Archivio | 19:14
FOTOGRAFIA. Di chi manca impressione, abbandonata Al mondo nel morire, un’illusione Di presenza in assenza, una finzione Perché chiedermi sia da me accettata? Dopo appreso che d’indi in poi tornata Mai più sarebbe, e che liberazione Non si dava altra alla maledizione, In forma alcuna non l’ho più cercata. Ritrovarla così vorrebbe dire Cercarla, dopo un tempo ormai lunghissimo, In luoghi donde non è dato uscire. Guai se gli oggetti, i corpi non smarrissimo Per darci a quello che non può finire. E la ricordo ancóra, lei, benissimo.
IL FVTVRO. Chiunque ne ha uno solo; io ne ho due, Uno che è a breve termine, ha di piombo La tinta, e lo preannuncia un tetro rombo, Carta & inchiostro le interiora sue. Stolido e senza prole, come il bue, Passato del suo ungue il gran rimbombo, Se nel sonno perenne poi non piombo, O non corro a buscarmi Aids o lue, Ne verrà un altro, che ha strepiti d’armi, Allucinate veglie, dì d’affanno; Non l’intravedo, e già vuol spaventarmi. Cerco incontrare il primo in capo all’anno; Quanto al secondo, a costo di rifarmi, Spero da buono in qualche bel malanno.
TASCHE BVCHE. Liso, cadente, & con le tasche buche, Eroso dalla fame, sforacchiato Da tarme, mezzo morto, stralunato, Tutto un crowl in & out di tarli e ruche, Quasi ai miei lai un agmine di nuche Opponesse il suo no, ecco, ho declinato Più offerte di denaro, a me allungato Per pietà, senza impegno. Con festuche Stuzzicadenti e fichi molli in certa Discesa a breve termine restassi Sdrajato tutto il giorno su qualch’erta, Movendo pochi, & indolenti i passi! Non so cosa mi piglî; mi sconcerta Talora il dono, quasi onta provassi.
PORTA. È strumento che esclude, ma anche invita Ad ingredere, è un mezzo che dà modo Tanto a restare fuori quanto – e lodo Questo di più – a non far lesta partita. Ma, mi chiedo, la sua ben definita Dote di far entrare, onde io godo, Non compossibil è all’entrar di frodo Chi chiusa toppa forza cólle dita? Chiama a entrare, la porta, ma il richiamo Potrebbe darsi s’essa non foss’usa A proclamare altrui: Non ti vogliamo? Sì, solamente quando va delusa L’altrui richiesta in questo senso entriamo: Solamente, sennò, è una porta chiusa.
MASCHERA (IO). Io: tardo, malleabile, scroccone, Ghiotto, guitto, gentile, leccapiedi, Prenderò tutto quanto mi concedi, Sono sincero, strano e buontempone. Sono ignorante, fiacco, son sornione, Ladruncolo, mi vedi e non mi vedi, Però mi trovi, se di me richiedi – Stanziale in fatto, greve, & scorreggione. Sono fatto di gomma, son di legno, Son di pietra, di fango, merda, tolla, Di materiale indefinito e indegno; Sono cangiante; sono pastafrolla; Sul mio spazio e sul tempo ho pieno il regno; Volatile parrei, sono una còlla.
APPVNTAMENTO. Odio gl’incontri al bujo, scorticata Novità d’Interdèt, tra i molti mali Passati dagli annuncî dei giornali Anche alla gente solida, & bennata; Se prima, infatti, solo era serbata A genti impresentabili e banali, Quest’usanza ora passa i penetrali Più scrimitosi, & pure a me è passata. Ciò m’indispone; e mi fa male al cuore Aspettar non so chi, né come fatto, E averne un sottilissimo timore; Sicché, mentre vien l’ora, questo patto Propongo a me: mai più, manco se muore, Dirò di sì ad un mio virtual contatto.
VNA BIBLIOTECA È VN CIMITERO. Qui chiuso è un mondo, e, come al mondo, è giusto Che morti siano i più, e vivi i meno; Ma questo mondo è tacito e sereno, Polveroso, istruito, & di buon gusto. Ma dà anch’esso, alla lunga, il suo disgusto, Tanto di belle cose morte è pieno; In fondo, oltre alla morte, accoglie in seno D’umanità soltanto qualche frusto. Denegata alla vita dolorosa, Piena d’afrori, caos, nebbia, mistero, Spettrale umanità in codest’ombrosa Stanza s’occulta, e per enigmi il vero Spia, pallida, gialluta, & rantacosa: Già in vita morta, tanto è un cimitero.
