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NEW YORK, TRE AFGHANI PRESI. “PREPARAVANO ATTENTATO”. Stranieri, d’un paese a gran distanza, Tramavan morti, avendo ormai promesso Barbare santebarbare all’oppresso Popolo ignaro, a strage, & a mattanza. Il fine, perseguìto con costanza, Parve d’un decaduto volgo ossesso Mera macchinazione, quando appresso Si sa che da anni in VSA essi hanno stanza; Che all’ospite a turbare i dì sereni Ponevan cure massime, & riguardi A far saltare in aria molti treni; Stranieri contro gli VSA armat’i dardi, Dunque, e terzomondisti d’odio pieni, O cittadini stufi di ritardi?
CHI LAUA LA TESTA ALL’ASINO, PERDE IL TEMPO, ET IL SAPONE. D’acconciatura morbida alla moda Vorresti tu adornare il capo al ciuccio, Pensando a quanto poi sarà caruccio, Passando in via, a ciascuno che lo loda. Ma quando il capo ha tutto unto di broda, L’asino, che non s’ama assettatuccio, T’ammolla un calcio, e dice, con corruccio: Stronzo! Piuttosto, acconciami la coda. Tu che pensavi vanitosamente A un asino a tua indole accismato, Premi il ginocchio leso, e fai, gemente: STENTA INERME SE SAI, TRAVAGLIA ARMATO PER ANIMA UILLANA, & SCONOSCENTE, CHE’ MERCE’ NON S’OTTIEN DA UN CORE INGRATO.
CHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO. Se afferrare tu vuoi la donna strana, Nuda, che il corno divite brandisce, Che tanto attrae, che tanto incuriosisce, Capelli al vento, & priva di sottana, Bada che non ti sfugga; s’allontana A gran passi, e chi coglierla fallisce Di rimpiangerla poi maipiù finisce; E arriva a darle fin della puttana! Ma a nulla serve il gemere tardivo, E il tacciarla d’infida, e inopportuna, In base ad un diritto putativo. NON PERDER, SAGGIO, OCCASIONE ALCUNA, CHE’ S’IL TEMPO NON PRENDI, E’ FUGGITIVO; CALUA, SE NON L’AFFERRI, E’ LA FORTVNA.
CHI E’ IMBARCATO COL DIAVOLO, HA DA PASSARE IN SUA COMPAGNIA. Non sempre è lieto il tempo scorso in viaggio, Specialmente s’è viaggio, & non vacanza, E specialmente s’è lunga distanza Da percorrersi, e sia un perù il pedaggio. Peggio di tutto è se chi dà il passaggio E’ il diavolo in persona, che ha l’usanza Di darti sempre con il remo in panza, Dando della sua fama & prova & saggio. In mezzo al mare, il portentoso grido Del passeggero, che ne ha pena immonda, Non s’ode mica; ah! che nocchiero infido. RARO E’ BEN QVEL NOCCHIER, CHE NON S’AFFONDA, E APPRODA AL PORTO, O’ SI RICOURA AL LIDO, SE DE’ UITIJ NEL MAR SI FIDA A’ L’ONDA.
CHI DORME, NON PIGLIA PESCE. Grava ipoteca gl’interessi umani La Fatìca, che tantopiù s’accresce Quantopiù l’impres’opera non riesce, E quanto più si fan gli sforzi vani. Chi vuol pescare stenda reti, e immani Tempi aspetti; per lui ben mi rincresce. Chi invece, come me, non ama il pesce, Si stenda al rezzo, cogli altri vegani. Resti sparato poi cui invece piace Venando andar di bestie dietro l’orma, Ch’io in pace lascio, e voglio stare in pace. SVOL L’VTILE A’ L’INDVSTRIA ESSER CONFORME. FERE NON PREDA IL CACCIATOR, CHE GIACE, RETE NON EMPIE IL PESCATOR, CHE DORME.
