima. Canta poesie eroiche, vale a dire elogj e memorie di principi e uomini illustri. ALLA STATUA DI BRONZO DEL RE DON FILIPPO III. Oh quanta maestà! Oh quanto il nume Proprio al terzo Filippo, invitto & santo, Arriva il bronzo ad imitare! Oh quanto Del raggio suo quest’apparenza assume! Non smorzi il tempo, ma rispetti il lume D’un volto il quale amore al pari, e pianto, Destò, nemico e amico, altrui, fintanto Ch’estese del suo essere il volume. Osò imitar l’artefice toscano Uno che dio imitato ha in tal maniera Che tanto santo quanto re è sovrano. Cólla riproduzione veritiera S’erge il bronzo in reliquia, e questo piano Col lampo maestoso illustra altèra.
395. Notizia XXIII.
19 OttNEW YORK: ALLARME FBI PER I POLIZIOTTI CORROTTI. Un cane l’altro cane lascia in pace Quando non vede mano che lo pasca Versandogli davanti, larga e lasca, In copia il buon pastone che gli piace. L’altro cane s’abboffa, e se ne tace Coll’uno, e l’argomento mai non casca Sul fatto, mai che lite da ciò nasca, Mai che l’uno coll’altro sia mordace. Ma se scopre l’un cane, macilento Per la tirchia razione padronale, L’altro che a josa ingoja, n’è scontento, Vorrebbe procurargli qualche male; E abbajando gli dà bieco il tormento, E gli dà di corrotto, & di majale.
394. Notizia XXII.
19 OttLOS ANGELES; LA CALIFORNIA VA DI NVOVO IN FIAMME. Avvolge questa terra leggendaria Fama d’una ricchezza senza pari; Dimostra ciò che dove aprono erarj Gran dovizie, prudenza è necessaria. Ciascun umano bene in fumo all’aria Presto svanisce, & quelli che più cari Sono beni, nei visceri più avari Del mondo i primi sorte hanno nefaria. L’oro, il cui lampo fulvido fervente Il Sole, amico finch’è ben distante Coi raggj suoi, è ben reminiscente, In vampe si trasmuta in un istante, E più laddove il sottosuolo ingente N’è più libero, & ampio, & abbondante.
393. Notizia XXI.
19 OttANDREA DELLA VALLE LASCIA LA PRESIDENZA DELLA FIORENTINA IN SÉGUITO ALLE CONTESTAZIONI. Io non l’ho contestato: è doveroso Dirlo prima di tutto inquantoché Costui se ne va via proprio perché Dell’astio oggetto di qualche tifoso. Tifo non ho né faccio: e dunque astioso Non mi mostro ad un uomo che, per sé, Mai ha rappresentato, a me, alcunché, Per cui non perdo fame, né riposo. Adesso se ne andrà, se non m’inganno; Ma potrebbe andar via tra qualche mese, O mai, per me, o pure qualche altr’anno. Potrebbe andare via a gambe tese, In bici, o in motoretta; o in seta, o in panno Vestito. Purché vai. Va, a quel paese.
392. Notizia XX.
19 OttCARMEN MANFREDDA. VNA NOSTRA MAGISTRATA AI VERTICI DI EVROJVST. Con la gelida mano appropinquando Si va una donna ai tetrici faldoni Pieni di morti, ratti & estorsioni, Spaccj, e un eccidio o due di quando in quando. Mano agghiacciata, che non tremolando Vada, s’addice alle celebrazioni Dei processi di tutte le nazioni Del continente inquieto, & allo sbando. Non sai ch’è in quanto a scriver ha la storia Che la man morta che il cammino mostra Chiamata sempre fu Mano di Gloria? Bene è se possessora si dimostra Di mano immota, e non mai desultoria, Lei ch’orna il tocco, e il magistero inostra.