SV VNA POZZA D’ACQVA TROVATA DAVANTI ALL’ARMADIETTO, IN PROSSIMITÀ DEL LETTO, IN GIORNI DI PIOGGIA. Mentre gli altri tre dormono, all’incerto Lume che vien da fuori, accanto al letto, Pozza, isolata, innanzi all’armadietto Trovo; & che senso ess’abbia io non avverto. Pare versata apposta: ché di certo Non vien dalla finestra; per dispetto Pensavi di affrettarmi il cataletto, Col farmi scivolare, oh ignoto? Offerto Oppure m’hai nei pressi del guanciale L’umido pegno dei tuoi muti pianti Che ti trasse per me amoroso male? O mi vuoi rammentar che doloranti Siamo qui tutti? O che noi in modo uguale Domani bagneran piogge scroscianti?
PENSIERI FVNESTI. Non posso stare solo. Un mio furore Segreto e sordo mi disavvantaggia: Più tendo l’arco, e più i nervi mi saggia Col dardo avvelenato, e dà dolore. Il cielo mi si mostra d’un colore: Sempre ho davanti a me l’ultima spiaggia; Non mi decido mai, però (mannaggia), Ad approdarvi, tant’ho me in orrore. Non può sapere cosa passi in testa Al latente tra l’erba tacit’angue, Striscia d’odio e veleno atra e funesta, Chi pena non provò che mai non langue, Chi rabbia non provò che mai non resta, Chi a lungo non provò sete di sangue.
PIANTO. Quanta tristezza è coessenziale Alla mia vita; lacrimo all’interno, E la pioggia che cade e il mondo esterno Inumidisce è specchio mio fatale. Riflette la mia tetra esistenziale Condizione l’appropinquante inverno: Non solo ha fiamme il desolato inferno, Non solo l’ira dentro me prevale. Il mio destino è tale che non riesco In altro che nel pianto, ed il mio pianto Di tragedia non è: scorre grottesco. Finché, inzuppato il suo stracciato manto Per piogge, e pianto che alla pioggia mesco, La vita affoghi, e cessi il mesto canto.
376. Capriccio XVIII.
15 OttFOTOGRAFIA. Di chi manca impressione, abbandonata Al mondo nel morire, un’illusione Di presenza in assenza, una finzione Perché chiedermi sia da me accettata? Dopo appreso che d’indi in poi tornata Mai più sarebbe, e che liberazione Non si dava altra alla maledizione, In forma alcuna non l’ho più cercata. Ritrovarla così vorrebbe dire Cercarla, dopo un tempo ormai lunghissimo, In luoghi donde non è dato uscire. Guai se gli oggetti, i corpi non smarrissimo Per darci a quello che non può finire. E la ricordo ancóra, lei, benissimo.
375. Capriccio XVII.
15 OttIL FVTVRO. Chiunque ne ha uno solo; io ne ho due, Uno che è a breve termine, ha di piombo La tinta, e lo preannuncia un tetro rombo, Carta & inchiostro le interiora sue. Stolido e senza prole, come il bue, Passato del suo ungue il gran rimbombo, Se nel sonno perenne poi non piombo, O non corro a buscarmi Aids o lue, Ne verrà un altro, che ha strepiti d’armi, Allucinate veglie, dì d’affanno; Non l’intravedo, e già vuol spaventarmi. Cerco incontrare il primo in capo all’anno; Quanto al secondo, a costo di rifarmi, Spero da buono in qualche bel malanno.
374. Capriccio XVI.
15 OttTASCHE BVCHE. Liso, cadente, & con le tasche buche, Eroso dalla fame, sforacchiato Da tarme, mezzo morto, stralunato, Tutto un crowl in & out di tarli e ruche, Quasi ai miei lai un agmine di nuche Opponesse il suo no, ecco, ho declinato Più offerte di denaro, a me allungato Per pietà, senza impegno. Con festuche Stuzzicadenti e fichi molli in certa Discesa a breve termine restassi Sdrajato tutto il giorno su qualch’erta, Movendo pochi, & indolenti i passi! Non so cosa mi piglî; mi sconcerta Talora il dono, quasi onta provassi.
373. Capriccio XV.
15 OttPORTA. È strumento che esclude, ma anche invita Ad ingredere, è un mezzo che dà modo Tanto a restare fuori quanto – e lodo Questo di più – a non far lesta partita. Ma, mi chiedo, la sua ben definita Dote di far entrare, onde io godo, Non compossibil è all’entrar di frodo Chi chiusa toppa forza cólle dita? Chiama a entrare, la porta, ma il richiamo Potrebbe darsi s’essa non foss’usa A proclamare altrui: Non ti vogliamo? Sì, solamente quando va delusa L’altrui richiesta in questo senso entriamo: Solamente, sennò, è una porta chiusa.