CHI BEN COMINCIA HA’ LA META’ DELL’OPRA. NE’ SI COMINCIA BEN, SE NON DAL CIELO. Sono aridi e sassosi i campi tuoi; L’aratro ha rotto il vomere; hai la rogna; Hai dieci figlj, & vivi in una fogna; Han l’afta epizootica quei buoi. T’aspetta un gran lavoro, se pur vuoi Cogliere il frutto che da te si sogna; Ben cominciare, dunque, ti bisogna, Con mezzi di fortuna, irti & squarquoi. In tanta estremità qual è il più degno Modo che trovi a uscir dal rovinio? Quello che uscir da un capo può di legno: ECCO PROSTRATO AL CIEL LE PRECI INUIO, POICHE DA COMINCIAR L’OPRA, E ‘L DISEGNO, COME LINEA DA PUNTO, HA’ L’HVOM DA DIO.
CADER NON PVO’, CHI HA LA VIRTV’ PER GVIDA. Seguire la Virtù è su un mezzo rotto Asse un incerto andare; né di scampo Speranza avresti, al vento, al tuono, al lampo, Se non ci fosse lei: cadresti a un botto. Compagna irrinunciabile, a dirotto Piover dovesse, ed un minato campo L’asse venisse di centun inciampo, Se scivoli, la puoi buttar di sotto. Tanto, è alata. E negli attimi funesti Che risultar potrebbero fatali, Meglio lei che non te – tu m’intendesti. NON PAVENTAR DI PRECIPITIJ, O’ MALI, SE PER TVA SCORTA LA UIRTV’ SCIEGLIESTI, GIA’ A PRESERUAR LA TVA SALVTE HA’ L’ALI.
LA BOTTE DA’ DEL VINO, CH’ELL’HA’. Pestando calze, straccj, catenaccj Con uve del più infido tipo, e amaro, S’ottiene un vino, tra lo scuro e il chiaro, Rifiutato dai più fetenti spaccj. Chi di produrlo l’empia impresa abbraccj, Avverta che da Chieri a Quarto Oggiaro, Non se ne dà meno pregiato, o caro, O che gli strappi il serto tra i vinaccj. Avverta che annusarlo solo è pena; E’ pianto il valutarne il solo aspetto; Morte mescerne. Avverta che avvelena. SVOL CONFORME A LA CAVSA ESSER L’EFFETTO; NE’ D’INFETTO LIQVOR L’VRNA RIPIENA VALE A SOMINISTRAR BALSAMO ELETTO.
IL SAVIO FA’ DI NECESSITA’ VIRTV’. L’orca vorace delle brame indenne Lascia il sapiente, che le brame adegua Del possibile a lui giusto alla stregua, E al volo dei Vorrei tronca le penne; Decolla gli appetiti, e la bipenne Cala sui piedi al fasto, a cui dilegua Tanta parte d’erarj, acché non segua A voluttà pianto di forze menne. Tanto dei suoi voleri egli è signore, Che, dov’è forza, a tutto soprassiede, Finché smette il respiro, e quieto muore. SAGGIO E’ COLVI, CH’OVE BISOGNO IL CHIEDE SECONDAR DE LE STELLE IL RIO TENORE, E LA FATAL NECESSITA’ SI UEDE.
L’ASINO, BENCHE’ TRISTO SIA, STIMVLATO ALLE VOLTE TIRA QVALCHE CALCIO. Perverso uso più d’altri tra le genti La morale misura e definisce Sul fatto se reagisce o non reagisce La vittima; se no, vai coi tormenti! Bòtte & dolori sono gli strumenti Con cui l’uomo tiranno annichilisce La volontà, la dignità ferisce, Sforma es, rimodella subcoscienti. L’asino assai di rado d’ira acceso Le poche volte che d’aceto prende, Scalcia, e si fa offensore, ch’era offeso. E L’ABIETTO, & LHVMIL CHI UILIPENDE, GIA’ SUPPOR NON SI DEE D’IRSENE ILLESO, CH’A’ LE FORMICHE ANCOR L’IRA S’ACCENDE.