391. Notizia XIX.
19 OttU3-X DI HONDA, IL MONOCICLO PER MVOVERSI IN CITTÀ. Il mondo paralitico & viziato Gode a scorciar per sé tutt’i percorsi, Dando sé stesso, senz’aver rimorsi, Tutto all’ipertrofia che l’ha intaccato. Vedi il ricco, prudente & avvisato: Suda nelle palestre, aggiusta i morsi Ai cavalli, e scolpendo ventri & torsi Sprizza salute, e ha i denti in buono stato. Poi, se la sera è abbastanza bella, Esce gonfiando i muscoli, seduto Sopra una deprimente carrozzella. Giuoco da rimbambiti, oh soccombuto Genere umano a moda stupidella. Oh tempo rattrappito, irto, & gobbuto.
390. Notizia XVIII.
19 OttCANCRO AL PANCREAS. ITALIANO SCOPRE ARMA PER CHEMIOTERAPIA PIÙ EFFICACE, & VUOLE TORNARE IN ITALIA A SPERIMENTARLA. Torna il cervello in fuga, che ha trovato In America campo alla ricerca; Sfuggito a Italia, madre no, noverca, Viene a ridarle quanto non gli ha dato. Oh di senso filiale oh l’impensato Esempio, che va a lei che non lo cerca; E non ultroneamente spaccia, o merca Quello di cui non le dev’esser grato! Contro una neoplasia ora il ritrovato Farmaco osserverà qui se funziona. Per aver cure al cancro incoraggiato
Mai pure s’illustrò codesta zona;
Semmai ai dotti suoi il modo ha dato
Di prenderlo in primissima persona.
389. Notizia XVII.
19 OttMARTE. SVL PIANETA ROSSO C’È MOLTO GHIACCIO. Le fulve arene, che al vicino Sole Prendono tinta, e si direbbe pure Del fuoco vivo le più vive arsure, Celano geli; & io non ho parole. Come un cuore d’amante che si duole Preda alle contraposite sue cure, Gelano, ardono in uno le radure Rosse che mano non sovviene o cole. Vivo così, benché ridotto in cenere, Fuoco al cuore al suo amore empio comparte L’amante, e agli occhj suoi lagrime tenere; Ma così, mal vivendo, si diparte; Mentre forse, così mutato in Venere, Vive, poco per quanto, il morto Marte.
388. Notizia XVI.
19 OttCLAVDIA MORI OFFESA DA X-FACTOR LASCIA IL PROGRAMMA. Ignoro totalmente ch’è successo, Né del “volgare agguato maschilista” Quale sia la sostanza, né ho mai vista Né sentita tal Mori fino adesso. Leggo qui che durante lo show stesso Han mostrato una foto; non s’insista Quale & chente a richiedermi; ma mista Ebbe reazione, e mutò idea appresso. Io non so che s’è fatto, di ben grosso, Credo, che tanto Mori Claudia offese; Né perché ora ritorni io spiegar posso. Dico che altre notizie da me attese Non sono, perché Claudia Mori, all’osso, L’ho già bell’e mandat’a quel paese.
387. Notizia XV.
19 Ott“OLYMPIA”. IL QVADRO DI MAGRITTE RVBATO A BRVXELLES. Dove all’occhio di guardie e di custodi L’occhio incircoscrivibile del Sole S’aggiunge, e ovunque spia, com’esso suole, Trovano i furti a perpetrarsi i modi. Con astuzie che quasi l’altrui lodi Pajon chiamare, essendo uniche & sole, Sennonché vòlte a impresa che assai duole, D’ogni cautela hanno spezzato i nodi. Stupisce che sia stato consumato Di giorno ai danni di che tanto vale Tela ammirata, rapido reato; E se meriti ci si chiede tale Quadro più stima, o il modo in ch’è rubato; E dei due quale sia più surreale.