372. Capriccio XIV.
15 OttMASCHERA (IO). Io: tardo, malleabile, scroccone, Ghiotto, guitto, gentile, leccapiedi, Prenderò tutto quanto mi concedi, Sono sincero, strano e buontempone. Sono ignorante, fiacco, son sornione, Ladruncolo, mi vedi e non mi vedi, Però mi trovi, se di me richiedi – Stanziale in fatto, greve, & scorreggione. Sono fatto di gomma, son di legno, Son di pietra, di fango, merda, tolla, Di materiale indefinito e indegno; Sono cangiante; sono pastafrolla; Sul mio spazio e sul tempo ho pieno il regno; Volatile parrei, sono una còlla.
371. Capriccio XIII.
15 OttAPPVNTAMENTO. Odio gl’incontri al bujo, scorticata Novità d’Interdèt, tra i molti mali Passati dagli annuncî dei giornali Anche alla gente solida, & bennata; Se prima, infatti, solo era serbata A genti impresentabili e banali, Quest’usanza ora passa i penetrali Più scrimitosi, & pure a me è passata. Ciò m’indispone; e mi fa male al cuore Aspettar non so chi, né come fatto, E averne un sottilissimo timore; Sicché, mentre vien l’ora, questo patto Propongo a me: mai più, manco se muore, Dirò di sì ad un mio virtual contatto.
370. Capriccio XII.
15 OttVNA BIBLIOTECA È VN CIMITERO. Qui chiuso è un mondo, e, come al mondo, è giusto Che morti siano i più, e vivi i meno; Ma questo mondo è tacito e sereno, Polveroso, istruito, & di buon gusto. Ma dà anch’esso, alla lunga, il suo disgusto, Tanto di belle cose morte è pieno; In fondo, oltre alla morte, accoglie in seno D’umanità soltanto qualche frusto. Denegata alla vita dolorosa, Piena d’afrori, caos, nebbia, mistero, Spettrale umanità in codest’ombrosa Stanza s’occulta, e per enigmi il vero Spia, pallida, gialluta, & rantacosa: Già in vita morta, tanto è un cimitero.
368. Capriccio X.
15 OttSV VNA POZZA D’ACQVA TROVATA DAVANTI ALL’ARMADIETTO, IN PROSSIMITÀ DEL LETTO, IN GIORNI DI PIOGGIA. Mentre gli altri tre dormono, all’incerto Lume che vien da fuori, accanto al letto, Pozza, isolata, innanzi all’armadietto Trovo; & che senso ess’abbia io non avverto. Pare versata apposta: ché di certo Non vien dalla finestra; per dispetto Pensavi di affrettarmi il cataletto, Col farmi scivolare, oh ignoto? Offerto Oppure m’hai nei pressi del guanciale L’umido pegno dei tuoi muti pianti Che ti trasse per me amoroso male? O mi vuoi rammentar che doloranti Siamo qui tutti? O che noi in modo uguale Domani bagneran piogge scroscianti?
367. Capriccio IX.
15 OttPENSIERI FVNESTI. Non posso stare solo. Un mio furore Segreto e sordo mi disavvantaggia: Più tendo l’arco, e più i nervi mi saggia Col dardo avvelenato, e dà dolore. Il cielo mi si mostra d’un colore: Sempre ho davanti a me l’ultima spiaggia; Non mi decido mai, però (mannaggia), Ad approdarvi, tant’ho me in orrore. Non può sapere cosa passi in testa Al latente tra l’erba tacit’angue, Striscia d’odio e veleno atra e funesta, Chi pena non provò che mai non langue, Chi rabbia non provò che mai non resta, Chi a lungo non provò sete di sangue.
366. Capriccio VIII.
15 OttSVDOKV. Mentre tento forzare i miei neuroni, Santi lorenzi ormai cotti alla griglia, Oh la stizza mariuola che mi piglia, Oh che di spettri amplissime legioni: M’ingombrano le circonvoluzioni, Labirinto di cerebral poltiglia, E ogni spettro sembianze dieci piglia, E i minuti concessi mi fa eoni. Mi dico con ragione che di certo Se l’intelletto sano è imperturbato, Quale il genio provò mai disconcerto? Colpa ne ha il mondo, porco, empio, & dannato, Le cui piaghe entro me riaprirsi avverto Quando ho il pensiero in alcunché occupato.
369. Capriccio XI.
15 OttPIANTO. Quanta tristezza è coessenziale Alla mia vita; lacrimo all’interno, E la pioggia che cade e il mondo esterno Inumidisce è specchio mio fatale. Riflette la mia tetra esistenziale Condizione l’appropinquante inverno: Non solo ha fiamme il desolato inferno, Non solo l’ira dentro me prevale. Il mio destino è tale che non riesco In altro che nel pianto, ed il mio pianto Di tragedia non è: scorre grottesco. Finché, inzuppato il suo stracciato manto Per piogge, e pianto che alla pioggia mesco, La vita affoghi, e cessi il mesto canto.
Commenti recenti