PER BELLISSIMO GIOVANE VESTITO DI CUOJO. Mandi baleni al tuo passaggio, e ai tuoi Lucidi movimenti, ai macellaj Porgon la gola stalle, stie, pollaj, E muojono d’amore i mattatoj. Sotto un’altra epidermide se vuoi Nasconder quella naturale ch’hai, E’ perché bene, e troppo bene, sai Che ci sia sotto i freddi e cupi cuoj. Scie d’odore selvaggio lascj a lui Che ti segue con gli occhj, e devanei Ispiri grevi, e dai colori buj. Quella scia chissà dove seguirei; Sicuramente fino al punto in cui Di tre pelli tra noi, due ne farei.
TOSSICO CHE URLA DA SOLO. Mentre cammini per la strada, foga Ti prende di gridare ai quattro venti Non il tuo sì alla vita, o i tuoi tormenti, Ma quel che dentro a te detta la droga. Mi fa rabbia, poiché quella s’arroga Un’esclusiva che lunghi momenti Avrei voluto propria ai miei talenti, Come sul gobbo al giudice la toga. Quanto avrei dato, invece d’anni persi, Per avere una delle tue giornate, Di fuoco sacro, & impeti perversi! Quante libbre di sangue avrei donate Per dar con pari slancio fuori i versi All’émpito con cui spari cazzate!
BUCO. Benché l’armamentario del poeta Non lo comprenda, almeno normalmente, Purtuttavia l’aver sempre presente Anche questo, lo sai?, non mi si vieta. Se al tuo braccio è evidente, e ti decreta & pubblica per quel che sei, l’ho in mente Io, invece, e in me serbato è fatalmente Porta d’estasi, no: pena segreta. Come vedi, in un buco volle un dio Che avessero ricetto il mio / tuo vizio; Solo hai il buco fatidico in te; il mio E’ in te non meno, & ambo è precipizio L’uno in cui cadi, & l’altro quello in ch’io Vorrei cadere, tua mercè, orifizio.
LACCIO. Porto il braccio da un vago crine avvolto, Tu d’un laccio emostatico: fedele Mi mostro al segno mio, ma di querele Riempio il cielo, urla tu di gaudio hai sciolto. Tu ridi, io piango; io colpa d’un bel volto, A causa tu d’un brutto braccio, e anele Voglie ambo abbiamo: eppure in lamentele Do solo, mentre ridere t’ascolto. Il tuo demone riempie di energie, Di sprezzo del dolore, & è perfetta Estasi, a differenza della mia. Tanto il trasporto dentro me difetta Che gemo; tanto può in te bramosia, Che alle volte ti fai co’ ‘na forchetta.
SIRINGA. Manda un’eco di morte lo strumento Che impieghi a dar sollazzi alla tua vita; Il mio, che una metafora m’invita A chiamare ugualmente, non dà accento. Quello che impieghi fuor di sentimento Ti manda, & hai la fonte inaridita D’ogni affetto; di fiato a forza, & dita, Tento sonare il mio; ma nulla sento. Tossico tu ti chiami, e t’avvelena Certo il sangue sostanza spaventosa, Che però canta quando ce l’hai in vena. La mia mania è una più leggiadra cosa, Ma al canto non ha più fiato, né lena, E m’addolora, perlopiù ritrosa.
DI UN CONOSCENTE TOSSICO CHE FRASTORNAVA UN MIO TENTATIVO POETICO. Mentre tento spillare da Ippocrene Qualche verso non meno d’altri indegno, Tu indefesso persegui il tuo disegno, Facendo la rassegna delle vene. Parli, cercando quella che conviene, Non soltanto senz’ombra di ritegno, Ma annichilendo a chiacchiere in me impegno Che con silenzio e requie si sostiene. Sicché di te già ambo la tasca ho piena, E mentre in non poetica siringa Versi il veleno, e versi quello in vena, La vena a me, benché a mio modo io spinga, Arida d’entusiasmi getta a pena, Comech’estasi tua la mia respinga.