386. Notizia XIV.
19 OttGIVSEPPE TORNATORE. LA LAV CONTRO “BAARIA”: VIOLENZA SV VN BOVINO. Per destare nel pubblico stupori, Dell’arte più veloce il facitore Ricorre a quel che càpita; al visore Questo dà un bue stordito e fatto fuori. Spera che lo spettante a quegli orrori Per parastico effetto abbia un malore? Di fronte a un bove che abbacchiato muore Sbandir l’abbacchiamento vuol dai cuori? Quanto rifiuta l’occhio, e più la mano, Premio otterrà di vomiti convulsi, Spettacolo dolente, & disumano; E, dalle logge dipancati e avulsi, Gli spettatori quel vedere insano Scorderanno, cogli altri film insulsi.
385. Notizia XIII.
19 OttIN GRAN BRETAGNA SCOPERTO PER CASO VN MAXITESORO DA VN DISOCCVPATO. Brillano in mucchj d’oro gli ornamenti Frutto d’una ricerca sfaccendata, Ossia d’una scoperta insospettata, Tomba d’ignoti all’hoggidì talenti. Li ritrovò negli anni semispenti Larva d’uomo irrequieta e inoccupata, Ché così potrà dir ch’ “è una giornata” Più assai di molti alle fatìche intenti. Suona ironico il fatto che inveniente Sia di quantitativi tali d’oro Chi da sera a mattina non fa niente; Ma ancor più che a colui vada un tesoro Teste d’un tempo che indefessamente Visse d’opere, & d’improbo lavoro.
384. Necrofilia romantica.
19 Ott1. Giacomo Lubrano (1619-1693), da La febbre contagiosa della lascivia, in Prediche quaresimali (posth., 1702). Cit. in Prosatori e narratori barocchi, scelta e introduzione di Giorgio Bàrberi-Squarotti, apparati di Fulvio Pevere, “100 libri per 1000 anni”, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2002, pp. 809-810.
Che lagrimevole istoria si legge negli annali di Francia! Carlo Magno, gloriosa idea de’ prencipi, invittissimo negli eserciti, giustissimo ne’ tribunali, zelantissimo ne’ santuari, da che fu preso dalla febbre pestifera del senso diede in uno sbalordimento d’indegnissime turpitudini. Mortagli la concubina, non volle che gli uscisse di camera, disfacendosi in lagrime alla vista di quelle diffigurate bellezze. Già tutto gonfia, tutto annerita, tutto fracida ammorbava col puzzo la reggia, né, per quanto gli suggerissero le consulte de’ satrapi, le prediche de’ religiosi, le censure de’ vescovi, mai fu che mandasse a sotterrare quella reliquia di succidumi. Carlo, che pretendi con ostinatezza tanto contumeliosa al tuo nome? Ti han vedute le nazioni incoronar di trionfi la Chiesa e piantar sulle ruine della barbarie sconfitta i labari della croce: ora ti piangono adultero di un’estinta e da primogenito della fede degenerato in cadetto della lascivia. Minor male sarebbe che incrudelissi da superbo. Screditò gli Ercoli la conocchia di un’Onfale, i Sansoni il pettine di una Dalida: quanto più vergognose son le tue smanie, che amoreggiano con una fantasima di putredini? La Francia sta per toglierti di mano gli scettri della grandezza e publicarti il minimo della vilezza. Così tramonta il sole de’ cristianissimi nell’ombra di una dannata? Così finiscono le conquiste della tua spada in uno sterquilinio di biasimi? Che razza di sceleragini, abbominevoli fin nelle bestie che si sfamano di cadaveri? Dove ti precipitano le passioni, a perdere in un colpo la fortuna di re, la fama di magno, la natura di uomo? Guarda ben l’orridezza della tua donna disfatta in uno scolatoio di marce, guarda le trecce che si sfilano in vermini, gli occhi che spaventano. Guarda, Dio buono! Ciò che dovrebbe riconsigliarti ti accieca. Che più ti aspetti da uno scheletro? Peggio de’ Mezenzi, condanni te stesso agli abbracciamenti di una carogna: sì, sì, va, stringiti a quell’avanzo di polveri, bacia quel vomito di fetidezze, consolati con quella larva insepolta, restati scandalo de’ regni, ludibrio de’ popoli, demonio d’incontinenza in un concubinato d’inferno. A tale sprofondamento d’infamie spinse la febbre pestilente del senso un Carlo Magno, celebratissimo ne’ fasti vaticani per le vittorie di gran guerriero e per le virtù di gran Cesare, e vi sarebbe annegato se, scoperta la stregheria di un maleficio, non avesse detestata con umiliata contrizione l’enormità de’ suoi cadaverosi amoracci.