350. Notizia VI.
23 SetNEW YORK, TRE AFGHANI PRESI. “PREPARAVANO ATTENTATO”. Stranieri, d’un paese a gran distanza, Tramavan morti, avendo ormai promesso Barbare santebarbare all’oppresso Popolo ignaro, a strage, & a mattanza. Il fine, perseguìto con costanza, Parve d’un decaduto volgo ossesso Mera macchinazione, quando appresso Si sa che da anni in VSA essi hanno stanza; Che all’ospite a turbare i dì sereni Ponevan cure massime, & riguardi A far saltare in aria molti treni; Stranieri contro gli VSA armat’i dardi, Dunque, e terzomondisti d’odio pieni, O cittadini stufi di ritardi?
349. Proverbio XII.
23 SetCHI LAUA LA TESTA ALL’ASINO, PERDE IL TEMPO, ET IL SAPONE. D’acconciatura morbida alla moda Vorresti tu adornare il capo al ciuccio, Pensando a quanto poi sarà caruccio, Passando in via, a ciascuno che lo loda. Ma quando il capo ha tutto unto di broda, L’asino, che non s’ama assettatuccio, T’ammolla un calcio, e dice, con corruccio: Stronzo! Piuttosto, acconciami la coda. Tu che pensavi vanitosamente A un asino a tua indole accismato, Premi il ginocchio leso, e fai, gemente: STENTA INERME SE SAI, TRAVAGLIA ARMATO PER ANIMA UILLANA, & SCONOSCENTE, CHE’ MERCE’ NON S’OTTIEN DA UN CORE INGRATO.
348. Proverbio XI.
23 SetCHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO. Se afferrare tu vuoi la donna strana, Nuda, che il corno divite brandisce, Che tanto attrae, che tanto incuriosisce, Capelli al vento, & priva di sottana, Bada che non ti sfugga; s’allontana A gran passi, e chi coglierla fallisce Di rimpiangerla poi maipiù finisce; E arriva a darle fin della puttana! Ma a nulla serve il gemere tardivo, E il tacciarla d’infida, e inopportuna, In base ad un diritto putativo. NON PERDER, SAGGIO, OCCASIONE ALCUNA, CHE’ S’IL TEMPO NON PRENDI, E’ FUGGITIVO; CALUA, SE NON L’AFFERRI, E’ LA FORTVNA.
347. Proverbio X.
23 SetCHI E’ IMBARCATO COL DIAVOLO, HA DA PASSARE IN SUA COMPAGNIA. Non sempre è lieto il tempo scorso in viaggio, Specialmente s’è viaggio, & non vacanza, E specialmente s’è lunga distanza Da percorrersi, e sia un perù il pedaggio. Peggio di tutto è se chi dà il passaggio E’ il diavolo in persona, che ha l’usanza Di darti sempre con il remo in panza, Dando della sua fama & prova & saggio. In mezzo al mare, il portentoso grido Del passeggero, che ne ha pena immonda, Non s’ode mica; ah! che nocchiero infido. RARO E’ BEN QVEL NOCCHIER, CHE NON S’AFFONDA, E APPRODA AL PORTO, O’ SI RICOURA AL LIDO, SE DE’ UITIJ NEL MAR SI FIDA A’ L’ONDA.
346. Proverbio IX.
23 SetCHI DORME, NON PIGLIA PESCE. Grava ipoteca gl’interessi umani La Fatìca, che tantopiù s’accresce Quantopiù l’impres’opera non riesce, E quanto più si fan gli sforzi vani. Chi vuol pescare stenda reti, e immani Tempi aspetti; per lui ben mi rincresce. Chi invece, come me, non ama il pesce, Si stenda al rezzo, cogli altri vegani. Resti sparato poi cui invece piace Venando andar di bestie dietro l’orma, Ch’io in pace lascio, e voglio stare in pace. SVOL L’VTILE A’ L’INDVSTRIA ESSER CONFORME. FERE NON PREDA IL CACCIATOR, CHE GIACE, RETE NON EMPIE IL PESCATOR, CHE DORME.
345. Proverbio VIII.
23 SetCHI BEN COMINCIA HA’ LA META’ DELL’OPRA. NE’ SI COMINCIA BEN, SE NON DAL CIELO. Sono aridi e sassosi i campi tuoi; L’aratro ha rotto il vomere; hai la rogna; Hai dieci figlj, & vivi in una fogna; Han l’afta epizootica quei buoi. T’aspetta un gran lavoro, se pur vuoi Cogliere il frutto che da te si sogna; Ben cominciare, dunque, ti bisogna, Con mezzi di fortuna, irti & squarquoi. In tanta estremità qual è il più degno Modo che trovi a uscir dal rovinio? Quello che uscir da un capo può di legno: ECCO PROSTRATO AL CIEL LE PRECI INUIO, POICHE DA COMINCIAR L’OPRA, E ‘L DISEGNO, COME LINEA DA PUNTO, HA’ L’HVOM DA DIO.
344. Proverbio VII.
23 SetCADER NON PVO’, CHI HA LA VIRTV’ PER GVIDA. Seguire la Virtù è su un mezzo rotto Asse un incerto andare; né di scampo Speranza avresti, al vento, al tuono, al lampo, Se non ci fosse lei: cadresti a un botto. Compagna irrinunciabile, a dirotto Piover dovesse, ed un minato campo L’asse venisse di centun inciampo, Se scivoli, la puoi buttar di sotto. Tanto, è alata. E negli attimi funesti Che risultar potrebbero fatali, Meglio lei che non te – tu m’intendesti. NON PAVENTAR DI PRECIPITIJ, O’ MALI, SE PER TVA SCORTA LA UIRTV’ SCIEGLIESTI, GIA’ A PRESERUAR LA TVA SALVTE HA’ L’ALI.
343. Proverbio VI.
23 SetLA BOTTE DA’ DEL VINO, CH’ELL’HA’. Pestando calze, straccj, catenaccj Con uve del più infido tipo, e amaro, S’ottiene un vino, tra lo scuro e il chiaro, Rifiutato dai più fetenti spaccj. Chi di produrlo l’empia impresa abbraccj, Avverta che da Chieri a Quarto Oggiaro, Non se ne dà meno pregiato, o caro, O che gli strappi il serto tra i vinaccj. Avverta che annusarlo solo è pena; E’ pianto il valutarne il solo aspetto; Morte mescerne. Avverta che avvelena. SVOL CONFORME A LA CAVSA ESSER L’EFFETTO; NE’ D’INFETTO LIQVOR L’VRNA RIPIENA VALE A SOMINISTRAR BALSAMO ELETTO.
342. Proverbio V.
23 SetIL SAVIO FA’ DI NECESSITA’ VIRTV’. L’orca vorace delle brame indenne Lascia il sapiente, che le brame adegua Del possibile a lui giusto alla stregua, E al volo dei Vorrei tronca le penne; Decolla gli appetiti, e la bipenne Cala sui piedi al fasto, a cui dilegua Tanta parte d’erarj, acché non segua A voluttà pianto di forze menne. Tanto dei suoi voleri egli è signore, Che, dov’è forza, a tutto soprassiede, Finché smette il respiro, e quieto muore. SAGGIO E’ COLVI, CH’OVE BISOGNO IL CHIEDE SECONDAR DE LE STELLE IL RIO TENORE, E LA FATAL NECESSITA’ SI UEDE.
341. Proverbio IV.
23 SetL’ASINO, BENCHE’ TRISTO SIA, STIMVLATO ALLE VOLTE TIRA QVALCHE CALCIO. Perverso uso più d’altri tra le genti La morale misura e definisce Sul fatto se reagisce o non reagisce La vittima; se no, vai coi tormenti! Bòtte & dolori sono gli strumenti Con cui l’uomo tiranno annichilisce La volontà, la dignità ferisce, Sforma es, rimodella subcoscienti. L’asino assai di rado d’ira acceso Le poche volte che d’aceto prende, Scalcia, e si fa offensore, ch’era offeso. E L’ABIETTO, & LHVMIL CHI UILIPENDE, GIA’ SUPPOR NON SI DEE D’IRSENE ILLESO, CH’A’ LE FORMICHE ANCOR L’IRA S’ACCENDE.