2. Henry Rider Haggard (1856-1925), da La donna eterna [“She”, 1887], trad. Wanda Puggioni, “Compagnia del Fantastico” n° 9, Gruppo Newton, Roma 1994, pp. 54-55.
Poi, cedendo ad un improvviso bisogno, mi raccontò come un tempo, quando era giovane, quasi un ragazzo, la mia stanza attuale servisse da tomba ad una donna giovane e bella, miracolosamente conservata grazie ad un sapiente processo in uso fra gli antichi. Il suo aspetto era dolce e calmo come di chi dorme tranquillamente, e lui amava recarsi a contemplarla in segreto, perduto in vaghe fantasticherie, finché giunse a concepire una strana passione per quell’essere morto da secoli, ma che ancora pareva sorridergli dal suo letto di marmo, come se il soffio della vita palpitasse sotto la pelle rimasta morbida e liscia. E, mentre sedeva per ore ed ore accanto a lei e le baciava la fronte gelata, apprendeva nelle lunghe meditazioni e nel quotidiano contatto con la morte, la vera saggezza.
Senonché, un giorno, sua madre, accortasi del cambiamento avvenuto in lui, lo seguì e, credendolo stregato, presa insieme da collera e da spavento, avvicinò la lampada ai capelli dell’estinta, il cui corpo bruciò come cera, come avviene di tutti quelli conservati nello stesso modo.
–Ecco, figliuolo, il fumo lassù… visibile ancora dopo tanti anni – aggiunse, accennandomi una macchia scura sulla volta. — Lei bruciò, ma io riuscii a conservare uno dei suoi piedi, strappandolo con un colpo dall’osso intaccato dalla fiamma, e lo deposi qui, avvolto in un lino. Ignoro se vi sia ancora, perché da quel giorno non ho più rimesso piede in questo luogo.
Così dicendo, si chinò sotto il banco di pietra che mi serviva da letto e ne trasse un oggetto informe, il quale, liberato dal denso strato di polvere e dai brandelli di tela che ancora lo coprivano, si rivelò al mio sguardo attonito come un piedino femminile dal contorno squisito. Era quasi bianco, e la carne appariva tuttavia morbida e fresca come doveva essere al momento della morte: un vero trionfo dell’arte dell’imbalsamazione. Mentre fissavo lo sguardo su quel freddo avanzo di un lontano passato, i più strani pensieri mi si affollavano in mente, ed avrei voluto penetrare il mistero di quella vita, sollevare un lembo del velo che ricopre l’impenetrabile…
Avvolsi con reverenza la strana reliquia nella vecchia stoffa che l’aveva protetta per tanti anni e la racchiusi nella mia valigia (…).
383. Notizia XII.
19 OttAMANDA KNOX. OMICIDIO DI MEREDITH: SI TORNA IN AVLA. La memoria intricata di anormali Rapporti tra ragazzi conviventi Non ajutano a dare a questi eventi Utili notazioni valoriali. Ma certo colà avvennero gran mali, Vi furono follia, odio, & tormenti, In quella casa, & torvi di dementi Atti sadisti, & crimini sessuali. Ha un curriculum (non occorre esperto) Questa donna, che te la raccomando, Causa anche alle pellacce di sconcerto. Qualunque cosa in quella casa infanda Sia seguìto, c’è un solo fatto certo: Che questa KNOX è tutto fuorché AMANDA.