340. Capriccio VI.
23 SetPER BELLISSIMO GIOVANE VESTITO DI CUOJO. Mandi baleni al tuo passaggio, e ai tuoi Lucidi movimenti, ai macellaj Porgon la gola stalle, stie, pollaj, E muojono d’amore i mattatoj. Sotto un’altra epidermide se vuoi Nasconder quella naturale ch’hai, E’ perché bene, e troppo bene, sai Che ci sia sotto i freddi e cupi cuoj. Scie d’odore selvaggio lascj a lui Che ti segue con gli occhj, e devanei Ispiri grevi, e dai colori buj. Quella scia chissà dove seguirei; Sicuramente fino al punto in cui Di tre pelli tra noi, due ne farei.
339. Capriccio V.
23 SetTOSSICO CHE URLA DA SOLO. Mentre cammini per la strada, foga Ti prende di gridare ai quattro venti Non il tuo sì alla vita, o i tuoi tormenti, Ma quel che dentro a te detta la droga. Mi fa rabbia, poiché quella s’arroga Un’esclusiva che lunghi momenti Avrei voluto propria ai miei talenti, Come sul gobbo al giudice la toga. Quanto avrei dato, invece d’anni persi, Per avere una delle tue giornate, Di fuoco sacro, & impeti perversi! Quante libbre di sangue avrei donate Per dar con pari slancio fuori i versi All’émpito con cui spari cazzate!
338. Capriccio IV.
23 SetBUCO. Benché l’armamentario del poeta Non lo comprenda, almeno normalmente, Purtuttavia l’aver sempre presente Anche questo, lo sai?, non mi si vieta. Se al tuo braccio è evidente, e ti decreta & pubblica per quel che sei, l’ho in mente Io, invece, e in me serbato è fatalmente Porta d’estasi, no: pena segreta. Come vedi, in un buco volle un dio Che avessero ricetto il mio / tuo vizio; Solo hai il buco fatidico in te; il mio E’ in te non meno, & ambo è precipizio L’uno in cui cadi, & l’altro quello in ch’io Vorrei cadere, tua mercè, orifizio.
337. Capriccio III.
23 SetLACCIO. Porto il braccio da un vago crine avvolto, Tu d’un laccio emostatico: fedele Mi mostro al segno mio, ma di querele Riempio il cielo, urla tu di gaudio hai sciolto. Tu ridi, io piango; io colpa d’un bel volto, A causa tu d’un brutto braccio, e anele Voglie ambo abbiamo: eppure in lamentele Do solo, mentre ridere t’ascolto. Il tuo demone riempie di energie, Di sprezzo del dolore, & è perfetta Estasi, a differenza della mia. Tanto il trasporto dentro me difetta Che gemo; tanto può in te bramosia, Che alle volte ti fai co’ ‘na forchetta.
336. Capriccio II.
23 SetSIRINGA. Manda un’eco di morte lo strumento Che impieghi a dar sollazzi alla tua vita; Il mio, che una metafora m’invita A chiamare ugualmente, non dà accento. Quello che impieghi fuor di sentimento Ti manda, & hai la fonte inaridita D’ogni affetto; di fiato a forza, & dita, Tento sonare il mio; ma nulla sento. Tossico tu ti chiami, e t’avvelena Certo il sangue sostanza spaventosa, Che però canta quando ce l’hai in vena. La mia mania è una più leggiadra cosa, Ma al canto non ha più fiato, né lena, E m’addolora, perlopiù ritrosa.
335. Capriccio I.
23 SetDI UN CONOSCENTE TOSSICO CHE FRASTORNAVA UN MIO TENTATIVO POETICO. Mentre tento spillare da Ippocrene Qualche verso non meno d’altri indegno, Tu indefesso persegui il tuo disegno, Facendo la rassegna delle vene. Parli, cercando quella che conviene, Non soltanto senz’ombra di ritegno, Ma annichilendo a chiacchiere in me impegno Che con silenzio e requie si sostiene. Sicché di te già ambo la tasca ho piena, E mentre in non poetica siringa Versi il veleno, e versi quello in vena, La vena a me, benché a mio modo io spinga, Arida d’entusiasmi getta a pena, Comech’estasi tua la mia respinga.
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