382. Notizia XI.
19 OttFEBBRE SVINA, VN’ALTRA VITTIMA; MA LA MORTALITA’ RIMANE INFERIORE A QVELLA DELL’INFLVENZA STAGIONALE. Corse vie misteriose la di moda Peste minore, che dalla maggiore Trae la metà del nome; se ne muore, Ma a quantità non sciala, & non trasmoda. Par che la psiche collettiva goda A partorire allarmi; e forse a cuore Ha l’idea d’un periodico malore Che grugnisce, & arricciola la coda. A differenza d’altri morbi, al nome Più esotici e distanti, al sol sentirla Anche ai calvi s’arrizzano le chiome: Val meglio un raffreddore a seppellirla, Pure l’umanità, chissà poi come, Se intende un oink resta basita, & pirla.
381. Notizia X.
19 OttCLIMA, LA CINA PROMETTE LA SVOLTA. RISCALDAMENTO GLOBALE. Privi d’umano sentimento, gli uomini Per procacciarsi calorie, e scaldarsi, Ch’è il sopravvivere, se vuole usarsi Questo verbo, o comunque lo si nomini, Sgomitanti e in esubero condòmini Tanto seppero il cuore raggelarsi Nel petto, come sempre deve farsi Da chi d’altrui ardendo in altrui dòmini, Che del possesso ormai la brama folle, Fiamma nata dal gelo, intera al mondo S’appicca, e brucia in terre, e in mari bolle; Incendio che arderà giusto secondo Che basti a fucinargli il cuore molle; O a incenerirlo, & renderlo fecondo.
380. Notizia IX.
19 OttMASSIMO BVSACCA. L’ARBITRO TICINESE FA DITO MEDIO; POI SI SCVSA. Stanco, evidentemente, d’esser preso A colpi di cornuto, i colpi para Con doppj colpi il giudice di gara, Per cui severamente ora è ripreso. Non solamente egli di stizza acceso CORNVTI VOI oppose alla cagnara Che a cervine appendici i capi appara Degli arbitri, il che a far s’è sempre atteso: Ciò ch’è peggio, varianti originali Apporta al segno ond’ha la testa adorna; Mostra il posto che poggia sui pitali D’andare a dare. A prendere ora torna Le insegne, ma non solo quelle usuali: E adesso ha il culo rotto, oltre alle corna.
379. Notizia VIII.
19 OttMICHELLE OBAMA CONVINSE IL MARITO AD VSARE IL MOTTO “YES WE CAN”, CHE LVI CONSIDERAVA “INFANTILE” & “BVRINO”. L’esito appeso ad una frase smorta, Di labile richiamo, delle urne, Figliando conseguenze diuturne Quanta mostrò fecondità comporta; Da parte femminina in ciò esser sorta Mostrando, pure, e alle arti un po’ notturne Della donna ch’è a fianco, a ricondurne Le fila al vero autore, ciò che importa. E veramente molto saggia appare Lei che riuscì ad imporre quel richiamo Che lui diceva non potersi usare; Vero in ciò stesso lo verifichiamo: Che cosa, infatti, non si potrà fare, Se POSSIAMO anche quel che non possiamo?
378. Notizia VII.
19 OttMIAMI. MADRE & 5 FIGLJ TROVATI MORTI IN CASA. D’almeno cinque secoli lo spazio Giace immobile in quella casa quieta: Cinque secoli, lunghi!, di segreta Pena, d’impegni, & di fatìche, & strazio. Così al contempo hanno pagato il dazio Alla terra, che evadere si vieta; La sequela d’eventi, aspra, & non lieta Finì, che l’uomo fa di vita sazio. Si ricerca il colpevole; è fuggito Dopo commesso il fatto, il rispettivo Padre agli uni, e alla donna già marito. Sconterà così il carico afflittivo Chi ai suoi cari ha in un colpo consentito Di schivar l’afflizione d’esser vivo.
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